Grafoanàlisis – Piccoli segni: date, firma, parafa, sottolineature, punteggiatura – scritture di facciata e di compensazione – spazio grafico – simbologia dei numeri e dei Tarocchi, il Matto, L’Appeso, il Bagatto – grafologia planetaria, semasiologia

Per chi sa vedere l’atto più semplice, il più semplice gesto in certi casi esprime tutta una vita”, affermava Max Pulver,  con convinzione. Un tale approccio simbolico non si limita al puro interesse intellettuale, ma riveste, anche dal punto di vista tecnico, un’estrema importanza, troppo spesso trascurata, in quanto focalizza degli aspetti, quelli dei cosiddetti “piccoli segni”, solo apparentemente secondari nelle analisi di personalità, ma del tutto ingiustificabilmente sottovalutati nel corso delle perizie identificative.

Dal punto di vista delle proiezioni – insegnava Roseline Crèpy – i numeri non sfuggono alla regola che vuole che l’Inconscio si esprima al meglio nelle aree secondarie, là dove la consapevolezza è meno vigile. Per esempio, quando si tratta di analizzare delle lettere anonime, il Grafologo ha talvolta la fortuna di poter sciogliere i suoi dubbi, di fronte a due scritti dissimili, grazie alle somiglianze dei numeri.”

La grafologa francese ha enumerato una casistica di possibili tracciamenti dei numeri, che già C. G. Jung aveva definito, per il loro alto valore emblematico, “Archetipi dell’Ordine”. E difatti un po’ tutti quelli che sono considerati “piccoli segni”, come appunto date, paraffi, punteggiatura, sottolineatura, ecc., riflettono marcatamente l’intreccio di svariate influenze culturali. Interpunzioni, lineette, schematismi, formalismi, ripetizioni, espressioni, lapsus, errori, dimenticanze, ritocchi, aggiunte, pleonasmi e superfetazioni, vanno sempre tutti tenuti nel debito conto.

La data

Già a partire dal modo di scrivere la data, questa acuita attenzione può rilevare una particolare sensibilità, maggiormente sensoriale, in chi riporta per esteso il nome del mese; tendenza a valorizzarsi, e rigore, in chi preferisce indicarlo in cifre romane; mancanza di visione unitaria in quanti trascurassero di citare l’anno; se poi, la cifra del giorno supera in grandezza le altre, vi è in atto una particolare preoccupazione.

(con l’accento) è un avverbio di luogo e non ha niente a che vedere con le date, mentre Li, naturalmente, si riferiva ai giorni numerati dal 2 in poi,  nella conclusione della “corrispondenza epistolare”, ma quest’uso, non obbligatorio, è sopravvissuto soltanto nel carteggio “burocratico” e “commerciale” e non è presente, come formulazione di chiusura, se non per eccesso di formalismo, in una scrittura “notarile”, (“scrittura di cancelleria”, “posata” a carattere rotondo), o “pedante” (secondo la definizione di Moretti, equivalente alla “compassata” di Marchesan).

Il trattino en, comunemente, viene impiegato per indicare un intervallo chiuso di valori, il che significa una serie chiaramente definita e piuttosto bassa e limitata, la qual cosa include ovviamente gli intervalli tra le cifre  che compongono date, ore, o numeri.

Mentre, per esempio, le lineette successive ai due punti, se “em rule”, costituirebbero un’inutile ripetizione dei punti fermi verticali del segno matematico della “divisione”, se “barra orizzontale/quotazione”, utilizzata per le citazioni, evidenziano un “dettato”, o quanto meno un improvviso “cambiamento” (frattura, scissione) di pensiero, con assenza di reale adesione concettuale a quanto si va esprimendo graficamente.

Unire insieme, nella firma, nome e cognome con una filettatura, rimarca il desiderio di maggiore coesione tra le figure genitoriali (separazione, lutto), con mancata elaborazione della perdita, la quale potrebbe significativamente riscontrasi nella mancanza della parte finale del nome, nel troncare il tracciato, nel renderlo filiforme o illeggibile.

La firma

Anche se non va considerata “la sintesi essenziale e completa della natura dello scrivente”, secondo Alfonso Velasco Andreo (“Augusto”) Vels (1917-2000), creatore della “Grafoanàlisis”, la firma costituisce “il segno di se stessi” e può allora indicare l’orgoglio o meno del proprio cognome, l’attaccamento o il rifiuto nei confronti dell’ambiente familiare o parentale, e perfino svelare aspetti rilevanti della struttura di personalità “quale essa è”, cioè come vuole mostrarsi ed essere.

Jaime Tutusaus Lòvez, noto per i suoi studi sui rapporti tra gruppi sanguigni e tendenze di base psicologiche e psicopatologiche, ha elencato un settetto di significati relativi alla firma: dall’automatismo del gesto, incosciente o semi-incosciente, scelto o elaborato con altrettanta libertà sia espressiva che rappresentativa, all’implicazione di livello, qualità e forza delle aspirazioni, motivazioni e ambizioni intime; dal contenuto di attitudini, ideali, potenzialità, risorse e progetti che lottano per esteriorizzarsi (firmas “plusvalorantes”), alle indicazioni di come impiegare il potenziale evidenziato dal testo; dalla sintesi del passato (relazione io-famiglia), o sunto autobiografico, abbozzato o condensato, all’intimo rapporto tra “io” ideale, quale controfigura di quello reale, così come pure eventuale manifestazione di altre personalità (integración o desintegración del Yo), ed espressione, infine, di traumi e situazioni che minano l’autostima, la progettualità vitale, e le speranze riposte nel futuro, inducendo reattivi meccanismi di difesa, superamento, compensazione o sovra-compensazione.

