Ansia e Stress

L’ansia

L’ansia, la cui etimologia latina richiama concetti quali il sentirsi soffocare, stretti, è connotata da varie sensazioni per lo più spiacevoli fra cui il timore, la paura, l’apprensione, la preoccupazione, la sensazione che le cose possano sfuggire di mano, il bisogno di trovare una soluzione immediata e, nel caso di esposizione prolungata, la frustrazione e la disperazione.

Tuttavia l’ansia è un’emozione naturale e universale; è generata da un meccanismo psicologico di risposta allo stress, il quale svolge la funzione di anticipare la percezione di un eventuale pericolo prima ancora che quest’ultimo sia chiaramente sopraggiunto, mettendo in moto specifiche risposte fisiologiche che spingono da un lato all’esplorazione per identificare il pericolo ed affrontarlo nella maniera più adeguata e, dall’altro, all’evitamento e alla eventuale fuga. Questa caratteristica di interesse ed evitamento nei confronti di un possibile pericolo si ritrova soltanto negli esseri umani e negli animali superiori e favorisce la conoscenza del mondo circostante e un migliore adattamento ad esso.

È per questo motivo che tutti noi abbiamo provato e proviamo ansia e, allo stesso tempo, siamo capaci di comprendere facilmente l’ansia degli altri e di immedesimarci nel loro stato d’animo. L’ansia è insomma un’emozione fondamentale e del tutto spontanea, che ha la funzione di proteggerci dalle minacce esterne preparandoci all’azione e contemporaneamente motivandoci all’interazione con il mondo circostante.

L’ansia ha altre funzioni fondamentali oltre a quella sopraccitata;essa ci consente di impegnarci nei compiti che svolgiamo quotidianamente, in particolar modo in quelle attività che non svolgiamo con interesse ma che dobbiamo portare a termine. Studiare per un esame poco interessante, per esempio, diverrebbe pressoché impossibile se non vi fosse una spinta sottostante di ansia da prestazione. Anche svolgere il proprio lavoro quotidianamente con impegno non sarebbe sempre possibile senza la pressione dell’ansia. Allo stesso modo, anche un’azione apparentemente banale come quella di uscire di casa in tempo per prendere l’autobus o il treno fallirebbe miseramente se fosse esente da ansia.

Questi tipi di ansia sono costruttivi, ovvero risultano funzionali alla nostra sopravvivenza. Fungono da intermediario tra il mondo esterno e il nostro mondo psichico interno, rendendoci capaci di far fronte ai problemi della vita e di adoperarci per migliorare il nostro adattamento all’ambiente. Sono dunque fattori di crescita e sviluppo della personalità che forniscono stimoli e motivazione all’accrescimento.

L’ANSIA CATTIVA – DISFUNZIONALE

Tuttavia può accadere che non siamo capaci di superare del tutto una situazione di pericolo, oppure allo stato d’allarme e attivazione non corrisponde un pericolo reale da fronteggiare e risolvere; in tal caso l’ansia si trasforma da risposta del tutto naturale e adattiva a sproporzionata o irrealistica preoccupazione, ed assume una connotazione di un disturbo psichico, perdendo la funzione di elemento di crescita e maturazione, divenendo piuttosto un elemento di disgregazione della personalità. È così che l’ansia perde la sua funzione adattiva tesa a favorire il rapporto con l’ambiente, provocando al contrario disadattamento e perdita di contatto con l’ambiente stesso. Questa evenienza può presentarsi per diversi motivi, spesso difficilmente identificabili; in generale accade poiché vi è una valutazione errata delle percezioni che riceviamo da parte dei nostri processi cognitivi.

