Jung e Pauli. Il carteggio originale sulla Sincronicità

In Carl Gustav Jung una prima allusione all’idea di sincronicità sembrerebbe balenare in occasione del seminario sui sogni del 28 novembre 1928, in cui si esaminarono delle coincidenze associate a immagini oniriche. Una testa di toro disegnata da un paziente, con un disco solare tra le corna, e la lettera ricevuta da un amico che aveva assistito a una corrida lo indussero a parlare dei sogni sulla tauromachia come di “cose vive”, con l’avvertenza però circa l’eventuale errore nel giungere a considerarli causali”, in quanto che gli eventi accadano a causa dei sogni sarebbe assurdo, e “non riusciremmo mai a dimostrarlo; semplicemente, accadono…”.

Il contemporaneo interesse per il pensiero orientale, e in particolare il taoismo cinese, suscitatogli dal lavoro di Richard Wilhelm su “I Ching” e “Il segreto del fiore d’oro”, gli fecero aggiungere in appendice: “L’Oriente basa gran parte della sua scienza su questa irregolarità, e considera le coincidenze, più che le causalità, come base attendibile del mondo. Il sincronismo è il pregiudizio dell’Oriente; la causalità è il pregiudizio dell’Occidente moderno. Più ci occupiamo dei sogni, più vediamo tali coincidenze-possibilità…”. E completava questa annotazione con l’ammonimento relativo proprio al Libro dei mutamenti (I King): “Ricordatevi che il più antico libro scientifico cinese tratta dei possibili casi della vita”!

Poco più di un anno dopo, dichiarava: “…ho inventato la parola sincronicità come termine che comprendesse questi fenomeni, vale a dire cose che accadono nello stesso momento in quanto espressioni dello stesso contesto temporale”. Ribadendo tale concetto pure in occasione del necrologio commemorativo in onore dell’orientalista di Stoccarda. “La scienza dell’I Ching, infatti, non si fonda sul principio di causalità, bensì su un principio rimasto finora innominato (perché da noi non esiste) che a livello sperimentale ho provvisoriamente indicato come principio di sincronicità”.

Passeranno ancora vent’anni prima della conferenza di Eranos, anticipatrice del celebre saggio “Synchronizität als ein Prinzip akausaler Zusammenhänge” (la sincronicità come principio di nessi acausali), pubblicato nel 1952 quale prima parte di “Naturerklärung und Psyche” (spiegazione naturale e Psiche), che comprendeva il contributo di Pauli “Der Einfluss archetypischer Vorstellungen auf die Bildung naturwissenschaftlicher Theorien bei Kepler” (L’influsso delle immagini archetipiche sulla formazione delle teorie scientifiche di Keplero), in cui il fondatore della meccanica quantistica s’arrischia a proseguire la disputa intrapresa con il grande astronomo dall’esoterista Robert Fludd, al fine di ricercare un «oltre», rispetto alla fisica, che sia in grado di ricomporre su un piano più alto la perduta armonia interrotta dal vuoto lasciato dalla prematura cancellazione positivista del concetto di Anima Mundi.

Contro la rigorosa separazione delle attività dello spirito umano in camere stagne, in atto dal diciassettesimo secolo, io considero l’aspirazione a un superamento dei contrasti, quale potrebbe essere una sintesi della comprensione razionale con l’esperienza mistica unitaria, come il mito espresso o inespresso di questo nostro tempo.” scrisse Pauli, nel 1955, sulla rivista di filosofia e metodologia della scienza “Dialectica”, dopo aver affermato, in riferimento al saggio schopenhaueriano “Animalischer Magnetismus und Magie” (Magnetismo animale e magia, contenuto in “Ueber den Willen in der Natur”): “Se i risultati positivi ottenuti nel campo ancora controverso della ‘percezione extrasensoriale’ dovessero venir confermati definitivamente, ciò potrebbe condurre a sviluppi ancora del tutto imprevedibili”.

