Evoluzione dei concetti di disturbo antisociale di personalità e psicopatia nel DSM
Il termine “psicopatico” venne coniato con il lavoro di Cleckley (1976), The Mask of Sanity, in cui egli delineò i tratti salienti della personalità psicopatica (di seguito parlerò più estesamente di questa opera); esso cadde in disuso nei decenni che seguirono la pubblicazione. Il termine “sociopatico” venne usato per un certo periodo, apparentemente come riflesso delle origini sociali più che psicologiche di alcune delle difficoltà presentate da questi individui.
Dalla pubblicazione del DSM-II nel 1968 l’espressione “personalità antisociale” divenne la denominazione prediletta. Con la pubblicazione del DSM-III nel 1980, il disturbo antisociale di personalità è stato significativamente modificato rispetto alla descrizione originale di Cleckley: i criteri del DSM-III hanno fornito maggiori particolari diagnostici rispetto a quelli di qualunque altro disturbo di personalità, ma hanno ristretto il punto focale del disturbo ad una popolazione criminale verosimilmente connessa con ceti sociali inferiori oppressi ed economicamente svantaggiati (Halleck, 1981; Meloy, 1988; Modlin, 1983).
Alcuni ricercatori rilevarono che, quando i criteri del DSM-III venivano applicati a criminali in carcere, nella maggior parte dei casi (50-80%) era possibile diagnosticare un disturbo antisociale di personalità (Hare, 1983; Hart, Hare, 1998). Risultati nettamente diversi si ottenevano però utilizzando criteri diagnostici più strettamente in accordo con quanto esposto da Cleckley, in cui era enfatizzata la psicopatia. Ad esempio, se veniva utilizzata la Psychopathy Checklist-Revised di Hare (PCL-R), soltanto nel 25% dei casi i detenuti esaminati risultavano essere classificabili come psicopatici (Hare, 1991; Hare et al., 1991). In uno studio su 137 donne dipendenti da cocaina che avevano richiesto un trattamento (Rutherford et al., 1999) era possibile diagnosticare un disturbo antisociale di personalità secondo i criteri del DSM in oltre il 25% dei casi, ma soltanto nell’1.5% di queste donne poteva essere diagnosticato un moderato grado di psicopatia secondo la PCL-R.
Gli studiosi che hanno contribuito alla stesura del DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994) hanno deliberatamente cercato di porre un’enfasi maggiore sui tratti di personalità associati a psicopatia, tentando anche di semplificare i criteri senza modificare sostanzialmente il quadro clinico descritto dalla diagnosi (Widiger et al., 1996). Il termine “psicopatico” ha goduto di una crescente popolarità negli ultimi anni come termine diagnostico che implica particolari caratteristiche psicodinamiche e anche biologiche che non trovano riscontro nei criteri del DSM-IV del disturbo antisociale di personalità (Hart, Hare, 1998; Meloy, 1988; Person, 1986; Reid et al., 1986). Meloy (1988) ha utilizzato questa definizione per descrivere individui con una totale assenza di empatia e uno stile relazionale sadomasochistico fondato sul potere piuttosto che sul legame emotivo.
Uso della terminologia e differenze tra i disturbi
La letteratura disponibile riguardo al disturbo antisociale di personalità e alla psicopatia è piuttosto vasta; essa presenta però il più delle volte un limite nell’uso della terminologia indicante i due disturbi: i termini vengono spesso utilizzati come sinonimi, e questo certo non favorisce la comprensione di essi e la loro differenziazione. Nel mio lavoro ho cercato di rintracciare le differenze presenti tra essi e di fare riferimento il più possibile a testi e ricerche che presentassero una distinzione tra i due disturbi e si riferissero con precisione all’uno od all’altro. Nell’ambito psicologico questo problema è stato piuttosto forte; in ambito criminologico i testi hanno cercato di ovviare riferendosi al criminale affetto da uno o dall’altro disturbo come ad un “sociopatico”, creando dunque una confusione maggiore.