La parafa o il Paraffo

L’aggiunta, personalizzante, di un riccio, svolazzo, ornamento, gesto fuggitivo, accessorio o finale, inserito a volte quale componente “aleatorio”, non richiesto dal modello calligrafico, o che, partendo da un qualsiasi punto dell’autografo, prende svariate direzioni, diviene un evidente fattore che dinamicamente partecipa del complesso di una siglatura, e possiede molte analogie con lo scarabocchio.

La personalizzazione della firma può consistere in semplici tagli delle T lunghi, avvolgimenti, sottolineature, segni tracciati in alto o in basso, che si orientano in modo da riproporre, nel contesto del foglio, la relazione intrattenuta con l’ambiente in cui si vive e interagisce.

Oscar Del Torre afferma che il paraffo può essere rivelatore di “almeno un tratto caratteriale del firmatario”. Essendo “un’appendice della firma a cui tutti i metodi di grafologia riservano una parte per il suo notevole valore interpretativo”, indica “la vivacità, l’attività, l’aggressività o meno, l’egocentrismo, il desiderio di affermazione, la fermezza, la costanza, la rettitudine o meno dello scrivente. Insomma una o più delle sue componenti psichiche essenziali”.

Se la firma la si inserisce tra due parallele, si dimostra volontà inflessibile, carattere persistente, difesa dagli influenzamenti esterni. Tanto più ferme saranno le linee di collocazione, tanto più forte e  deciso l’atteggiamento egocentrico. Prima della sottoscrizione, il paraffo “serve da piedistallo all’Io”, sostiene Vels, anche se occorre osservare attentamente il tratto introduttivo. Quando precede l’iniziale, al di sotto della firma, svela una certa soddisfazione narcisistica e appunto il desiderio che l’Io riceva la maggiore visibilità possibile. A questo scopo, un tale soggetto si dimostrerà quindi con tutti amabile, seducente ed elaborerà un comportamento finalizzato all’ottenimento di quanto si prefigge.

Se, una volta terminato di scrivere nome e cognome, si appone una riga che li cancella, in tutto o in parte, sono presenti delle forti conflittualità inconsce (Firma “cancellata”).

Sottolineature

Se il paraffo avvolge il nome entro circoli od ovali, verranno particolarmente rimarcati circospezione e timore di essere attaccati, nonché conseguente bisogno di protezione o di appartarsi. Idem se la firma viene “custodita” da un’ellisse o “inscatolata” tra sottolineature e sovralineature onde creare barriere che isolino da tutto ciò che si considera estraneo (Firma “protetta”).

 

La sottolineatura della firma rivela dunque il bisogno di esser presi in considerazione. Se parte dal fondo per poi ritornare indietro si sta ponendo rimedio alla scarsa considerazione ricevuta in passato. Se invece la sottolineatura segue l’andatura da sinistra verso destra, si ritiene di essere sempre stati sottovalutati.

 

L’Ortografia

Per quanto riguarda le interpunzioni, a proposito dell’uso della virgola, va ricordato come la sua posizione sia decisamente rilevante per il significato della frase, in quanto la sua collocazione ne potrebbe anche far cambiare il significato. Solitamente, infatti, il “bastoncino” (latino virgula, piccola verga) serve per dividere i singoli elementi paralleli di una lista, o di un elenco, o separare proposizioni tra di loro indipendenti; si pone dopo le frasi introduttive, dopo le interiezioni, dopo le esortazioni; si utilizza per scindere le frasi incidentali e le apposizioni, per disgiungere la proposizione dipendente (o secondaria) dalla principale, comunque mai e poi mai per allontanare il soggetto dal predicato o quest’ultimo dal complemento oggetto. Si presenta pertanto ingiustificata qualora non fosse inserita al suo giusto posto, onde separare una secondaria inserita all’interno della principale, evidenziandone il sintagma con l’inciso.

 

Ancora, le ripetizioni tendono a ribadire il concetto del pensiero intenzionale e volontario di un dispositivo messo in atto per iscritto. E poi l’illeggibilità di una lettera o di un numero va valutata alla stregua di lapsus, errori, o dimenticanze.

 

L’indirizzo

La chiarezza dei segni grafici riportati su una busta, allo scopo di evidenziare magari un semplice indirizzo, è strettamente connessa a considerazioni di opportunità esteriore. Se, infatti, non esistono differenze significative con il testo, non sussiste alcuna tendenza ad apparire diversi da come si è veramente, a meno che anche la scrittura di quello risulti “stilizzata”, o artificiosa; in entrambi i casi, il carattere dello scrivente, che sia spontaneo o di “facciata” (maschera, persona), resta invariato.