Nell’esclusivamente razionale anch’egli scorgeva  quel “desiderio di potenza” mai del tutto sopito, come evidenzia Antonio Sparzani nella prefazione a “Jung e Pauli. Il carteggio originale: l’incontro tra Psiche e Materia” (Moretti & Vitali, Bergamo 2015). Onde superare questa vivente contraddizione, per il fisico austriaco, era  quindi “sentimentalmente comprensibile” qualche inversione mistica verso “una via interiore di salvezza”.

Partendo dallo studio dell’inconscio, recentemente C. G. Jung si è accinto a scavare il contenuto psicologico dei vecchi testi alchimistici per rivelarlo al nostro tempo. Spero che così venga messo in luce altro materiale pregevole, specialmente in merito all’importanza delle coppie di opposti [Gegensatzpaare] dell’opus alchimistico… Per la scienza dei nostri giorni si pone qui la domanda essenziale: ‘Potremo noi realizzare su di un piano più alto il vecchio spazio psico-fisico unitario dell’alchimia, creando una base concettuale unitaria per la comprensione scientifica dello psichico come del fisico?’. Non sappiamo ancora la risposta. Molti problemi fondamentali della biologia, in particolare la relazione tra causa efficiente e causa finale, e con ciò anche le relazioni psicofisiche, a mio giudizio non hanno ancora ricevuto una risposta o una spiegazione realmente soddisfacente. L’odierna fisica quantistica, secondo la formulazione di Bohr, si è imbattuta egualmente in coppie di opposti, complementari nei loro oggetti atomici, come particella-onda, posizione-quantità di moto e deve tener conto della libertà dell’osservatore di scegliere tra dispositivi sperimentali che si escludono a vicenda e che intervengono sul corso della natura in modo imprevedibile”.

Del resto, la sua previsione di una nuova particella elementare, che sarebbe stata poi chiamata neutrino, risale al 1930, ma venne confermata sperimentalmente solo dopo la pubblicazione di questo articolo dal titolo “Scienze naturali e aspetti epistemologici del concetto di inconscio”.

 

La corrispondenza tra il fisico e lo psicologo del profondo si protrasse per oltre un quarto di secolo, fino alla morte del più giovane dei due. Suzanne Gieser, che l’ha tradotta in inglese nel libro “Innermost Kernel” (2005), ha ampliato in esso la sua precedente tesi di laurea in filosofia presso l’Università di Uppsala, raccogliendovi del materiale interessante circa il pensiero e i contatti di Pauli con la dimensione della psicologia. Ne è emersa la pertinente influenza del premio Nobel sull’idea junghiana di sincronicità, e persino sull’ipotesi medesima degli archetipi.

Jung si sentiva inadeguato a trattare l’argomento, non soltanto per via della sua impreparazione scientifica. Ma poi fa risalire uno stimolo decisivo a procedere nella stesura della monografia su tale tema, nonostante tanta perplessità, al periodo delle ricerche sulla storia del simbolismo del pesce. Giusto mentre rifletteva sul rapporto tra cristianesimo e alchimia, formandosi l’idea di come risultasse fatale l’incapacità dei due sistemi di integrare le loro diverse prospettive, nel 1933, sulle rive settentrionali dell’Obersee, s’imbatté nella carcassa d’un serpente (simbolo alchemico) rimasto soffocato nell’atto d’ingoiare la sua preda (icona ittica cristiana). Ne restò talmente colpito da commemorare quest’incontro fortuito in una scultura da disporre alla base del loggiato di Bollingen.

