L’ansia legittima – adolescenza e gruppi di sostegno alla genitorialità

Quando i figli crescono
L’ansia di cui si parla in questo articolo non è l’ansia intesa come disturbo, bensì quell’ansia naturale e costruttiva che ci aiuta a far fronte ai problemi della vita e che si attiva quando ci troviamo di fronte a una situazione nuova che non sappiamo ancora come gestire.
Una delle condizioni esistenziali inevitabilmente associate a condizioni di ansia e disorientamento è l’essere genitori di ragazzi e ragazze adolescenti.

Quando i figli entrano nell’adolescenza i genitori possono ritrovarsi, infatti, piuttosto soli e impreparati. Le novità introdotte dal processo di crescita sono rilevanti: i figli si trasformano, in modo apparentemente improvviso e inaspettato, in sconosciuti. I loro diritti e doveri non sono più chiari come quelli dei bambini; la metamorfosi adolescenziale impone di rinnovare il rapporto educativo, di aggiornare regole e castighi. I genitori sanno inoltre che l’adolescenza rappresenta un fattore di rischio cruciale nei confronti di una serie di gravi fallimenti della crescita. Essere adolescenti espone infatti a rischi psicologici di gran lunga maggiori di quanto accada nell’età infantile o adulta: dalla tossicodipendenza alla devianza, dai disordini della condotta alimentare a quelli della condotta sessuale.

Essere genitori di adolescenti è, insomma, un compito difficile. Il processo adolescenziale è di per sé poco rassicurante, rende imprevedibili i comportamenti dei ragazzi ed espone i genitori all’angoscia dell’incertezza. Li costringe ad attivare una sensibilità particolare, capace di comprendere e tollerare l’apparentemente interminabile oscillare del figlio fra spinte in avanti e momenti di regressione.

Molti genitori riescono ad attraversare questa vicenda sostenuti da sentimenti di tolleranza e di attesa fiduciosa. Altri devono fare i conti con vissuti di profonda impotenza e perdita. Altri ancora sono indotti dall’ansia a negare dentro di sé la metamorfosi del figlio adolescente, finendo per comportarsi con lui come se avessero ancora a che fare “con il loro bambino” o, al contrario, trattandolo come un individuo già adulto, autonomo e in grado di badare a se stesso.

L’uscita dei figli dall’infanzia è un evento che più di altri genera ansia nei genitori perché rappresenta qualcosa di simile a una seconda nascita, una sorta di “nascita sociale”. I genitori attendono l’esito della mutazione che lentamente ma inesorabilmente si realizza sotto i loro occhi in modi che in parte ricordano l’ansia genetica che aveva accompagnato la gravidanza, quando si chiedevano come sarebbe stato il loro bambino: maschio o femmina, esile o robusto, sano o malato, simile o differente da ciascuno di loro? L’ansia dell’attesa che il processo adolescenziale si completi e che si arrivi a contemplare un individuo compiuto, dalle caratteristiche fisiche e psicologiche più definite e mature, può essere considerato l’elemento più specifico della relazione genitore-figlio durante l’adolescenza.

Se è questo lo stato emotivo in cui molti genitori di adolescenti si trovano, la partecipazione ai cosiddetti “gruppi di sostegno alla genitorialità” a conduzione psicodinamica può essere d’aiuto, in quanto il confronto e la condivisione fanno diminuire la solitudine e la paura, aiutando a trasformare l’ansia legittima in una risorsa per affrontare il cambiamento.

I gruppi di sostegno alla genitorialità

I cosiddetti “gruppi di sostegno alla genitorialità” (o, più semplicemente, “gruppi per genitori”) sono una realtà ormai piuttosto diffusa sia in ambito istituzionale che in ambito privato. Si tratta solitamente di gruppi di piccole dimensioni, omogenei e a tempo limitato: formati cioè da genitori che condividono una stessa condizione (avere figli di una determinata fascia d’età, essere genitori adottivi) o uno stesso problema (figli con qualche disabilità o disturbo) e di durata predefinita (un numero di incontri fissato a priori, con una cadenza che può essere settimanale o quindicinale).