 

Allorquando la stesura  risulti piu’ grande nell’indirizzo, vi si potrebbe riconoscere un’ostentazione di sé che poi vira verso un ridimensionamento, e viceversa. Se nell’indirizzo sono più evidenti le aste superiori, l’interesse intellettuale, e la sicurezza che ne deriva, si limitano all’apparenza, senza avere il necessario fondamento. Al contrario, aste superiori che nell’indirizzo diminuiscono,  mentre sono elevate nel testo, denotano timidezza, o fobia sociale, o scarsa fiducia nelle proprie doti. La comparsa, solo nell’indirizzo, di tratti finali destrorsi atteggiano a finta generosità, che non ci appartiene, giusto utile per una migliore presentazione. Idem per i tratti finali sinistrorsi che rendono, solo apparentemente, più egocentrici di quanto si sia in realtà.

 

La facciata

Spesso l’indirizzo viene tracciato piu’ lentamente del testo e con maggior accuratezza e cautela, quasi fosse disegnato, per cui è molto probabile che si trascuri la sostanza. Occorre però rammentare che un andamento piu’ calmo e regolare nella compilazione riesce a correggere alcune manifestazioni psicologiche, come accade nel tracciare lo “stampatello”, in un tentativo di maggiore uniformità e di distacco emotivo.

 

L’adozione dello stampatello maiuscolo come scelta abituale, o privilegiata, rientra nei canoni della scrittura di “facciata”, in quanto, grazie alla sua essenzialità formale, riesce a ricoprire con una “maschera” la reale personalità di chi scrive. Allorquando però dovesse prevalere l’esigenza di leggibilità, chiarezza, ordine, o compiutezza estetica, non è da escludere che soddisfi il bisogno di sobrietà, eleganza, o anche di perfezionismo, di individui colti e riservati.

 

Se prevale invece la convenzionalità, della ripetizione stereotipata e rigida di un modello calligrafico, formale, il quale talvolta rispecchia uno stile, una generazione, un’epoca, divengono più rilevanti segni, esigenze, tendenze e forme comuni a quel momento e a quella foggia.

 

Un’impressione generale di compattezza e staticità, avvalorata da grafia curvilinea, concentrata sulla fascia media, lettere affettive molto gonfie e dilatate, con allunghi superiori e inferiori poco o nulla accentuati, gesti regressivi, poco spazio tra una lettera e l’altra, contraddistinguono oralità e narcisismo, in cui si esprimono l’importanza data all’immagine, al benessere come agio, il senso dell’avere e dell’apparire, una gratificazione immediata e totale, e la tendenza a protrarre indefinitamente uno stato di immaturità adolescenziale che protegge e mette al riparo dalla rudezza della realtà.

 

Scrittura di compensazione

Quando a caratterizzare la scrittura sono ricercatezza formale, artificiosità, ed esagerazione spettacolare di firma e lettere maiuscole, si ripiega sulla terminologia usata per indicare la “maschera” indossata dagli attori del teatro classico, con cui Carl Gustav Jung ha rappresentato, anche etimologicamente, una sorta di “involucro dell’Io”, il ruolo cioè assunto nell’entrare in rapporto con gli altri, la “facciata” dietro la quale, attraverso tutta una serie di adattamenti, abbiamo costruito un’immagine, socialmente apprezzabile o per come ci veniva richiesta, di noi stessi. Si tratta, quindi, di una “scrittura di compensazione”, costruita ed elaborata per comodità, colmare un vuoto, una vulnerabilità, un senso di inadeguatezza.

Se l’archetipo della Persona si fissa in una maschera, l’Io diventa unilaterale, irrigidisce la propria identificazione, precludendo ogni spontaneità, si barrica dietro lo scudo protettivo di un’identità artificiale, cristallizzandosi nella rappresentazione di un personaggio che lo nasconda, di un ruolo, che, inconsapevolmente  e irrimediabilmente, pregiudica ogni possibilità di divenire e di realizzarsi. Solamente, in caso di una residua sufficiente flessibilità, non verrà del tutto eliminata un’eventuale mediazione, o un ulteriore adattamento, valido per l’integrazione.

 

Spazio grafico

 

La ripartizione nello spazio può dividere verticalmente od orizzontalmente, ovvero distribuire in “quarti”. Una prima suddivisione in sopra e sotto, distingue l’ottimismo dal pessimismo, indipendenza da conformismo,  sfacciataggine da soggezione, coraggio e indisciplina da rispetto delle norme, imitazione o superficialità. Un’altra banale linea di demarcazione delimita, a sinistra, l’attitudine passiva all’inibizione, e a destra, una tendenza a prendere iniziative (attività).