Gradualmente , attraverso il mio lavoro scientifico, potei dare alle mie fantasie e ai contenuti dell’inconscio una solida base. Le parole e la carta, comunque, non mi davano l’impressione di essere abbastanza concrete; avevo bisogno di qualcosa di più. Dovevo riuscire a dare una qualche rappresentazione in pietra dei miei più interni pensieri e del mio sapere. O, per dirla diversamente, dovevo fare una professione di fede in pietra. Fu questo l’inizio della ‘Torre’, la casa che mi costruii a Bollingen. Potrà sembrare un’idea assurda, ma io l’ho fatto, e rappresentò per me non solo uno straordinario appagamento ma anche la realizzazione di un significato… Avevo cominciato la prima torre nel 1923, due mesi dopo la morte di mia madre. Queste date hanno un senso, perché, come vedremo, la Torre è legata ai morti. Fin dal principio sentii la Torre come un luogo, in un certo senso, di maturazione, un grembo materno o una figura materna nella quale potessi diventare ciò che fui, sono e sarò. Mi dava la sensazione di essere rinato nella pietra. Mi appariva come un’attuazione di ciò che prima avevo solo intuito e una rappresentazione dell’individuazione, un monumento aere perennius. Questo ha avuto un effetto benefico su di me, come una accettazione di ciò che sono… potrei anche dire di averla costruita in una specie di sogno. Solo in seguito vidi che cosa era sorto e che era riuscita una figura significativa: un simbolo della totalità psichica. Si era sviluppato come se un vecchio seme fosse germogliato. A Bollingen mi trovo nella mia più vera natura, in ciò che esprime profondamente me stesso. Sono, per così dire, l’«antichissimo figlio della madre». E’ così che si esprime, molto saggiamente, l’alchimia, poiché il «vecchio uomo», l’«antichissimo» – che io avevo sperimentato da bambino – è la personalità n.2 che è sempre stata e sempre sarà: esiste al di fuori del tempo, è figlia del materno inconscio. Nelle mie fantasie l’antichissimo aveva preso la forma di Filemone; ed a Bollingen egli vive… ‘Sono un orfano, solo; eppure mi trovo dovunque. Sono Uno, ma ho di fronte il mio opposto. Sono insieme giovane e vecchio. Non ho conosciuto né padre né madre, perché hanno dovuto trarmi dal profondo come un pesce’… Quando la pietra fu finita, andai spesso a rivederla, sorpreso, chiedendomi che cosa ci fosse dietro il mio impulso di scolpirla. La pietra sta all’esterno della Torre, e ne è una spiegazione… Non vi è nulla che possa disturbare i morti, né la luce elettrica, né il telefono. Inoltre le anime dei miei antenati sono confortate dall’atmosfera della casa, dal momento che io rispondo per loro alle domande che le loro vite lasciarono senza risposta, bene o male, come mi riesce. Ho persino dipinto sui muri le loro figure. E’ come se una silenziosa e più grande famiglia, che si stende nei secoli, popolasse la casa…” (Jaffé A. und Jung C. G. Erinnerungen, Träume, Gedanken von C. G. Jung, 1962).

I “Septem sermones….” attribuiti a Basilide di Alessandria, “la città in cui l’oriente tocca l’occidente”, continuavano ancora a ossessionarlo!

 

Già nel primo capitolo (L’Esposizione) di “Synchronizität als ein Prinzip akausaler Zusammenhänge”  Jung affermava che, se sino ad allora la tradizione scientifica occidentale s’era basata sull’idea che le leggi naturali fossero governate dalla causalità, occorreva prendere atto invece di una loro validità del tutto relativa. Le leggi naturali vanno infatti prese per “verità” solamente statistiche e a certi livelli, di strutture e dimensioni minime, per altissime velocità e situazioni individuali, una loro previsione diventa sempre più incerta, tanto da poter ritenere i fenomeni quantistici semplicemente probabilistici.

