“ E’ come se qualcuno, in quel momento, mi obbligasse a dire questo e a fare quest’altro … “;
“ E’ come se, in quella situazione, non fossi io a fare quello che faccio … “ ;
“ E’ come se quella persona non parlasse a me ma a qualcun altro …”
Sono espressioni con cui, generalmente, ha inizio la descrizione del proprio stato d’animo quando, in una situazione di stress, ci si sente bloccati in un comportamento che si riconosce inadeguato ma di cui non si riesce a fare a meno.
Tale modo di dire è il segno che è in atto una comunicazione paradossale: diciamo e facciamo qualcosa del tutto inadeguato al contesto, che anzi alimenta la problematicità della situazione, pur nella consapevolezza che andrebbe detto e fatto altro. In tali circostanze, dunque, non riusciamo a tradurre in comportamento la consapevolezza della incongruenza tra atteggiamento e contesto.
“ E’ come se … “ esprime perciò una distonìa. Non sentiamo nostra la risposta che diamo agli stimoli ambientali pur assumendocene in pieno la responsabilità.
La comunicazione paradossale si distingue dalla comunicazione inconsapevole proprio perché chi l’adotta non rimanda ad altri l’effetto del proprio comportamento.
La reazione inconsapevole, infatti, è caratterizzata dallo stupore con cui si accolgono i risultati degli atteggiamenti assunti e dalla ricerca di responsabilità esterne. Si vive la situazione più a cuor leggero, per quanto disagevole possa essere. Si assume una posizione di attesa … attesa che siano gli altri a risolvere dal momento che si vive una completa sintonia con l’inadeguatezza del proprio modo di agire.
La comunicazione paradossale, al contrario, è segnata dalla discrepanza tra una piena assunzione di responsabilità ed un atteggiamento a cui questa si riferisce ma a cui non si sente di appartenere.
Si vive in una sorta di realtà virtuale dove ad agire pare che sia il proprio avatar invece che sé stessi.
Questa modalità relazionale a volte può risultare anche efficace quantomeno nei confronti di una aspetto della situazione stressante.
Alcune persone, ad esempio, non riescono a manifestare pienamente il proprio pensiero anche quando sarebbe il caso, quando cioè risulterebbe opportuno affermare con più decisione le proprie esigenze per evitare privazioni o ingiustizie.
In tali circostanze, invece, esse avvertono la spinta ad accondiscendere, a mettersi nell’angolo, a rinunciare … pur nella consapevolezza che andrebbe fatto e detto ben altro. Però, almeno, non si litiga. In quest’ottica la rassegnazione appare funzionale al non esacerbare ulteriormente gli animi ma certamente risulta logorante e, dunque, inefficiente.
In altri casi, invece, l’individuo, sottoposto a stimoli stressanti, si sente obbligato a reagire con veemenza imponendo così i propri bisogni senza dare agli interlocutori alcuna possibilità di discuterne. Lo fa ben cosciente di realizzare le sue richieste ma a scapito della qualità della relazione. Alla fine ottiene ciò che vuole, e forse più, ma di questo risultato non sa più che farsene. Resta da solo alle prese con la spiacevole sensazione derivante dal sentirsi intrappolato in un comportamento che non sente proprio.
Comunicazione inconsapevole e comunicazione paradossale hanno in comune il fatto che entrambe hanno origine da una svalutazione.
La prima nasce dalla non considerazione delle informazioni ambientali, ed anche riconducibili a stati d’animo, che contraddicono le proprie convinzioni riguardo sé stessi, gli altri e la relazione.
Si fonda cioè su un pregiudizio. Non si vede e non si ascolta ciò che minerebbe la propria convinzione – non dimostrata, il proprio giudizio a-priori.
Anche il paradosso, in effetti, nasce da un pregiudizio ossia che non ci sia alternativa alla propria reazione o che, se c’è, sia al di fuori della propria portata emotiva/ cognitiva/ comportamentale. Quindi la vera svalutazione si riferisce alla propria capacità di agire diversamente e cioè in modo più idoneo al contesto.
Comunicazione inconsapevole e comunicazione paradossale aderiscono, dunque, ad un’immagine mentale.
Nel primo caso, la persona si sente tutt’una con tale rappresentazione.
Nel secondo, al contrario, l’avverte distante pur se la riconosce come propria.
La comunicazione paradossale, dunque, più che la reazione inconsapevole, si fonda su una decisione. E’ una sorta di consapevole iper – adattamento a richieste ambientali mai effettivamente ricevute ma non per questo non percepite come fortemente vincolanti.
Agire sul paradosso significa o mettere in discussione la decisione originaria, realizzando una sorta di intervento correttivo, oppure favorire nuovi comportamenti che non azzerano la risposta inadeguata ma l’affiancano. Nel primo caso, dunque, si modifica. Nel secondo, si aggiunge.
La scelta di una opzione o l’altra è connessa alle risorse di cui si dispone in termini di tempo ed energie mentali e fisiche oltre che al grado di coinvolgimento nei confronti della persona bloccata.
Aggiungere, infatti, vuol dire porsi come riferimento, come punto di partenza da cui chi è nel paradosso può iniziare a collaudare nuove modalità relazionali. Ed anche come punto di ritorno, dove chi sperimenta potrà approdare, se necessario, per cercare ristoro alle frustrazioni derivanti solitamente dall’agire per prove ed errori.
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Alfonso Falanga