Con mia grossa sorpresa la nebbia inizia pian piano a schiarirsi attorno a me: mi accorgo che, fuori dalla mia bolla di dolore, è ancora buio all'orizzonte. Ma posso comunque scorgere, con i miei occhi ormai abituati all'oscurità, un sentiero ben delineato, già battuto. Sono ancora in grado di intuire che è arrivata l'ora di muoversi, finalmente, di procedere con il cammino interrotto da non so più quanto tempo: giorni, mesi, anni si susseguono e si scavalcano nei miei ricordi, con tutta probabilità la confusione si spiega con l'atemporalità dell'ansia, dello sconforto che davvero non se n'è mai andato, talvolta acuto, talvolta latente ma sempre in agguato. Insomma, questo mio umore si misura in epoche, in lustri, che si perpetuano e rinnovano, è fisiologico che qualche data, qualche lasso di tempo spesso mi sfugga. Con questa confusione tento di muovermi, ma i miei arti sono ancora intorpiditi, immobili: devono riabituarsi a funzionare, ormai avvezzi all'immobilità, ci vorrà del tempo. Ma intanto rifletto su questo percorso che mi si dispiega davanti: dove conduce davvero? Verso un luogo, un'altra strada mai considerata, una strada qualunque, o verso lo strapiombo, l'abisso nel quale rischio di precipitare definitivamente? Il buio rende impossibile scrutare in lontananza, non ho altra scelta che fidarmi e incamminarmi: solo alla fine conoscerò la mia destinazione.