Crollavano così gli assunti di contiguità e antecedenza nella relazione causa ed effetto, che avevano dominato la fisica sino a quel momento, riconoscendo importanza, in un certo qual senso, al lavoro di Paul Kammerer sulla “legge delle serie” circa una (im)probabilità nella connessione causale tra avvenimenti casuali. Eppure, anche la concentrazione casuale potrebbe corrispondere a una probabilità statistica, mentre gli elementi chiave per la comprensione della sincronicità sono da Jung nettamente individuati, oltre che nella connessione acausale, nella coincidenza significativa e nella numinosità, che gli consentono pertanto di richiamarsi al pensiero di Schopenauer descritto in “Transzendente spekulation über die anscheinende Absichtlichkeit im Schicksale des Einzelnen” (Speculazione trascendente sull’apparente disegno intenzionale nel destino dell’individuo, 1851), e comunque mutuato da Leibniz, il quale considerava questi collegamenti nel contesto dell’armonia prestabilita.

È Pauli però a ritrascriverne il modello metaforico per evidenziare l’intreccio di caso e necessità, paragonando a meridiani le catene causali e a paralleli le simultaneità, in un incrocio di connessioni equivalenti.

L’idea di un significato nel caso – ovvero di eventi che avvengono nello stesso tempo, non connessi causalmente – è stata espressa molto chiaramente da Schopenhauer nel suo saggio ‘Speculazione trascendente sull’apparente disegno intenzionale nel destino dell’individuo’. – scrisse Pauli a Jung nella lettera del 28 giugno 1949, riportata in “Jung e Pauli. Il carteggio originale: l’incontro tra Psiche e Materia”, traduzione di Giusi Drago, Moretti & Vitali, Bergamo 2015) – In esso postula una ‘unità ultimativa della necessità e della casualità’ che a noi appare come ‘potenza’ che ‘lega fra loro tutte le cose – anche quelle che la catena causale lascia senza nessuna connessione reciproca – in modo che esse si incontrino proprio nel momento necessario (stabilito)’. Allo stesso tempo egli mette a confronto la catena causale con i meridiani che sono nella direzione del tempo, e simultaneamente con cerchi paralleli – che corrispondono esattamente alle Sue ‘connessioni trasversali significative’. Egli osserva – ‘anche se imperfettamente per la distanza’- la conciliabilità dei contrari ‘tra l’apparente casualità di tutte le circostanze nel corso di una vita individuale e la loro necessità morale nella formazione di tale esistenza in conformità con un fine trascendente per l’individuo – ovvero, in linguaggio popolare, fra il corso della natura e la provvidenza’…”.

L’attenzione di Jung si soffermò pure sull’impatto affettivo, tipo la noia o la mancanza d’interesse, che sembrano essersi dimostrati alquanto sterili negli esperimenti di Joseph Banks Rhine.

Quando un contenuto psichico supera la soglia della coscienza, i fenomeni marginali sincronistici svaniscono. Spazio e tempo assumono il loro consueto carattere assoluto e la coscienza torna a essere isolata nella sua soggettività.”, scrisse in “Theoretische ?berlegungen zum Wesen der Psychischen” (Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche, 1947-48). Mentre per Pauli restava imprescindibile per la comprensione dei fenomeni sincronistici un fondamento archetipico. “Non è forse anche la tua prima osservazione che la loro comparsa sia complementare ai contenuti archetipici che diventano consci?”.

 

Il fisico austriaco era perplesso di fronte all’ipotesi di una simultaneità, che non spiega tuttavia la precognizione.

La parola ‘synchron’ mi sembra alquanto illogica, a meno che tu non voglia rapportarla a un chronos che è essenzialmente diverso dal tempo normale”.

Il richiamo veniva diretto alla concezione dello “psicoide”.

Poiché gli eventi ‘sincronistici’ formano ciò che hai denominato una ‘psicoide’ fase iniziale di consapevolezza, è comprensibile se (non sempre, ma in molti casi) essi condividono anche questa caratteristica di base della simultaneità. Ciò rivela anche come la connessione semantica, in quanto agente primario, produca tempo come quello secondario”.