 

Se, però, la realtà la si tiene in poco conto, nel tracciare l’indirizzo su di una busta da affrancare, si lascia ben poco spazio in alto a destra, al posto riservato appunto al francobollo e ciò accade a causa di un’attività irriflessiva, eppure intensa, di un ancora immaturo bisogno di indipendenza, o per bizarria artistica, letteraria, o scientifica.  Con la tensione della sua attesa e della sua speranza nel futuro, una spinta ascensionale che fagociti aree da rispettare, non si limita a confermare l’intensità della tendenza destrorsa, manifestando contemporaneamente invadenza e indiscrezione. L’area in basso a destra appartiene a chi è intraprendente sul piano materiale, istintuale oppure fisico e pratico. Gli inibiti docilmente, i pessimisti istintivamente, i depressi costrittivamente e cupamente, rimangono emarginati in basso a sinistra. Occupare il quarto in alto a sinistra, denota interessi intellettuali, storici, spirituali, ma anche passività, timore di avventurarsi in un  campo che non sia il proprio, apprensione per il futuro, o un’angoscia radicata in traumi psichici infantili.

 

Impressioni del passato sopravvivono, sotto forma di ricordi attivi, in abituali od occasionali collocazioni all’estremità del margine sinistro. Arsène Aruss ha interpretato quest’incapacità di scollarsi dal bordo della busta nei termini della misantropia, o solitudine spirituale, e rispettivamente, in certi casi di grave calo dell’umore, accompagnato persino da tendenze suicidarie, tipo depressione acuta. La scala che sale verso destra parla di diffidenza. Una disposizione dell’indirizzo tale da lasciare scoperta la parte centrale tende a celare i sentimenti.

Numeri

La chiarezza delle cifre concerne l’atteggiamento verso il denaro. Chi le cifre le scrive chiaramente con una grandezza corrispondente al resto non è succube di problemi finanziari. L’imprecisioe equivale, per lo meno esteriormente, a trascuratezza economica, la qual cosa necessita però, per distinguerla da una finzione,  di conferma nell’esecuzione delle cifre in conti, fatture, tabelle, ecc.. L’ingrandimento corrisponde alla sopravvalutazione del valore pecuniario, ambivalentemente sia da parte dell’avido sia dell’ingenuo privo di senso pratico. Il rimpicciolimento di segni nitidi corrisponde a concentrazione e abilità, altrimenti, assieme all’imprecisione, ribadisce negligenza, o forse parsimonia. Una maggiore pressione sulle cifre piuttosto che sulle lettere svela tensione, inibizione, sforzo lavorativo, oppure un particolare valore attribuito proprio a un determinato simbolo numerico.

Ingranditi, o rimpiccioliti, rispetto al tracciato per esteso, i numeri possiedono peso analogo a quello delle cosiddette “parole affettive”, che, all’interno di un testo, risultano evidentemente di dimensione diversa dalle altre, e dunque più grandi, o più piccole. Tale variazione di misura risponde all’inconscio moto emotivo nei confronti del potere evocativo esercitato sulla memoria e sulla sensibilità di chi scrive o del significato della parola stessa.

 

Fin dagli anni ’30 Anja Teillard annotava come indubbiamente esistano “dei rapporti tra i vari segni grafici che formano il tracciato individuale e la personalità dello scrivente : rapporti che non sono di ordine matematico, e che non possono essere stabiliti unicamente con metodi scientifici … la connessione tra il segno grafico ed il suo valore psicologico è rappresentata dal simbolo”.

 

Essendo i numeri la rappresentazione simbolica di valori materiali, la loro diversa costruzione grafica rivelerebbe, più o meno, marcate predisposizioni verso attività razionali, o di precisione, oppure attitudini di tipo logico o venale, attinenti l’aritmetica e la geometria, che richiedono intelligenza spaziale.

 

Secondo il creatore della “Grafoanàlisis”, “Augusto” Vels, i numeri scritti in maniera chiara e ordinata, ben formati, anche se velocemente, sono quelli che più denotano capacità di calcolo, sottigliezza, cavillosità. Piccoli, con modalità quasi “tipografica”, segnalano attitudini scientifiche. Delineati in modo semplificato, privi però di rigidità, “estetici”, ma senza nessun assillo “calligrafico”, rivelano maggiore attenzione alla bellezza esteriore e all’aspetto artistico degli oggetti, che non al loro valore materiale. Numeri poco strutturati e leggibili, tanto da ingenerare confusione, potrebbero anche appartenere a soggetti abili, ma molto verosimilmente poco scrupolosi, sempre che la scrittura sia sufficientemente dinamica. Altrimenti, affiancati da rallentamenti e ritocchi, sono indice di una qualche inadeguatezza nell’affrontare o risolvere questioni pratiche. Un’impostazione di cifre abitualmente “maldestra” denunzia un rapporto conflittuale con il denaro, forse un certo impaccio nelle speculazioni, o dell’imbarazzo al cospetto di determinati interessi, comunque quanto meno uno scarso senso degli affari.

 

Zephirum

Novem figure indorum he sunt  9-8-7-6-5-4-3-2-1. Cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum appellatur, scribitur quilibet numerus… (Leonardo Fibonacci: “Liber Abaci”, 1202).

 

Unitamente alla punteggiatura e ai tracciati liberi, come le sottolineature, o i paraffi delle firme, i numeri rientrano in quei “piccoli segni”, che per  la loro variabilità di rappresentazione, assumono la valenza di veri e propri “archetipi dell’ordine”, dal grandissimo valore identificativo oltre che di competenza simbolica.