La diagnosi di disturbo antisociale viene posta più frequentemente rispetto a quella di psicopatia, in quanto quest’ultimo disturbo possiede criteri diagnostici più severi. Nei due disturbi l’attenzione viene concentrata su aspetti differenti: in quello antisociale si fa maggiormente riferimento al comportamento del soggetto, al fatto che egli abbia la tendenza a mettere in pratica tutti i suoi impulsi, mentre nel caso della psicopatia ci si concentra sulla dimensione affettiva ed interpersonale. Ciò si rende evidente osservando i principali sintomi presenti nei pazienti che soffrono di questi disturbi: nel caso del disturbo antisociale abbiamo il fallimento nel conformarsi alle norme sociali, la tendenza alla manipolazione, l’impulsività, la mancanza di pianificazione, una forte irritabilità e aggressività, il disinteresse per la propria sicurezza e quella altrui, la totale irresponsabilità, la mancanza di rimorso dopo aver danneggiato altre persone, i frequenti problemi con la legge, l’incapacità di creare e gestire relazioni interpersonali. Nel caso del soggetto psicopatico si parla di fascino superficiale, grandioso senso di valore personale, grande intelligenza, assenza di segni di pensiero irrazionale o di nervosismo, egocentrismo patologico, incapacità di provare amore o affetto, bisogno di stimolazioni, uso patologico di menzogne e manipolazione, mancanza di rimorso e senso di colpa, insensibilità e mancanza di empatia e di insight, scarso controllo comportamentale, mancanza di obiettivi realistici, impulsività, irresponsabilità, relazioni sentimentali brevi, tendenza alla criminalità. Appare dunque evidente come il soggetto psicopatico presenti una gamma di sintomi più ampia e incentrata sugli affetti e l’instaurazione di relazioni dannose con gli altri.
Inoltre, mentre le azioni del soggetto antisociale sono dettate dall’impulsività fine a se stessa, nel caso dello psicopatico puro si ritrovano pensieri finalizzati all’azione, forme di progettazione dettagliate ed elaborate, sempre tese al proprio guadagno e al danneggiamento altrui; esse sorgono comunque da impulsi improvvisi. Un altro aspetto caratterizzante la psicopatia è l’uso e la capacità di simulazione di emozioni: ciò mostra come in realtà gli psicopatici siano in grado di utilizzare forme di metacognizione per giungere ai loro scopi; questi soggetti sono del tutto privi di empatia, ma sono particolarmente capaci di riconoscere ciò che gli altri provano da un punto di vista intellettivo. Ciò li rende particolarmente abili nel manipolare le persone.
Dal punto di vista sociologico, è stato osservato che i pazienti affetti da disturbo antisociale di personalità provengono da famiglie disagiate, e sembrano vivere ai margini della società; i pazienti psicopatici invece appaiono ben integrati e appartenenti alla classe medio-alta. I primi vedono nel crimine una modalità di sopravvivenza, mentre gli ultimi hanno un impiego e si dedicano al crimine per scopi diversi. Partendo dalle differenti origini socio-culturali è stato osservato come l’educazione del paziente antisociale sia nettamente inferiore rispetto a quella dello psicopatico. Anche il cosiddetto “modus operandi” all’interno della società è profondamente diverso: l’antisociale appare in pubblico come poco rispettoso della sicurezza propria e altrui e delle regole, nonché molto impulsivo e non nasconde i suoi comportamenti irrispettosi, mentre lo psicopatico si mostra particolarmente sofisticato, agisce soppesando ogni azione e in modo prudente e metodico al fine di portare avanti i suoi piani dannosi. Infine, dal punto di vista dei crimini commessi, sembra che i pazienti antisociali abbiano alle spalle una lunga storia di arresti per svariati crimini come rapine od omicidi, mentre gli psicopatici ne presentano una più breve, proprio per il loro evitare di agire allo scoperto che porta ad una conoscenza piuttosto tardiva dei crimini commessi da parte delle autorità giudiziarie.
Per queste differenze sostanziali tra i due disturbi alcuni studiosi (in particolare Hare, che ha dedicato la vita allo studio di questo campo) premono affinché la psicopatia venga ufficialmente riconosciuta come disturbo a sé stante e integrata all’interno della prossima edizione del DSM.
