Cicerone definì la personalità “quella parte che si recita nella vita”, non a caso “persona” rappresentava la maschera indossata dagli attori. Il teatro antico giapponese contemplava un certo numero di maschere, aventi caratteristiche corrispondenti al concetto di personalità contemporaneo, simboleggianti il passaggio da una fase di vita a un’altra più matura. Alla soglia del XX secolo si affermò la convinzione che la personalità del soggetto si rispecchi nel modo in cui la realtà, gli appare e nelle idee che esprime.
Un elemento che caratterizza in maniera trasversale tutti i modelli di studio della personalità (e che ne rappresenta un elemento cardine nei suoi aspetti più recenti) è la tensione verso l’interazione tra fattori costituzionali innati, esperienze familiari e sociali. La tradizione di studi psicologici relativi alla personalità è una delle più rilevanti della psicologia contemporanea, un campo in cui si susseguono studi empirici, teorici e storici, tesi a comprendere la natura dell’identità personale nel contesto biologico e sociale di sviluppo.
Nel trattare il tema della personalità, ho preso in considerazione il disturbo narcisistico di personalità. Ciò che ha motivato questa mia esposizione sul narcisismo è il fatto che, esso appare di grande rilevanza nella psicoterapia per due ragioni. La prima è che il narcisista rappresenta il perdente per antonomasia e colui al quale è riservato il più grande quoziente di sofferenza inutile e autoprodotta; la seconda è che il narcisismo non è solo una sofferenza mentale in sé, ma anche il fondamento e il cuore di ogni tipo di sofferenza mentale, di cui costituisce il nucleo della distruttività (la rabbia narcisistica per non essere visti).
Il narcisismo, in forma attenuata, è una delle componenti fondamentali della struttura psichica della persona normale. L’amore per se stessi, viene, infatti, ritenuto, se contenuto entro limiti compatibili con una normale apertura nei confronti del mondo esterno, una delle basi per una vita psichica sana. Diversamente, il narcisismo può considerarsi patologico quando la persona sceglie come oggetto d’amore se stesso ed è incapace di rivolgere la propria affettività agli altri. Alexander Lowen, uno dei maggiori studiosi del narcisismo dice che “questo termine descrive una condizione sia psicologica che culturale”; infatti, mentre sul piano personale indica un disturbo di personalità che comporta un eccessivo investimento sulla propria immagine che deriva da una grande “ferita” infantile a scapito dell’identità vera, sul piano culturale è la logica conseguenza di una “mancanza di valori e di senso di umanità”, che porta a disinteressarsi della vita, dell’ambiente e delle cose che contano, perdendo pian piano di integrità. Il problema di fondo del narcisista è un ideale dell’Io troppo elevato che diviene impossibile raggiungere; in questo vuoto angosciante il soggetto comincia a compensare occupandosi di ciò che vorrebbe essere anziché di ciò che è; comincia così a coltivare un’immagine ideale che dovrà essere apprezzata, sostenuta e accettata dagli altri in modo da poterne ricavare quel sostegno e quell’applauso di cui il narcisista ha bisogno per vivere. Nel contatto con gli altri sanno essere molto seduttivi e manipolativi ma sono anche condannati a “piacere per piacersi” e, di conseguenza, non si curano degli altri in senso affettivo poiché questi, vengono visti esclusivamente come specchi, necessari a sostenere la loro “sceneggiata” pubblica e privata. Si tratta di individui che sono lontani dal mondo reale e, infatti, coltivano un Io ideale e se vengono attaccati utilizzano un’aggressività difensiva tesa a salvaguardare l’immagine che hanno dato di sé agli altri. Sul piano relazionale i narcisisti sono dei veri anaffettivi in quanto, non hanno mai avuto affetti veri e, per questo non hanno sviluppato un Sé autentico, dotato di sentimenti profondi in grado di suggerire scelte sulla base di valori che, sono possibili solo in presenza di un Io che discrimina, valuta, sceglie. Sono praticamente dei bambini vestiti da adulti che hanno bisogno di essere al centro del mondo in maniera quasi autistica poiché, sono incapaci di penetrare dentro se stessi e conoscersi, di relazionarsi e confrontarsi con gli altri.
Penetrando nella fenomenologia della sofferenza narcisistica, si può riconoscere che il narcisista rappresenta la tipologia psicologica più separata dalla reale natura del Sé; incarnando un falso sé grandioso e illusorio, il narcisista è per emblema la personalità più lontana dalla conoscenza della sua vera natura, dall’espressione delle proprie potenzialità e dei propri talenti, così come dalla consapevolezza della propria debolezza e dei propri reali bisogni. Intorno al nucleo dell’inconsapevolezza di sé e delle conseguenti scelte di vita e di relazioni sbagliate, si articolano tante esperienze fallimentari che sviluppano nel narcisista un’immagine di sé impoverita, fatta di senso di inferiorità e di vergogna, in contrasto con il modello ideale grandioso che sottende le sue motivazioni, e un’immagine della realtà negativa, troppo potente e minacciosa, che produce paura, avversione e invidia.