 

Lo zero, inteso come vuoto, niente, eppure distinto dal differente concetto di “assenza di valore”, ricorre, in quei sistemi in cui la lettura di una cifra dipende dalla sua posizione di unità, decine, centinaia, migliaia… (numerazione posizionale decimale). Nelle traduzioni latine dall’arabo, veniva indicato, per pura e semplice assonanza, zephirum, cioè zefiro , quella figura della mitologia greca, personificazione del vento di ponente. L’italiano zero discende dal veneto zevero, così come direttamente dall’arabo sifr proviene il termine “cifra”. Per gli arabi è un punto, mentre con un piccolo circolo si indica il cinque.

Come cerchio, non ha alcun momento di inizio o fine, il che lo avvicina a Dio e all’infinito, oppure alla completezza, al compimento o alla fine di un ciclo. Non avendo ancora raggiunto il limite delle potenzialità, la vita continua ancora in un’altra fase.

 

Nei Tarocchi viene ricordato un antico simbolo del cerchio nel numero palindromo e pentagonale 22 (l’Energia creativa, evoluzione della cifra base 4, capace di plasmare la materia), come lo zero, attribuito al Matto, indubbiamente il più caratteristico dei Trionfi, che può essere giocato in qualunque momento, facendogli assumere un qualsiasi valore corrispondente a un’altra carta; alla stessa stregua, nel conteggio dei punti, viene usato al posto di ciò che non si possiede, quale carta speciale, parallela al Jolly delle carte francesi, raffigurato in un giullare di corte. Insomma ciascuno e nessuno.

 

Come forma simbolica, indica sia il nulla, l’assenza, sia il suo contrario, il tutto (L’Universo), in quanto qualsiasi figura circolare può essere immaginata come vuoto, oppure pieno, in termini quantitativi, ma anche qualitativamente il non-essere, tradotto in linguaggio temporale, il pre-esistente, la latenza, quale quella dell’Uovo Orfico, e l’eternità, o ancora il movimento della ruota.

 

Il segno grafico dello zero scaturisce dalla lettera greca “omicron”, grafema “orale” per eccellenza, e pertanto riconduce all’idea di nutrimento e, trasposto allegoricamente nel vissuto quotidiano, si concretizza in moneta. Seguendo questo presupposto, dello zero sono allora significativi soprattutto formato ed estensione.

 

Cifre indiane, arabe, romane

Attualmente lo zero lo disegniamo con un ovale, o un tondo; nell’enumerazione indiana era invece un rettangolo, piuttosto che un quadrato. Infatti, le cifre indiane, da zero a nove, sono costruite con una serie di trattini uguali, come in una griglia. Per cui si potrebbe ipotizzare una qualche relazione tra il numero dei trattini che compongono una certa cifra, e quindi la simbologia del segno, e la simbologia del numero in sé. Bastano sei trattini per comporre tutti i primi dieci numeri costruiti con righe dritte e angoli, che noi adesso arrotondiamo con un movimento circolare, a volte in senso orario, altre volte al contrario.

 

La quadratura del Cerchio

L’otto, in origine, si componeva del maggior numero di trattini (sei), somigliando alla clessidra, due triangoli opposti, doppio del quattro, un triangolo solo con apice in alto. Considerando l’altezza come spazio e la larghezza quale tempo, dai trattini mancanti al completamento dell’8 si potrebbe valutare la valenza del tracciato delle altre cifre indiane. Adesso che l’8 si forma incrociando, a metà circa, due cerchietti disegnati con un movimento, dapprima in un senso e dopo nell’altro, è divenuto emblema di conoscenza, totalità, trasfigurazione ed equilibrio, e, ruotato di 90°, dell’infinito. In geometria, inoltre, si pone in relazione all’ottagono, figura intermedia tra il mondo terrestre, connotato dal quadrato, e il mondo uraniano, simboleggiato dal cerchio.

 

Il Cappello del Mago

Per significare l’unione del cielo con la terra, l’architettura religiosa, sovrappone una cupola semisferica al cubo. Il cerchietto in alto, la dimensione superiore, quello in basso, solitamente un po’ più grande, l’inferiore. Costituisce così la modalità d’apertura al mondo, secondo le scelte di vita che vanno a toccare tutti i punti cardinali dello spazio interiore. Compare, come cappello, nella prima carta de “Les 22 arcanes du Tarot kabbalistique, dessinés à l’usage des Initiés sur les indications de Stanislas de Guaita par  Oswald Wirth” (1889), Le Bateleur, il Bagatto, o mago, giocoliere, artigiano. Accostato all’asse dell’uno ripropone il Caduceo di Hermes Mercurio. Rappresenta l’Iniziato che riesce a “piegare” l’anello di Moebius (spazio e tempo), il toroide/ovale dell’universo  e, torcendolo su se stesso, ottiene la conoscenza di tutto, l’8 appunto.