Solitamente sono condotti da uno psicologo o uno psicoterapeuta, ma non sono gruppi terapeutici perché non hanno come obiettivo la trasformazione di strutture psichiche profonde. Sono più correttamente definibili come gruppi supportivi, il cui compito è di accompagnare per un certo periodo i genitori nella loro difficile funzione. Rappresentano un’esperienza di aiuto psicologico e di prevenzione, di condivisione di difficoltà, di riconoscimento di dinamiche familiari disfunzionali, di aiuto a individuare nuove modalità relazionali.

Non danno risposte di tipo cognitivo ma prevalentemente di ordine emotivo e identitario. Non propongono un sapere teorico, ma favoriscono la riflessione comune sulla normalità, sulle questioni educative della quotidianità, nella convinzione che così si possano prevenire situazioni più gravi. Nei gruppi si apprende dall’esperienza, attivando processi di riflessione ed elaborazione delle proprie situazioni di vita raccontate nel gruppo, aprendosi a differenti visioni della realtà grazie alla collaborazione degli altri, costruendo insieme significati prima insospettati.

La prima funzione del conduttore è garantire la possibilità che il gruppo esista, fornire la cornice necessaria a che l’incontro tra i membri possa avvenire e mantenersi, garantire la possibilità che venga data voce agli stati affettivi dei partecipanti all’interno di un contesto protetto e sicuro.

Cosa accade nei gruppi?

Ma come è possibile trarre dei vantaggi da un’esperienza che non ha un’impostazione psicoeducazionale, in cui il conduttore evita di dare consigli, in cui non si ricevono risposte certe ma più spesso ci si apre a nuovi interrogativi?

Spesso, all’inizio di un’esperienza di gruppo, l’aspettativa di molti genitori è questa: trovare nel conduttore una persona in grado di dare consigli e dire qual è il modo giusto per relazionarsi con i figli. Chiedono norme di comportamento correttive, con la fantasia di poter diventare finalmente genitori più adeguati. Nella mente del gruppo il conduttore è, nella fase iniziale, il genitore idealizzato che sa come comportarsi, che può dare consigli giusti e può proteggere.

Ma un consiglio può essere efficace solo se chi lo riceve è nelle condizioni interne giuste per accettarlo. Se un genitore decide di essere più normativo nei confronti del figlio solo perché glielo consiglia un terapeuta, tornerà presto ad essere lassista e ciò farà crescere il suo senso di colpa, non solo nei confronti del figlio, ma anche nei confronti del terapeuta. Se la situazione interna che porta a certi comportamenti non si modifica attraverso la comprensione dei conflitti profondi relativi alla paternità e alla maternità, qualunque consiglio potrà essere efficace solo transitoriamente.

Il gruppo offre le condizioni ideali per cominciare a elaborare questi conflitti, se il conduttore sa garantirne il funzionamento come rete emotiva, spazio-contenitore dove i canali di comunicazione si disintasano e si può comunicare ciò che si prova, dove possono essere tollerate, riconosciute e accettate le emozioni relative alla maternità e alla paternità, in un contesto di scambio rispettoso e non colpevolizzante.

La percezione della similarità delle vicende dei membri del gruppo favorisce rapidamente la nascita di un sentimento di supporto e fiducia reciproca. Oltre alla coesione, intesa come forza attrattiva tra i componenti del gruppo, si sviluppano presto anche altri processi caratteristici della dimensione gruppale: l’universalizzazione, che permette di scoprire che un certo problema non è solo proprio ma può essere condiviso, riducendo le ansie di unicità e di isolamento; l’altruismo, cioè la consapevolezza di poter essere d’aiuto ad altri, che procura un aumento dell’autostima; la speranza, quando nel gruppo è possibile cogliere altre situazioni che hanno avuto un’evoluzione positiva per cui diventa possibile sperare anche per sé; l’apprendimento su di sé e l’apprendimento interpersonale, quando attraverso l’osservazione degli altri e il confronto reciproco è possibile comprendere meglio se stessi e migliorare le proprie modalità relazionali; l’autorivelazione, cioè la possibilità di fornire al gruppo informazioni personali su di sé, sulla propria storia, sui propri stati d’animo e difficoltà, innescando in tal modo un processo di condivisione delle esperienze emotive.