Quando ciò accade la persona tende a sviluppare varie tipologie di comportamento, in genere di tipo patologico, al fine di tenere sotto controllo le forti angosce che la attanagliano continuamente. Un esempio è il comportamento di evitamento, attraverso il quale la persona evita volontariamente e ripetutamente il contatto con la fonte d’ansia (per esempio la vicinanza ai cani nel caso di soffre di fobia verso questi animali), alimentando in maniera sempre maggiore la paura verso di essa. Nei casi più gravi può accadere che la persona perda la consapevolezza della fonte della propria ansia, rimuovendola a livello inconscio. Il meccanismo di difesa della rimozione agisce come una sorta di censura della mente, relegando i pensieri e i ricordi spiacevoli e minacciosi ad una parte inconscia della psiche. Questi elementi non vengono più ricordati, tuttavia restano presenti e continuano, di tanto in tanto, a generare angoscia. A questo punto l’ansia diventa generalizzata e non ha apparentemente una causa visibile.

Un altro fattore importante da tenere in considerazione è costituito dai vantaggi secondari del comportamento di evitamento. Infatti chi soffre di ansia può in un certo senso “approfittare” della sua situazione per ottenere aiuto dagli altri, magari anche in modo non del tutto consapevole; per esempio, tornando all’esempio del cinofobico (chi soffre di paura dei cani), egli potrebbe evitare di uscire di casa da solo per paura di essere aggredito da un cane e chiedere ad un familiare o ad un amico di accompagnarlo ogniqualvolta deve allontanarsi da casa. O addirittura chiedere ad un’altra persona di svolgere le attività al posto suo. Questo tipo di comportamento non fa altro che tenere la persona a distanza dalla sorgente delle proprie angosce, impedendole di affrontarle e risolverle costruttivamente.

Un tipo di ansia disfunzionale molto diffuso è, per esempio, l’ansia da prestazione. Essa si manifesta spesso negli studenti universitari, sotto forma di ansia da esame. Da un punto di vista cognitivo, l’ansia da esame determina sentimenti di fragilità ed inadeguatezza. La vulnerabilità dello studente che soffre di questo tipo di ansia è legata alla prestazione, ovvero alla paura di ricevere un voto basso, di perdere la stima dei propri genitori o del partner, o di vedere compromesso il proprio giudizio sociale. La rigidità di questa posizione subisce continui rinforzi da varie idee irrazionali del tipo: <<Devo essere perfetto>>, <<Ho valore solamente se ottengo risultati>>, <<Se non ho successo gli altri mi criticano, mi isolano ed emarginano>>. Tale visione assolutistica viene inoltre proiettata nel futuro, il quale viene immaginato come desolante e privo di possibilità di miglioramento, generalizzando la situazione dell’esame a tutte le altre situazioni della vita: <<Diventerò un buono a nulla>>, <<La mia vita sarà insoddisfacente ed inutile>>, <<Gli altri non mi stimeranno mai>>.

L’ansia disfunzionale può colpire sia gli adulti che i bambini; esiste infatti un tipo di ansia, definita ansia da separazione, che si configura come un vero e proprio disturbo del periodo infantile. La caratteristica principale del disturbo è l’ansia eccessiva manifestata dal bambino quando si deve separare da qualcuno della famiglia a cui è profondamente legato. Tale stato di ansia si manifesta ogniqualvolta il bambino viene lasciato solo, causando paure irrealistiche e persistenti riguardo al verificarsi di eventi catastrofici che lo possano separare per sempre dai genitori. Il bambino non può essere lasciato solo neppure per pochi istanti.

ANSIA DI TRATTO E ANSIA DI STATO

L’ansia non si manifesta come un fenomeno unitario, ovvero è possibile rilevare due diverse tipologie di ansia, che sono rispettivamente l’ansia di tratto e l’ansia di stato.

Ansia di tratto:

Questa tipologia di ansia si caratterizza come un elemento relativamente stabile della personalità. Chi possiede un tratto di ansia manifesta un atteggiamento comportamentale il quale rispecchia la modalità con cui egli tende a percepire come pericolosi o minacciosi determinati stimoli e situazioni ambientali. In pratica lo stile percettivo di tipo ansioso della persona si estende anche agli altri ambiti della sua esperienza di vita, diventando a tutti gli effetti una caratteristica di personalità.

Coloro che mostrano un tratto di ansia più sviluppato manifestano una reattività maggiore ad un grande numero di stimoli; insomma reagiscono con preoccupazione anche in quelle situazioni che non rappresentano una fonte di minaccia per la maggior parte degli individui. Queste persone hanno una probabilità maggiore di presentare ansia di stato in circostanze a basso potenziale ansiogeno, come per esempio le normali attività quotidiane, o di sperimentare livelli più elevati di ansia di stato in presenza di stimoli ansiogeni.