 

La morfologia della cifra araba somiglia alla V capovolta, il numero indiano alla X del dieci romano, due V (5) contrapposti e uniti per il vertice. I segni aritmetici della classicità romana sono costituiti dalle sette lettere latine I (maschile), V (femminile), X, L, C, D, M, dalla cui varia combinazione, provengono tutti gli altri. Nell’enumerazione indiana, la coppia formata da 2 e 5 è speculare, quella del 6 e 9 si inverte, in quello che sembra un lancio verso l’infinito, rappresentato dal cerchietto, rispettivamente, in basso o in alto. Nelle cifre arabe succede con 7 e 8, opposti l’uno all’altro, e in parte con 3 e 4, in orizzontale con un’appendice che scende verso il basso il primo, in verticale, a mo’ di epsilon (un 3 rigirato verso destra), il secondo. Soltanto l’uno comunque coincide in tutte e tre le tradizioni scrittorie.

 

La “solitudine” del fallo

Corrispondendo alla lettera “I”, equivalente nell’enumerazione romana, il numero uno rappresenta l’identità, l’immagine di sé, l’Io, che in inglese è proprio “I”. Tracciato senza il filetto iniziale, come una semplice e ferma asta verticale, nella sua essenzialità e positiva “solitudine” di simbolo fallico, indica la linearità del tempo e dello spazio, indipendenza e senso di responsabilità.

 

Punto di partenza verticale, Logos, principio maschile, energia primordiale creativa, divinità suprema, ultima sintesi, universo-mondo, dunque pure totalità, assoluto, infinito. La ”madre” di tutti i numeri dà il senso della riconciliazione, coniugatio oppositorum, unificazione. L’imperativo di Sant’Agostino: “Ex pluribus unum fare” è un motto espressivo di forza e potenzialità. L’unità primordiale, preesistente al dualismo conflittuale e alla polarizzazione in positivo e negativo, equivale allo stato edenico della nascita e di ogni opportunità; apertura, intenzione, volontà, consapevolezza, azione, concentrazione.

 

Il Cosmo e i Pianeti

Nelle cifre arabe, il 7 è una V, in quelle indiane ripresenta l’asticella dell’uno, in obliquo, con un “cappelletto” o un piattello in alto. In conformità con l’equazione 3 (cielo) + 4 (terra) = 7 (cosmo), rappresenta totalità, perfezione, armonia, fortuna, felicità. Per gli assiro-babilonesi, sette erano i pianeti. Sommando i numeri da 1 al 7, si ottiene il numero dei giorni per il ciclo lunare, 28.

 

Il numero sette esprime il processo di maturazione, introspezione, riflessione, autoaffermazione, la persona “ideale” (che si vorrebbe essere), quindi correzione dello squilibrio, cambiamento dei modelli, lotta, cautela, limitazione, disciplina, moderazione, movimento, nuova direzione, indipendenza, risveglio, azione, come pure riposo, preparazione, lungimiranza.

 

L’enfatizzazione della sua misura, già di per sé, risulta una formula di auto-espressione della personalità.

 

Gemelli

Il due rappresenta la coppia. La cifra romana II appare quasi analoga al segno astrologico dei Gemelli, che ricorda gli stipiti di una porta; quella indiana è più decisamente una Z o una S capovolta, un “8” incompleto, non pienamente formato, quasi un unico passaggio, senza ritorno, appunto, dall’alto verso il basso. La dualità implica comunque relazione, possibilità di contatto, a meno che la curva, morbidamente aperta, della testa iniziale non si avvolga “a chiocciola”, come nell’egocentrico.

 

La cifra pari rappresenta opposizione, conflitto, polarità, ed equilibrio precario e temporaneo. Principio femminile, bivalenza, passività, subconscio, divisione, antagonismo, ma pure reciprocità, scelta, cambiamento. Diade, duplicazione, dualismo, contrasto: maschio-femmina, fuoco-acqua, sacro-profano, materia-spirito, cielo-terra….

 

L’Uomo

 

La cifra indiana che contraddistingue il cinque è l’esatta inversione del precedente, quindi anche una lettera S, in segni arabi è un cerchio, mentre nell’enumerazione romana è una V, sostanzialmente la “mano” di quando la matematica, secondo le considerazioni di Hans Freudenthal (1905-1990), non era ancora stata “spogliata dei più rudimentali elementi umani, come le dita”.

Numero nuziale,  perché simbolo d’unione, della ierogamia del cielo (3) e della terra (2), fertile armonia, centralità. Pentagramma, pentalfa dei pitagorici, microcosmo (l’uomo con braccia e gambe aperte). Umanità, libertà, destrezza, comunicazione, apprendimento, fecondità, integrità, sicurezza.

 

Considerato “il numero più instabile ed insieme più reattivo di tutti” segna l’iniziativa personale. Per le sue numerose sfaccettature, diviene indice di grande capacità di adattamento.

 

L’Hexameron

In geometria, il 6 corrisponde all’esagono, costituito da due triangoli sovrapposti e rovesciati (Magen David), richiamando l’armonizzazione delle polarità, l’aggregazione. Segno di equilibrio indeterminato, ambivalente, in quanto risultato della somma che raddoppia il 3; competizione (tra bene e male); numero proprio del Male, l’uomo con le sue colpe e le sue carenze terrene, nonché mediazione. L’Hexameron della Bibbia rappresenta il risultato della Creazione che si è svolta, appunto, in sei giorni. Il “sesto giorno della genesi”, o ruota della vita, fiore a sei petali, rosetta a stella.

