Sono passati 6 anni, ed è incredibile come tutto quanto si sia trasformato in così poco tempo.
Sappiamo che la vita non è fatta semplicemente di decisioni esclusive, zeri e uno, ma è dinamica e in divenire. Eppure tutti, nella nostra esistenza, abbiamo dovuto affrontare quel momento di bivio, in cui prendere una decisione piuttosto di un'altra ha fatto la differenza per il nostro avvenire.
Sei anni fa, in seguito a uno spavento, sviluppai un particolare tipo di acrofobia (che in seguito il terapeuta avrebbe diagnosticato più correttamente come particolare tipo di agorafobia). Insieme a questa cominciai ad convivere con un sottile strato di ansia, leggerissimo, ma persistente.
Negli anni la cosa è andata via via ingrandendosi, aiutata anche dal circolo vizioso del bere: l'alcol ti rimette davvero al mondo, ti riporta più in forma di quando stavi bene, lasciandoti il giorno dopo distrutto.
Quello che era un leggero stato d'ansia è diventato un'inquietudine costante, la fobia è peggiorata incredibilmente, tanto che fatico a stare anche semplicemente al primo piano di un palazzo e qualsiasi situazione leggermente destabilizzante riesce a farmi sentire estremamente a disagio. La mia sudorazione è salita alle stelle e appena esagero un minimo con alcol o sigarette passo il giorno successivo con un fortissimo attacco d'ansia costante, che mi costringe a letto.
A tutto questo, negli episodi peggiori, si è aggiunta la depressione (o meglio, una nevrosi depressiva) che mi ha tenuto a letto per giorni interi, credendo di morire, senza fiato, senza mangiare, con quella sensazione tipica che ti distrugge psicologicamente.
Da poco sono stato lasciato varie volte dalle mie partner perché non riuscivano più a farsi carico di una situazione come quella che portavo con me.
Qual è il bivio: sono stato in cura per un paio di mesi da uno terapeuta cognitivo-comportamentale, che non ha risolto nessun problema ma, nel momento peggiore della mia vita, mi ha permesso di rimettermi in piedi e tornare ad affrontare l'esistenza. Un anno di psicoterapia con la psicologa dell'università è stato completamente inutile. Lei non mi ha mai ispirato fiducia e credo che non abbia mai centrato il mio problema.
Recentemente, al termine di una serie di controlli medici (sempre per malesseri dovuti all'ansia, ovviamente risultati tutti negativi) e un viaggio in ospedale per un forte attacco d'ansia a causa del quale non riuscivo a respirare, il medico mi ha spedito da uno psichiatra che, con un certo disimpegno e tra una telefonata e l'altra mi ha prescritto delle benzodiazepine e un antipsicotico.
Sono tornato dal medico per dire che non avrei preso la terapia farmacologica. Non ne ho mai fatto uso e ho sempre contato di poter risolvere la cosa da solo, inoltre sono estremamente spaventato dagli effetti collaterali e dalla possibilità di perdere ancora di più contatto con la realtà.
Il mio medico non ha risposto bene. Ha detto che di quello che faccio io non gliene frega niente e che ne capitano un sacco di casi di persone che non vogliono prendere la terapia e poi si ritrovano ricoverate perché aggravate in modo irreversibile. La sua strategia è stata quella di mettermi paura, ma ha detto anche una cosa giusta: quando ho cercato di difendere le mie posizioni dicendo che con uno stile di vita moderato cominciavo a stare meglio ha risposto «non stai bene. Starai bene quando non avrai ansia e fobie».
L'antipsicotico è il trilafon, da assumere 1 x 4mg al giorno. Ho parlato con altri medici che lo ritengono un medicinale un po' forte per uno nella mia condizione.
Sono nella più totale confusione, vorrei solo fare la cosa giusta e non pentirmene.
Per questo ho bisogno di sapere anche del vostro bivio.