La relazione disfunzionale con se stesso e con il mondo costruisce nella mente narcisistica una somma di conflitti (interni ed esterni), complessi (inferiorità e abbandono) ed emozioni dolorose (paura, rabbia, impotenza e vergogna), che lo spingono sempre più ad attività difensive e a scelte compensatorie di carattere materialistico, sociale e edonistico. Preda del falso sé, che corre dietro all’avere, al successo esteriore e all’acclamazione altrui, il narcisista sperimenta la drammatica rinuncia alla conoscenza della bontà e della dignità intrinseca alla natura umana, rappresentando per antonomasia un’esistenza apparentemente socializzata ma intimamente solitaria e priva di valori, in cui il terrore della morte, della vecchiaia e della malattia si sviluppano col passare del tempo accanto ad un vuoto di autostima e di sfiducia nella vita. Va sottolineato che se la direzione del narcisismo è guidata dal principio del piacere, il suo effetto, viceversa, è legato all’istinto di morte: come sottolinea il mito di Narciso, questi, fanaticamente attratto dalla sua immagine riflessa nell’acqua, muore cadendovi dentro. Il tema della morte è emblematico degli effetti dell’inconsapevolezza egocentrica, che produce azioni in contrasto con la vera natura del Sé e con i veri bisogni e valori dell’esistenza.
Evoluzione storica del concetto. Il termine deriva da un mito greco. Narciso, giovane di Tespi, di eccezionale bellezza, figlio della ninfa Lirìope e del dio del fiume Cefiso. Quando nacque il veggente Tiresia gli profetizzò che sarebbe vissuto fino a tarda età se solo non si fosse visto. Un giorno si avvicinò ad una fonte e fu talmente attratto dalla propria bellezza da rispecchiarsi nell’acqua fino a cadervi e annegare; secondo un’altra versione del mito, egli si consumò dal dolore per non poter raggiungere la sua amata immagine riflessa nell’acqua, fino a morirne, e al posto del suo corpo nacque dal suo sangue un fiore, che fu chiamato narciso.
In psichiatria il termine narcisismo fu usato per la prima volta da Havelock Ellis nel 1892 in uno studio psicologico sull’autoerotismo; egli descrisse accuratamente le radici mitologiche e letterarie del mito di Narciso, e per la prima volta adombrava l’estensione del termine narcisismo al comportamento non manifestamente sessuale. In seguito anche Näcke nel 1899 usò il termine narcisismo per connotare una perversione sessuale, mentre fu Isidor Sadger (allievo di Freud) che nel 1908 lo fece entrare nella terminologia psicoanalitica. Freud usò per la prima volta questo termine in una riunione del 1909 della Società Psicoanalitica di Vienna accreditando chiaramente a Sadger l’introduzione del concetto in un suo lavoro che fu pubblicato più tardi, nel 1910. Otto Rank nel 1911, con il primo scritto dedicato specificamente al narcisismo, per la prima volta lo collegò non implicitamente, ma esplicitamente, a fenomeni non sessuali, come la vanità e l’autoammirazione, disse inoltre che “amare il proprio corpo è un importante fattore della normale vanità femminile”, anticipando dunque di molti anni il concetto di “narcisismo sano” di Kohut, e intravide anche per la prima volta una possibile natura difensiva del narcisismo, come nel caso di quelle donne che “si rifugiano nell’amore di sé ferite a causa di uomini cattivi e incapaci di amare” (vediamo qui già il concetto di “ritiro narcisistico” causato di ferite oggettuali, cioè il chiudersi in se stessi per frustrazioni nei rapporti interpersonali, tematica che verrà ripresa e meglio teorizzata da Freud). Ma fu l’importante lavoro di Freud del 1914 Introduzione al narcisismo quello che segnò per così dire la nascita ufficiale di questo concetto in psicoanalisi. Da allora in poi, la sua storia appartenne prevalentemente al movimento psicoanalitico, e solo negli anni recenti, e precisamente col DSM-III del 1980, la personalità narcisista è entrata a far parte ufficialmente della diagnostica psichiatrica che le ha dedicato una diagnosi a se stante, di fronte alla crescente mole di studi attorno a questo problema, soprattutto in campo psicoanalitico e psicoterapeutico.