 

Il sei è in relazione all’egocentrismo, il cui grado sarebbe proporzionale al rigonfiamento dell’occhiello di base.

 

La triade della triadi

Il 9 si oppone al 6 e si mette in relazione all’adattamento, se costruito in un unico tratto, mentre la dissociazione dell’occhiello dall’asta è significativa di qualche conflittualità, una fragilità di fondo che pregiudica le possibilità di integrazione.

 

”La triade delle triadi” dei Pitagorici proviene dalla moltiplicazione di tre (3×3= 9). Ripropone, anche nelle cifre arabe, l’aspetto della curva che si chiude a cerchio, e ritorna alla molteplicità di significato di quell’Unico simboleggiato dal serpente che si morde la coda (Uroboros), quindi completezza o fine di un ciclo, conclusione, esperienza, integrazione, capacità, solitudine, intelletto, destino, fortuna, gestazione. E difatti rammenta la misura della gravidanza umana e diviene simbolo dello sforzo creativo, servizio incondizionato e azione, inizio e fine, e possiede un valore mistico e rituale nei miti e nei misteri.

 

“…l’Enneade di Atum nacque dal suo seme per opera delle sue dita, quanto all’Enneade di Ptah furono i denti e le labbra della sua bocca che pronunciarono il nome di ogni cosa, e così nacquero Shu e Tefnut…”.

 

Aum

 

Il tre, in cifre romane III somiglia vagamente a una M, in quelle indiane una W rovesciata o ruotata di 90°, la sacra sillaba Aum, ovvero la netta metà destra dell’8″; mancandogli la parte sinistra, è come se la sua “energia”, discendendo dall’alto, si fermasse per stazionare al centro e, poi continuare. Essendo legato all’umore personale, se le due curve mantengono una certa proporzione, indica reazioni affettive equilibrate e serene, se sono invece angolose o difformi, un’emotività meno prevedibile.

 

Si tratta di una struttura dinamica, unificante e produttiva insieme, incarnata nella triade, espressione di perfezione, ordine, totalità, organizzazione gerarchica, in una prospettiva di creatività. Il principio maschile (yang), dinamico e fecondo, del cielo, in opposizione con la terra; il cosmo (i due mondi, superiore e inferiore, cielo e terra) e la persona (inconscio, coscienza e superconscio). Armonia, idealizzazione, bellezza, manifestazione, integrazione, intuizione, comprensione, combinazione, cooperazione, affettività, fecondità, crescita.

 

L’appeso

Per l’enumerazione romana una V preceduta dalla I, nelle cifre arabe una epsilon greca o rovesciamento  del 3 con le gobbe rivolte a destra, e difatti la scrittura araba ha andamento invertito, speculare, sinistrorso. Espressione della realtà terrena, il quattro, viene raffigurato capovolto nella dodicesima lama dei Tarocchi: L’appeso, appunto sospeso per il piede manco, a una trave, con il ginocchio controlaterale ripiegato a croce sull’altra gamba; anche il dodicesimo segno dello zodiaco, i Pesci, corrisponde giusto ai piedi e al sacrificio. La forma è dunque quella di un triangolo superato dalla croce, allegoria della discesa della luce nel buio.

 

”Se il numero tre esprime un’idea, – diceva Platone – quattro è il numero che esprime la sua realizzazione”. Al contrario di tre, numero dinamico, celeste e maschile, il numero quattro, pari, contraddistingue la terra e il principio femminile. Numero simbolico della condizione umana di essere imperfetto, della materia, di una stabilità non evolutiva, ma anche di una possibilità di organizzazione, in contrapposizione al caos e al dinamismo del flusso infinito di energia.

 

In geometria, equivale al cubo, al quadrato e alla croce, quale simbolo dei quattro punti cardinali, le stagioni, le età dell’uomo, il tempo. Per C.G. Jung, si riferisce a tutti quei processi consci e inconsci della mente, indispensabili per realizzare il resto del mondo e della sua realtà, la “quaternità” cioè che sta alla base dell’archetipo della psiche umana. Manifestazione fisica del mondo materiale, universo, resistenza, durezza, limitazione, lavoro; uomo pratico, l’operaio, solido, metodico, ordinato, limitato; costruzione, ma anche routine, o maniacalità.

 

Graficamente potrebbe essere visto come contrario di 7, capovolto, oppure prosecuzione dell’1, arricchito di un trattino verso destra. La cifra indiana evoca il concetto di stabilità soprattutto se i tratti finali si incrociano onde unire l’energia di Marte al rigore critico di Saturno. Il primo  è rappresentato da una lancia dietro lo scudo, oppure una “freccia” che parte da un cerchio e si esteriorizza; la potenza vitale fuoriesce da se stessa in direzione dell’ardore, o dell’ambizione. Il secondo è costituito da una croce, di virtualità da realizzare, situata nello spazio simbolico della spiritualizzazione, che sormonta una semicurva aperta verso sinistra, o coppa di valori soggettivi, la quale, accogliendo l’interiorizzazione, le consente di divenire feconda.