Quando il gruppo funziona con questo assetto, al conduttore non viene richiesta una partecipazione particolarmente attiva. La sua presenza è sentita necessaria dai partecipanti, ma più come garante della continuità del gruppo e testimone di quanto sta avvenendo che come interlocutore significativo. La funzione del conduttore è tuttavia, in questa fase, assai importante. Con interventi “leggeri” può infatti agire su aspetti cruciali del funzionamento del gruppo: facilitare la circolarità della comunicazione e valorizzare le risposte che emergono; aiutare a mantenere il focus prestabilito; segnalare e aiutare a riconoscere il tipo di ansia predominante in ogni seduta; impedire fughe verso astrazioni o intellettualizzazioni; proporre piccoli spostamenti di ottica, volti ad esempio a recuperare e valorizzare alcune posizioni soggettive dei partecipanti o a spostare il discorso dai figli intesi come “oggetti esterni” alla relazione figli-genitori.

Grazie a questi processi può svilupparsi tra i membri del gruppo, in una fase più avanzata, un’interazione prevalentemente orientata a sviluppare un nuovo pensiero comune in merito alle relazioni con i figli. In questa fase è possibile che al conduttore venga nuovamente richiesta una partecipazione più attiva: porre le proprie conoscenze e competenze a disposizione del processo di ricerca comune, in una relazione ora percepita come meno asimmetrica e nella consapevolezza condivisa che si tratta di comprendere più che di agire, e che anche i figli possono essere più sensibili ai sentimenti e ai pensieri del genitori che alle loro azioni.

Genitori di adolescenti: il senso di un cambiamento

Lo sviluppo del processo sopra descritto richiede tempo. La metabolizzazione di quanto accade nel gruppo è un processo individuale che si dispiega nel tempo soggettivo di ciascun membro, in alcuni casi anche molto dopo la conclusione degli incontri. Un gruppo che si incontra per due anni può essere da questo punto di vista, rispetto a un gruppo di durata più breve, un’esperienza temporale più in sintonia con il tempo di metabolizzazione soggettivo dei partecipanti.

Nel corso di questo processo, lentamente la riduzione dell’ansia libera nuove energie e risorse nei confronti dei figli e di se stessi. Ne derivano miglioramenti nella comunicazione e nella relazione con i figli adolescenti, che possono a loro volta fare esperienza di essere ascoltati e presi in considerazione con meno preconcetti.

L’esperienza di gruppo accompagna i genitori nell’elaborazione del lutto per la perdita del “bambino di un tempo” e nella ridefinizione della propria identità genitoriale. Li aiuta a ridefinire se stessi più come persone che come genitori, a curvare il loro essere genitore in direzione dell’osservazione fiduciosa e partecipe (e, quando è il caso, autorevolmente critica) di un processo che non è più possibile guidare, di un cambiamento in corso che non va ostacolato né accelerato. Li aiuta a elaborare la perdita del ruolo rassicurante che per una fase importante della vita aveva garantito loro un’identità definita, per riappropriarsi di se stessi come adulti: adulti capaci di fare progetti su di sé e su un futuro in cui non sarà più presente un figlio bisognoso, capaci di provar piacere a vivere senza sentirsi indispensabili per un’altra persona fragile e dipendente.

Riferimenti bibliografici

Sui gruppi per genitori:

BRUNI, C. Zona d’ombra. Come i genitori attraversano l’adolescenza, La Meridiana, Bari 2003.

NERI, N., LATMIRAL, S. (a cura di) Uno spazio per i genitori, Quaderni di Psicoterapia Infantile 48, 1999.

PEZZOLI, F. (a cura di) Gruppi di genitori a conduzione psicodinamica, Franco Angeli, Milano 2006.

SLAVSON, S.R. (1958) I gruppi per genitori. L’orientamento centrato sul bambino, tr. it. Boringhieri, Torino 1980.

Sul rapporto genitori-figli in adolescenza:

PELANDA, E. Non lo riconosco più, Franco Angeli, Milano 1995.

PIETROPOLLI CHARMET, G., RIVA, E. Adolescenti in crisi, genitori in difficoltà, Franco Angeli, Milano 1995.

PIETROPOLLI CHARMET, G. I nuovi adolescenti, Cortina, Milano 2000.

VEGETTI FINZI, S., BATTISTIN, A. M. L’età incerta, Mondadori, Milano 2000.

NienteAnsia