Jung intendeva il termine psicoide come “quasi-psichico”, in una sorta d’interfaccia in cui materia e psiche restano indifferenziati. Come un legame fluido che preceda la separazione tra mente e corpo, e non quale unitarietà di base a sostegno dell’alchemico Unus Mundus di Gerard Dorneus. Eppure, proprio quest’ultima cosmologia appare compatibile con l’ipotesi della fisica subatomica che esista uno stato originario anteriore alla differenziazione delle sostanze, in cui le relazioni assumono maggiore importanza delle particelle distinte.

La riformulazione di “tempo significativo” sottolinea tanta maggiore complessità nella componente relativistica spazio-temporale.

“…Se l’evento viene osservato senza limitazioni sperimentali, può sorgere nell’osservatore un certo stato emotivo che modifica spazio e tempo nel senso d’una contrazione”, conclude Jung, nel saggio sulla Sincronicità, dopo aver annotato: “…se spazio e tempo sono proprietà apparenti di corpi in movimento prodotte dalle necessità intellettive dell’osservatore, la loro relativizzazione a opera d’una condizione psichica non è più in ogni caso un che di prodigioso, ma rientra nell’ambito del possibile.”

 

Anche se una mappa non è il territorio…”, come si esprime Anna Panepucci nell’introdurre il carteggio originale tra “Jung e Pauli”, pubblicato in lingua italiana da Moretti & Vitali (Bergamo 2015), “l’ipotesi di una generale analogia tra la situazione epistemica in fisica e in psicologia aveva attratto i due ricercatori…”. Per esempio, Jung era rimasto a dir poco affascinato dalla definizione del Sé quale “nucleo radioattivo”.

L’atto di misura in particolare, problema cruciale per entrambe le discipline, si candidò a diventare un campo d’indagine privilegiato. Nell’una, ogni osservazione della coscienza su contenuti inconsci comporta un mutamento indeterminabile sull’inconscio e, a ritroso, sulla coscienza; nell’altra ogni osservazione è un intervento di portata indeterminabile sul sistema osservato e sul mezzo di osservazione: il mutamento introdotto equivaleva per entrambi a ‘un atto di creazione nel tempo’…”.

Nel legare la relativizzazione psichica alla sottostante affettività associata alle energie archetipiche impegnate, Jung intendeva forse teorizzare un punto originario da cui derivare sia il campo soggettivo che quello oggettivo innestato sull’archetipo psicoide.

I casi di coincidenze significative … sembrano basarsi su un fondamento archetipico… L’affettività si basa però in larga misura sugli istinti, dei quali l’archetipo è appunto l’aspetto formale”.

In tal modo perveniva all’aforistica definizione di sincronicità quale “atto di creazione nel tempo”; anche se l’introduzione della “costante cosmologica”, al fine della preservazione della staticità dell’universo, dovette in seguito venire rinnegata. Infatti Alexander Friedmann, già nel ’22, aveva formulato un’ipotesi su di un cosmo dinamico “messo in moto da un’iniziale espansione, un impeto con cui combattere contro la forza di gravità”. E in precedenza persino Edgar Allan Poe, nel 1848, aveva intuitivamente anticipato, in “Eureka: A Prose Poem”, quello che finì per essere definito il Big Bang.

Solo quando Edwin Hubble riportò l’osservazione del “redshift of a galaxy’s spectrum” (spostamento verso il rosso dello spettro galattico), dimostrando la recessione l’uno dall’altro dei vari sistemi di stelle, Einstein avrebbe approvato il modello dell’universo in espansione.

George Gamow chiamò la condizione iniziale di nucleosintesi termonucleare con il termine obsoleto di “mix ylem”, per contrassegnare “la sostanza primordiale da cui sono formati gli elementi”, in “un turbolento mare di luce”, quasi in analogia con la materia prima del caos antecedente la cosmologia alchemica.