Ansia di stato:

L’ansia di stato si manifesta come una interruzione del continuum emozionale, cioè provoca una rottura nell’equilibrio emotivo della persona; si esprime per mezzo di una sensazione soggettiva di tensione, preoccupazione, inquietudine, nervosismo, reattività. Risulta associata ad una attivazione del sistema nervoso autonomo, il quale provoca una serie di attivazioni fisiologiche. Elevati livelli di ansia di stato risultano particolarmente spiacevoli, disturbanti e addirittura dolorosi, al punto di indurre la persona a mettere in atto dei meccanismi comportamentali di adattamento finalizzati a porre fine a queste sensazioni. Tuttavia questi meccanismi possono non raggiungere lo scopo, lasciando spazio ad altri comportamenti, questa volta di tipo maladattivo, che portano all’effetto opposto, ovvero all’aumento ulteriore dell’ansia, avviando una circolo vizioso di tipo patologico.

LE COMPONENTI DELL’ANSIA

L’ansia è costituita da tre diverse componenti:

  1. Componente comportamentale la quale, come visto in precedenza, viene attivata con la finalità di reagire alla situazione e ristabilire le condizioni ottimali di benessere. Le possibilità sono due: affrontare di petto il problema che si è presentato oppure evitarlo. Nel primo caso, se per esempio si manifesta una situazione inaspettata per la quale si è impreparati, si reagisce analizzando il problema e preparando una soluzione adeguata. Nel caso dell’evitamento invece si tende a rimandare il problema, ottenendo un senso di sollievo immediato, per poi lasciare posto ai sensi di colpa e lesioni dell’autostima, aumentando il rischio che questo genere di situazione si ripresenti in futuro come per l’effetto di una abitudine.
  1. Componente cognitiva rappresentata da una serie di processi mentali volti a valutare se stessi e la situazione in cui ci si trova. Tra questi:
    • il fatto di concentrarsi esclusivamente sugli aspetti percepiti come maggiormente minacciosi;
    • valutare in modo irrealistico e irrazionale la realtà, per esempio considerare il giudizio circa la riuscita o meno di un compito come un giudizio globale sulla persona (“se non riesco a fare questo sono un incapace.“);
    • l’autosvalutazione, per esempio pensare di non essere in grado si svolgere un determinato compito, di non essere all’altezza, di non potercela fare;
    • la catastrofizzazione, ovvero sopravvalutare la situazione esterna fino al punto di convincersi che è qualcosa di incontrollabile e sentirsi sopraffatto da essa come di fronte ad un cataclisma;
    • il perfezionismo, ovvero la tendenza a rimandare continuamente la decisione di affrontare un compito, un problema o la valutazione da parte di altri fino a quando non ci si ritiene perfettamente preparati.
  2. Una base fisiologica che prepara e predispone l’organismo all’azione. Le principali modificazioni fisiologiche sono:
  1. l’aumento della tensione muscolare con conseguente potenziamento dell’afflusso sanguigno ai muscoli (per poter reagire prontamente con la fuga o l’attacco in caso di necessità);
  2. la tachicardia in cui l’accelerazione dei battiti del cuore risulta percepibile ed è finalizzata a pompare una maggiore quantità di sangue alle parti dell’organismo che vengono attivate. Aumento della pressione sanguigna;
  3. l’iperventilazione, cioè l’aumento della frequenza respiratoria al di fuori del controllo della persona, che può portare a provare un senso di vertigine e nei casi più gravi ad un annebbiamento della vista e progressiva diminuzione della capacità di comprensione;
  4. l’aumento della sensibilità dell’organismo agli agenti esterni, per esempio maggiore dilatazione delle pupille e sensibilità al dolore.