 

Nel glifo di Giove, più simile alla cifra indiana, la forma curva, aperta verso sinistra, ricorda il passato e l’origine della vita, la croce, posta a destra, si trova attaccata sull’asse orizzontale. Il potere realizzatore, da destra, dominio simbolico dell’avvenire, dona la vita a molteplici forme, all’interno di un movimento di espansione infinita.

 

Un paesaggio interiore

Se è ammissibile concepire la scrittura, con Ania Teillard, quale “illustrazione di un paesaggio interiore dove i simboli sono i mezzi che l’inconscio utilizza per affiorare oltre il limite della consapevolezza”, una visione d’insieme delle varie tipologie, da quella antichissima, basata sui quattro temperamenti di Ippocrate, a quella relativamente più recente di Jung, collegata alla Psicologia del profondo, arricchirà di sfumature la percezione dei segni, agevolandone l’interpretazione.

 

Tipologia planetaria

Il metodo di tipologia planetaria di Hélène Saint-Morand (il cui vero nome era Lise Koechlin), basato su un’analisi grafologica strutturata, collega la scrittura ai quattro elementi e, rimandando agli Archetipi Collettivi, distingue 8 tipi planetari; a ciascuno di essi associa una personalità, differenziandone i relativi segni grafici.

 

La Luna, freddo umido, corrisponde all’acqua; Venere, dilatazione dell’umido, all’acqua e all’aria; Giove, dilatazione del caldo, all’aria e al fuoco; il Sole, calore raggiante, al fuoco attizzato dall’aria; Marte, secco ristretto e combattivo, è fuoco; Mercurio, leggerezza secca, terra calda, terra e fuoco; Saturno, freddo secco, terra; la Terra, umida, a sua volta equivale a terra e acqua. Il ciclo della vita comincia con l’acqua, l’alba, l’embrione, la nutrizione, la Luna; segue l’aria, il mattino, l’adolescente, la dilatazione, Venere e Giove; il fuoco, il meriggio, il calore, Sole e Marte, e poi la maturità, il minerale, Mercurio, per terminare nella terra, la sera, la vecchiezza, Saturno e Terra. Luna corrisponde al temperamento ippocratico umido, o linfatico, Venere al linfatico sanguigno, Giove al sanguigno, Sole al sanguigno bilioso, Marte al bilioso, Mercurio al bilioso nervoso, Saturno al nervoso, Terra al nervoso linfatico.

 

La misteriosa energia simbolica espressa dai corpi celesti esercita un innegabile fascino anche solo per la progressione aritmetica con cui si distanziano tra loro. Il firmamento evocativo che, inconsapevolmente, proiettano si riflette pure nell’espressione grafica, per eccellenza emblematica di uno straordinario mondo archetipico, fatto di corrispondenze con le parole, i colori (il 7 bianco o il 3 verde), o con la musica, e basti accennare alle ottave. E difatti  la lettera latina X, che rappresenta l’Uomo e il numero dieci, sarebbe l’1-I sopra di un’ottava; la L (50) il V (5), un’ottava superiore, e così via per la C (100), nei confronti della X, la D (500) per la L, e la M (1000) per la C. Sette pianeti, sette note, sette lettere latine.

 

Forse, ancor prima del bisogno di tracciare delle cifre, o dei caratteri, si è avvertita la necessità di nominarli verbalmente, la qual cosa avviene attraverso delle vibrazioni (verbum).

 

In principio era il Verbo sta scritto nel vangelo di Giovanni, in sanscrito si dice “Nada Brahama”, “Il mondo (dio) è suono”. La pronuncia e l’ascolto di queste variazioni di accenti si traduce in un fonema, che poi verrà riprodotto graficamente, ricreando delle correlazioni tra l’idea, il nome, le oscillazioni della voce, il movimento, i segni. Alla semplice etimologia dei termini linguistici si uniscono allora ben altre, e più profonde, motivazioni.

 

La cimatica insegna come, di fatto, la risonanza influisca sulla materia fisica, con  la prerogativa di creare schemi geometrici. Cosicché, trasmettendo nella sabbia l’emissione di specifiche frequenze e ampiezze, corrispondenti a lettere ebraiche o sanscrite, come la vav di vadai (certamente), o l’approssimante labiodentale di Varuna, si delinea lo schizzo del simbolo alfabetico.

 

La realtà si modella sulla scorta dell’impronta che vi lasciamo e noi ci modifichiamo con essa. L’interferenza fra il significato della parola e la percezione della parola stessa viene messa in evidenza dall’effetto scoperto da John Ridley Stroop (1897-1973), mentre la valenza delle corrispondenze viene suggerita dalle sinestesie.

 

L’alfabeto possiede uno straordinario valore iconico e, nella successione non casuale dei suoi segni, ci riporta a quella fase dell’evoluzione umana, in cui le valenze cosmiche, magiche, e sessuali, dei simboli scritti si ponevano in primissimo piano. Lo studio delle analogie che legano i segni visivi della scrittura con i segni uditivi della parola, da Alfred Kallir definito “semasiologia ” o “semantica bisferica“, documenta come il linguaggio e la scrittura siano il prodotto di un inconscio collettivo  tuttora operante nella comunicazione.

 

Giuseppe M. S. IERACE

 

 

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