Secondo Beck numerosi disturbi, ed in particolare la depressione, sono causati da convinzioni negative che gli individui nutrono riguardo a se stessi, al mondo e al futuro. Queste convinzioni disfunzionali, o schemi negativi, vengono mantenuti grazie ad uno o più preconcetti o errori di logica, quali l’interferenza arbitraria o l’estrapolazione selettiva.
La finalità generale della terapia cognitiva di Beck è fornire al paziente esperienze, sia all’interno che all’esterno dello studio medico, in grado di modificare gli schemi negativi in maniera favorevole.
In questo modo, un paziente che in base al suo schema di incapacità si lamenta della propria stupidità per aver bruciato un arrosto, viene incoraggiato a considerare spiacevole l’errore, ma a non ipergeneralizzarlo e a concludere, in base ad uno schema di disperazione, di non essere in grado di fare nulla di buono nemmeno in futuro. Il terapeuta cerca di spezzare il circolo vizioso indotto da uno schema negativo che alimenta un procedimento illogico, che a sua volta alimenta lo schema negativo. I tentativi di modificare il pensiero negativo vengono attuati sia a livello comportamentale che cognitivo.
Una tecnica comportamentale utile per coloro che sono convinti di essere permanentemente depressi e che si deprimono ancor più gravemente a causa di questa loro convinzione, consiste nel far tenere loro un diario in cui registrare il proprio umore a intervalli regolari durante la giornata. Se dal diario risulta una certa variabilità del tono dell’umore, come in realtà spesso accade anche in soggetti molto depressi, questa informazione può servire a mettere in discussione la convinzione dei pazienti che la loro esistenza sia sempre triste. Questa modificazione del pensiero può servire allora da base di partenza per un cambiamento del comportamento, come alzarsi dal letto al mattino, fare alcuni lavori di casa o addirittura recarsi al lavoro.
Analogamente, gli individui depressi sono spesso abulici (Abulia: è uno dei sintomi della depressione. Impedisce di prendere decisioni in maniera autonoma, di imporre i propri desideri, di intraprendere qualsiasi iniziativa), perché qualsiasi compito sembra loro insormontabile e si ritengono degli incapaci. Per mettere alla prova questa convinzione, o schema, di insormontabilità, il terapeuta suddivide un particolare compito in tante piccole fasi e incoraggia il paziente a concentrarsi solo su una fase alla volta. Se tale procedura è gestita con abilità – e a questo scopo è ovviamente indispensabile un buon rapporto terapeutico – il paziente scopre di riuscire in realtà a fare qualcosa. I suoi progressi vengono poi discussi con il terapeuta, il quale dimostra al paziente che essi sono incompatibili con la sua convinzione di non possedere capacità sufficienti a svolgere alcun compito. Quando l’opinione che il paziente ha di sé comincia a cambiare, compiti di maggiore difficoltà appaiono meno insormontabili e il successo può alimentare altro successo, con ulteriori cambiamenti benefici nelle convinzioni del soggetto su se stesso e sul mondo.
La terapia di Aaron T. Beck è basata sulla collaborazione tra terapeuta e paziente; essi infatti lavorano come una coppia di ricercatori per scoprire ed esaminare qualunque interpretazione disadattiva del mondo che possa aggravare la depressione del paziente. Essi cercano di portare alla luce sia i pensieri automatici che gli assunti disfunzionali. I pensieri automatici sono quelle cose che diciamo a noi stessi o che immaginiamo durante le attività quotidiane, il constante dialogo che intratteniamo con noi stessi mentre guidiamo l’auto, ascoltiamo un amico parlare o guardiamo la gente che attraversa la strada. Di solito i pazienti hanno bisogno di molta pratica per riuscire a rendersi conto di pensieri e di immagini di questo tipo, specialmente di quelli associati al loro umore depresso. Per esempio, un genitore ascolta un figlio che gli dice di aver preso un brutto voto in un compito in classe e subito pensa: “Come genitore sono un fallimento”. Dopo di che si sente molto depresso. Il terapeuta aiuta il paziente a monitorare questi pensieri e insieme essi ne esaminano la validità.
Perché i problemi scolastici di suo figlio dovrebbero significare che lei è un cattivo genitore? Che cos’altro può influire su un figlio e determinarne il rendimento scolastico? Il questo modo il terapeuta insegna al paziente a verificare i propri pensieri sulla base delle informazioni disponibili e a formulare ipotesi che attribuiscano l’insuccesso scolastico del figlio a fattori che esulano dalle sue qualità di genitore. La fase dell’identificazione e della modificazione dei pensieri automatici è seguita da una fase più complessa e delicata: l’identificazione degli assunti, degli schemi o delle convinzioni disfunzionali soggiacenti. Questi possono essere paragonati al leitmotiv in musica, cioè ad un tema dominante ricorrente. Il genitore può arrivare a rendersi conto di sentirsi responsabile del benessere e della felicità di tutta la sua famiglia, ivi compreso il rendimento scolastico del figlio. Il terapeuta può esaminare con il paziente le implicazioni del peggiore dei casi possibili, cioè che davvero fosse comprovato che egli non è affatto un genitore onnipotente. È questa una realtà per cui valga la pena sviluppare una depressione clinica? La sua preoccupazione e il suo desiderio di fare qualcosa per i problemi del figlio è certamente comprensibile, ma queste reazioni possono spingere la persona ad agire in modo nuovo piuttosto che gettarla nella disperazione.
Come può il terapeuta aiutare la persona a modificare i suoi assunti disfunzionali? Oltre che persuaderlo con le parole, egli potrebbe incoraggiare il paziente a comportarsi in modo non conforme a tali assunti. Per esempio, una persona che crede di dover soddisfare le richieste di chiunque nel suo ufficio, può provare a rifiutare la prima richiesta irragionevole che le venga fatta e vedere se, come ha sempre pensato, davvero le cadrà il mondo addosso. Se la situazione è stata analizzata in anticipo in maniera adeguata dal paziente e dal terapeuta, e questo è chiaramente un passo necessario, la persona può sperimentare cosa accade quando agisce contrariamente alla sua convinzione assoluta. La terapia di Beck, come altre che si prefiggono l’obiettivo di modificare il pensiero, è difficile da mettere in pratica. I pazienti probabilmente non sarebbero depressi se fosse facile convincerli, attraverso esperienze positive di padronanza e di competenza, che essi sono individui che valgono e meritano rispetto.