Lo Stress

Stress e ansia sono strettamente collegati, tant’è che possiamo considerarli come due facce della stessa medaglia; come già detto nelle pagine precedenti il rapporto individuo/ambiente è soggetto a frequenti interazioni di tipo stressorio, le quali possono provocare come conseguenza l’ansia. Glistressors, ovvero gli elementi ambientali (intesi anche come situazioni, esperienze o persone) che producono una sollecitazione sull’organismo, subiscono sempre un’elaborazione di tipo cognitivo, dalla quale dipende in gran parte la reazione della persona. L’ansia deriva da queste elaborazioni, per esempio nel caso in cui la persona percepisca il pericolo come reale e desideri liberarsene. Lo stress in sostanza è la prima sollecitazione che l’organismo subisce quando vi è un cambiamento nell’equilibrio tra organismo e ambiente. L’ansia è una sua possibile conseguenza.

Lo stress può essere di due tipi:eustress(eu: in greco, buono, bello) odistress(dis: cattivo, morboso). L’eustress, o stress buono, è quello indispensabile alla vita, che si manifesta sotto forma di stimolazioni ambientali costruttive ed interessanti. Un esempio può essere una promozione lavorativa, la quale attribuisce maggiori responsabilità ma anche maggiori soddisfazioni. Il distress è invece lo stress cattivo, quello che provoca grossi scompensi emotivi e fisici difficilmente risolvibili. Un esempio può essere un licenziamento inaspettato, oppure un intervento chirurgico.

Ognuno di noi risponde agli eventi stressanti in modo diverso, questo perché ogni persona fa esperienze diverse e fa proprie strategie interpretative e di pensiero diverse. Inoltre un ruolo fondamentale nell’interpretazione degli eventi, sia interni che esterni, spetta all’apprendimento. Noiimpariamoa comportarci in un certo modo di fronte a certi stimoli e questi meccanismi di apprendimento agiscono in modo automatico, al di fuori della nostra consapevolezza. Le nostre stesse valutazioni personali degli eventi e delle cose subiscono l’effetto dell’apprendimento e una volta consolidatesi funzionano in modo relativamente autonomo. Gli schemi comportamentali e di pensiero hanno la funzione di farci risparmiare energia sia fisica che mentale, infatti si basano su esperienze pregresse già elaborate, facilmente rievocabili.

La risposta di stress si esplica in tre fasi; nella prima fase, definita fasedi allarme, lo stressor suscita nell’organismo un senso di allerta, definito arousal (vedi glossario), con conseguente attivazione dei processi psicofisiologici già descritti a proposito della reazione d’ansia (aumento del battito cardiaco, iperventilazione ecc.). Dopodiché, nellafase di resistenza, l’organismo tenta di adattarsi alla situazione e gli indici fisiologici tendono a normalizzarsi anche se lo sforzo attuato è molto intenso. Nel caso in cui l’adattamento non sia sufficiente si arriva alla terza fase,la fase dell’esaurimento, in cui l’organismo non riesce più a difendersi e la naturale capacità di adattamento viene a mancare.

Quest’ultima fase è la più pericolosa, in quanto l’esposizione prolungata ad una situazione di stress può provocare l’insorgenza di patologie sia fisiche che psichiche (vedi disturbi d’ansia). In particolare, lo stress cronico attiva un circuito composto da strutture cerebrali e da una ghiandola endocrina (asse ipotalamo-ipofisi-surrene), il surrene, il quale aumenta la secrezione dicortisolo. Quest’ormone, anche conosciuto come ormone dello stress, se presente in quantità superiori alla norma provoca vari disturbi (leggi anchestress e malattia).

Tra i sintomi più frequenti dello stress ricordiamo: frequente sensazione di stanchezza generale, accelerazione del battito cardiaco, difficoltà di concentrazione, attacchi di panico, crisi di pianto, depressione, frustrazione, attacchi di ansia, disturbi del sonno, dolori muscolari, ulcera dello stomaco, diarrea, crampi allo stomaco, colite, malfunzionamento della tiroide, facilità ad ammalarsi, difficoltà ad esprimersi e a trovare un vocabolo conosciuto, sensazione di noia nei confronti di ogni situazione, frequente bisogno di urinare, cambio della voce, iperattività, confusione mentale, irritabilità, abbassamento delle difese immunitarie, diabete, ipertensione, cefalea, ulcera.