 

Jung lesse “La natura dell’universo” di Fred Hoyle, in cui il termine Big Bang veniva usato per la prima volta, ma giusto per schernire il modello dinamico, apprezzando però ancor di più dell’astrofisico e scrittore britannico, se non altro per le idee mitiche, il romanzo di fantascienza “The Black Cloud” (1957). Pauli, del resto, lo aveva indirettamente messo in guardia definendo “questo tipo di cosmogonie” non scienza astrofisica ma “proiezioni dell’inconscio”.

All’invio, da parte di Aniela Jaffé, della recensione a The nature of the Universe, Pauli aveva risposto con la lettera del 3 dicembre 1951, riportata in “Jung e Pauli. Il carteggio originale: l’incontro tra Psiche e Materia” (2015): “la sua mescolanza di fantasmagoria e scienza mi sembra di cattivo gusto (la trovo femminile, ovvero ritengo Hoyle un tipo sentimentale). La sua ‘materia di sfondo’ e la sua continuous creation di materia dal nulla le trovo semplicemente assurde. Non vedo alcuna ragione per dubitare della conservazione dell’energia. Mi è chiaro che questo genere di cosmogonie non sono fisica ma proiezioni dell’inconscio…”.

Jung, invece, preannunciando la pubblicazione del saggio sulla sincronicità, a James Kirsch confidava: “Effettivamente la storia della Creazione è più simile a un esperimento con i dadi che a qualcosa di finalizzato. Queste intuizioni possono allora implicare un enorme cambiamento dell’immagine-Dio…”. Completando il suo dubbio teleologico: “Se la consapevolezza di Dio è più chiara di quella dell’uomo, allora la Creazione non ha significato e l’uomo non ha raison d’être. In quel caso anzi Dio non gioca a dadi, come dice Einstein, ma ha inventato una macchina, che è di gran lunga peggiore…”.

 

Orientandosi verso una visione in cui la nascita dello spazio e del tempo precede la separazione di materia e energia, il tentativo junghiano consisteva forse in una comprensione intuitiva della questione dello stato originario mediante la fusione dell’ipotesi quantistica e della teoria della relatività.

Ma poiché, stando all’esperienza, spazio e tempo sembrano in determinate circostanze ridotti approssimativamente a zero, cade con ciò anche la causalità, legata all’esistenza di spazio e tempo e di mutazione dei corpi, dal momento che essa consiste nella successione di causa ed effetto. Per questo motivo il fenomeno della sincronicità non può essere per principio posto in relazione con alcuna rappresentazione causale”.

Pel tramite dell’archetipo psicoide trovava una sua collocazione cosmogonica anche la psiche. E anche se alle origini dell’universo poteva non esserci un “disegno intelligente”, la presenza della psiche s’affiancava a quella della sostanza materica, ancor prima della nascita di spazio e tempo, a formare quello stato indifferenziato che produrrebbe la sincronicità.

In questo caos di possibilità, – si legge nella corrispondenza con Erich Neumann del 1959 – i fenomeni sincronistici sono stati verosimilmente al lavoro, operando sia assieme che contro le note leggi di natura, per produrre, in momenti archetipici, sintesi che ci appaiono miracolose… Questo presuppone non soltanto un significato che pervade il tutto, latente, che può essere riconosciuto dalla coscienza, ma durante quel momento preconscio anche un processo psicoide con cui un evento fisico coincide significativamente. A questo livello non possiamo cogliere il significato, perché non c’è alcuna coscienza”.

Dall’espansione e dal raffreddamento della primordiale singolarità emergono modelli sostanziali che assumono, insieme con la morfologia, un loro senso, generando vita e conducendo alla consapevolezza.

Naturale conclusione non poteva che essere un’affermazione di questo tenore: quanto accade nella diacronia è “contemporaneamente” avvertito nello “spirito divino”. Ma, a questo punto, la metafora, da teleologica, si faceva ormai esclusivamente teologica!

 

Giuseppe M. S. Ierace

 

 

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