Bibliografia:
American Psychiatric Association (1994). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV). Tr. it. Masson, Milano 1996;
Cleckley, H. (1976). The Mask Of Sanity (5th ed.). Mosby, St. Louis;
Halleck, S.L., (1981). Sociopathy: ethical aspects of diagnosis and treatment. Curr. Psychiatr.Ther., 20, 167-176;
Hare, R.D., (1983). Diagnosis of antisocial personality disorder in two prison populations. Am. J. Psychiatry, 140, 887-890;
Hare, R.D., (1991). The Hare Psychopathy Checklist. Revised. Multi-Health System, Toronto;
Hare, R.D., Hart, S.D. & Harpur, T.J. (1991). Psychopathy and the DSM-IV criteria for antisocial personality disorder. J. Abnorm. Psychol., 100, 391-398;
Hart, S.D., Hare, R.D. (1998). Associazione tra psicopatia e narcisismo: ipotesi teoriche e prove empiriche. Tr. it. In: Ronningstam, E.F. (a cura di) I disturbi del narcisismo. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2001;
Meloy, J.R., (1988). The Psychopathic Mind: Origins, Dynamics, and Treatment. Jason Aronson, Northvale;
Modlin, H.C., (1983). The antisocial personality. Bull. Menninger Clin., 47, 129-144;
Person, E.S., (1986). Manipulativeness in entrepreneurs and psychopaths. In: Reid, W.H., Dorr, D., Walker, J., et al. (a cura di) Unmasking the Psychopath: Antisocial Personality and Related Syndromes. W. W. Norton, New York;
Reid, W.H., Dorr, D., Walker, J., et al. (a cura di) Unmasking the Psychopath: Antisocial Personality and Related Syndromes, cit.
Rutherford, M.J., Cacciola, J.S., Alterman, A.I., (1999). Antisocial personality disorder and psychopathy in cocaine-dependent women. Am. J. Psychiatry, 156, 849-856;
Widiger, T.A., Cadoret, R., Hare, R. et al. (1996). DSM-IV antisocial personality disorder field trial. J. Abnorm. Psychol., 105, 3-16.
Sarebbe bello che Sara, nel limtite imposto dalla propria sofferenza, raccontasse a grandi linee la sua storia perchè questi soggetti mi incuriosiscono molto.
Io ho una laurea triennale in psicologia clinica e sono una persona molto disponibile e affettuosa verso i malati. Se in un futuro io dovessi avere a che fare con tizi del genere correrei il rischio di esser mangiato a colazione per via della mia bontà che mi rende a tratti eccessivamente dipendente ,oppure, il mio narcisismo in una delle sue tante esplosioni godrebbe della violenza psicologica che farei a questi soggetti.Di sicuro con loro rimanere integri è difficilissimo dato che la paura e l’odio provati con loro immagino siano immensi; tuttavia dare loro molto amore è una via da tentare.Se c’è bisogno di picchiarli per placarli lo si faccia dato che spesso è l’unico modo per fermarli durante un’aggressione, ma la gioia DI UNA VITA DI COOPERAZIONE è QUALCOSA CHE PROBABILMENTE POTREBBERO RITENERE PIù VANTAGGIOSO RISPETTO ALLA VITA SOLITARIA E OSTICA DI ALCUNI PENITENZIARI. MAGARI A FORZA DI IMITARE L’AMICIZIA POTREBBERO INTROIETTARLA A POCO A POCO.iN OGNI CASO IL TEMPO DI UNA TERAPIA SAREBBE O INFINITO O QUELLO DI UN ERGASTOLO SEMPRE CHE NON VENGA INTERROTTA PRIMA DA QUALCHE TRASFERIMENTO O QUALCHE EPISODIO SPIACEVOLE
eh già,condivido pienamente avendo avuto a che fare con un simile pazzo psicopatico che per poco mi porta a suicidarmi,che aveva pianificato tutto e quasi c era riuscito,eh già è proprio il loro evitare di agire allo scoperto che porta a una conoscenza abbastanza tardiva dell autorità giudiziaria…….SPECIALMENTE: se ne fanno parte….! rimanendo allegramente…psicopaticamente…insabbiatamente…felicemente..pazzi.by by