STRESS, PERSONALITÀ E LAVORO

A partire dalla metà del Novecento la psicosomatica (vedi glossario) si è imposta, come scopo principale, quello di individuare delle caratteristiche psicologiche specifiche che potessero essere considerate come veri e propri fattori di rischio nei confronti delle malattie. Da queste ricerche sono emersi dati molto interessanti su ciò che concerne il rapporto tra la personalità e la tolleranza allo stress; in particolare è stato possibile suddividere i comportamenti umani in due gruppi, definiti Tipo A e Tipo B (Friedman e Rosenman, 1959).

Gli individui appartenenti al Tipo A sono quelli più esposti allo stress, e presentano una maggiore probabilità di soffrire di qualche disturbo sia fisico che psichico dovuto alla pressione di eventi stressanti (leggi anche stress e malattia). Essi sono, per esempio, molto vulnerabili nei confronti delle malattie cardiovascolari (infarto, ictus, ipertensione etc.). Coloro che appartengono al Tipo B invece, manifestano una più elevata capacità di fronteggiare situazioni potenzialmente stressanti, rendendo di conseguenza minore il rischio di ammalarsi. La differenza tra le due tipologie non dipende tuttavia dal fatto di possedere due diverse e ben definite strutture di personalità, quanto al modo in cui viene organizzata la risposta a situazioni stressanti.

Comportamento di Tipo AComportamento di Tipo B
-Competitività spinta e diffusa a tutti gli aspetti della vita. Tendenza alla sfida e alla lotta.

-Aggressività (spesso repressa) presente costantemente in tutte le interazioni personali e sociali.

-Impazienza, insofferenza per i diversi ritmi altrui e per l’insufficienza degli altri.

-Tensione muscolare, discorso “esplosivo”, ipervigilanza, difficoltà al rilassamento.

-Tendenza a voler fare e ottenere un illimitato numero di cose in un limitato periodo di tempo.

-Necessità spinta di avere costantemente il controllo totale nelle situazioni.

-Spinta all’acquisizione di cose, oggetti, beni e in generale al consumo.

-Spesso fumo, alcool, attività orali ripetitive.

-Poca attività fisica.

-Pochi interessi alternativi al lavoro.

-Alimentazione irregolare ed eccessiva.
-Competitività selettiva e proporzionata alla reale importanza degli obiettivi da raggiungere.

-Aggressività “fisica” indotta da stimoli adeguatamente frustranti. Aggressività di base ridotta.

-Capacità di adeguarsi e di tollerare la diversità degli altri ed i loro differenti ritmi.

-Rilassamento muscolare, discorso tranquillo, vigilanza “fasica” facilità di rilassamento.

-Tendenza a proporzionare le cose da fare e da ottenere in rapporto al tempo disponibile.

-Ridotta importanza dell’avere costantemente il controllo in tutte le situazioni.

-Relativa indifferenza al consumo e all’acquisizione di cose inutili.

-Fumo e alcool molto limitati.

-Attività fisica.

-Interessi alternativi al lavoro.

-Alimentazione controllata.

Le persone che posseggono le caratteristiche del Tipo A sono anche quelle che risentono in misura maggiore dello stress lavorativo. Infatti le pressioni lavorative, le scadenze, il sovraccarico, le difficoltà con i colleghi, le richieste lavorative a cui è difficile rispondere possono incidere profondamente sui modi con cui una persona percepisce e considera il proprio lavoro. Sentirsi sotto grave tensione costituisce un esito negativo, mentre sentirsi sfidati e in grado di rispondere a tali sfide rappresenta un risultato positivo. In altre parole, l’impatto degli stressors (vedi pagina precedente) lavorativi e la risposta personale risultano modulati da come la persona stessa percepisce i fattori di stress. Non è semplice giudicare il concreto impatto dello stress nelle situazioni lavorative, tuttavia alcune stime suggeriscono che circa la metà dei giorni lavorativi persi negli Stati Uniti per assenteismo risultano collegati a stati di stress (Elkin e Rosch, 1990). Le caratteristiche del lavoro che sono più facilmente associate con lo stato di stress sono:

