Programmazione Neurolinguistica

John Grinder e Richard Bandler

Il modello terapeutico della Programmazione Neurolinguistica è stato sviluppato negli anni ’70 negli Stati Uniti da un matematico, Richard Bandler, e un linguista, John Grinder; esso si può inserire all’interno delle terapie ipnotiche e cognitive (M.H. Erikson, E.L. Rossi, 1979), e propone come aspetto basilare quello di non fondarsi su riferimenti filosofici, umanistici o dottrinari propri di varie correnti psicoterapeutiche bensì su un deliberato pragmatismo non vincolato ad alcuna teoria.

La credenza base è che “la mappa non è il territorio“; questa affermazione significa che quello che pensiamo non è necessariamente quello che è. La mappa sono i nostri pensieri, il nostro modo di vedere il mondo, ed il territorio è il mondo e la realtà esterna. In altre parole le rappresentazioni interne che ci facciamo riguardo ad un evento esterno non sono necessariamente l’evento stesso.

La Programmazione Neurolinguistica viene definita come lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva, e si propone di offrire un vocabolario ampio e attendibile per la lettura della ‘black box’.

Le caratteristiche di questo approccio sono evidenti all’interno di tre assunti: il primo si rifà alle capacità creative ed organizzative della mente inconscia; il secondo prevede la descrizione particolareggiata dei processi sensoriali propri della persona, i quali hanno il compito di organizzare i contenuti della scatola nera, insieme alle strategie di decodificazione che influenzano i comportamenti messi in atto in risposta agli stimoli; il terzo riguarda un insieme di tecniche terapeutiche ben precise (R. Bandler, J. Grinder, 1978), basate sulla capacità del terapeuta di entrare in stretto contatto con l’emisfero non dominante del paziente, così come con i suoi processi cognitivi, comportamentali o inconsci.

L’obiettivo principale della terapia è dunque quello di portare pian piano il paziente ad una ristrutturazione maggiormente funzionale delle sue strategie interne utilizzando tecniche ed esercizi specifici, come l’uso di metafore, enigmi a chiave, suggestioni indirette e racconti didattici (M.H. Erikson, 1982).

Il senso dell’intervento è quello di modificare i processi sensoriali dell’emisfero non dominante, identificati come responsabili dell’organizzazione e del mantenimento del disagio psichico che ha spinto il soggetto a rivolgersi al terapeuta; l’esito positivo della terapia dipende quindi dalla capacità di creare un rapporto tra terapeuta e paziente, più che dagli specifici contenuti analizzati o dall’approccio utilizzato.

Lo stile dell’intervento è di tipo didattico-esperienziale, sulla base dell’idea di non dover insegnare ‘forme’ di psicoterapia quanto le strategie di coloro i quali hanno mostrato particolari doti nel lavoro terapeutico, indipendentemente dalla scuola di appartenenza. La metodologia è dunque quella di identificare le strategie dei ‘migliori’ psicoterapeuti e in seguito imparare a riprodurle. L’ambito di applicazione è quello di pazienti non gravi e con discrete risorse individuali, ma si trovano riferimenti a strategie utilizzabili con pazienti psicotici (M.H. Erikson, 1982).

Sebbene la PNL possa essere anche utilizzata come uno strumento di risoluzione di problemi comportamentali, le sue applicazioni sono molto più vaste. Anche quando utilizzata in tal senso, è essenzialmente un processo per insegnare alle persone a usare la propria mente più creativamente.

Un practitioner di PNL può aiutare un cliente ad identificare e a cambiare l’impatto di modelli comportamentali negativi derivati dal passato rimpiazzandoli con positivi e più utili modelli. Per le sue caratteristiche di modello di comunicazione interpersonale, la Programmazione Neurolinguistica viene utilizzata nelle attività di formazione imprenditoriale ed organizzativa, nella selezione del personale e nell’attività didattica.

 

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