  • Il rumore eccessivo, che rende molto più difficile la concentrazione e la comunicazione con i colleghi.
  • Il sovraccarico lavorativo. Un numero di ore lavorative superiore alle 40 ore settimanali.
  • La mancanza del tempo indispensabile per svolgere un compito. Dover quindi lavorare in fretta e in modo poco preciso.
  • La scarsa varietà delle attività. Svolgere sempre le stesse mansioni.
  • La monotonia delle attività svolte. Le attività vengono eseguite in modo meccanico e senza partecipazione.
  • L’insufficienza o la mancanza di un riconoscimento o di una ricompensa per una buona prestazione.
  • L’assenza di discrezionalità e di controllo. Quando non è possibile controllare in modo diretto i propri compiti e viene a mancare la possibilità di poterli svolgere nella maniera che si desidera.
  • La presenza di eccessive responsabilità.
  • L’ambiguità di ruolo. Mancanza di informazioni chiare a proposito delle condotte lavorative da adottare e imprevedibilità delle conseguenze delle proprie attività.
  • Il conflitto con i colleghi o con i superiori. Mancanza di accordo con i colleghi di lavoro circa le procedure lavorative e interferenze di ruolo.
  • L’insoddisfazione, la mancanza di realizzazione personale. Quando manca, per esempio, la certezza di un lavoro stabile o la possibilità di avanzamento professionale. Oppure non è possibile esprimere il proprio talento e le proprie capacità.
  • L’essere oggetto di pregiudizi, minacce, vessazioni. Queste situazioni portano a ciò che viene definito “mobbing“.

Il termine mobbing è stato coniato agli inizi degli anni ’70 dall’etologo Konrad Lorenz per descrivere un comportamento tipico di alcune specie animali che circondano un proprio simile e lo assalgono rumorosamente in gruppo al fine di allontanarlo dal branco. Il mobbing sul posto di lavoro può essere di due tipi: il mobbing gerarchico e il mobbing ambientale; nel primo caso gli abusi sono perpetrati dai superiori della vittima, la quale viene destinata a mansioni umilianti, nel secondo caso invece sono i colleghi della vittima ad isolarla, a privarla apertamente della ordinaria collaborazione, dell’usuale dialogo e del rispetto.

La pratica del mobbing consiste nel vessare il collega di lavoro subordinato o il dipendente con svariati metodi di coercizione psicologica e fisica. Ad esempio, sottraendo lavoro gratificante per affidarlo ai colleghi; oppure attraverso la dequalificazione delle mansioni stesse che vengono ridotte a compiti banali quali fare caffè o fotocopie, o comunque a compiti molto operativi e con scarsa autonomia decisionale. Altra pratica diffusa è quella dei rimproveri e dei richiami, espressi in privato ed in pubblico, per errori normalmente trascurabili. Ancora, il mobbing si manifesta nel fornire volontariamente attrezzature di lavoro di scarsa qualità, computer e stampanti che si guastano, arredi scomodi, ambienti male illuminati; spesso si rende irreperibile anche l’assistenza tecnica. Se il dipendente resta in malattia, vengono inviate dai capi dell’azienda continue visite fiscali a casa del lavoratore. Quando la vittima ritorna sul posto di lavoro, spesso trova la scrivania sgombra o portata via e il computer scollegato dalla rete aziendale.

Un altro fenomeno che può colpire i lavoratori, in questo caso coloro che esercitano professioni di aiuto quali psicologi, psichiatri, assistenti sociali, infermieri etc, è il burnout. Il burnout si configura come uno stato di malessere, di disagio, che consegue ad una situazione lavorativa percepita come stressante e che conduce gli operatori a diventare apatici, cinici con i propri “clienti”, indifferenti e distaccati dall’ambiente di lavoro. In casi estremi tale sindrome può comportare gravi danni psicopatologici (insonnia, problemi coniugali o familiari, incremento nell’uso di alcol o farmaci) e deteriora la qualità delle cure o del servizio prestato dagli operatori, provocando assenteismo e alto turnover.