Gli Attacchi di Panico

Chi soffre di attacchi di panico viene con una certa ricorrenza colpito, forse sarebbe più corretto dire travolto, da un’ondata di terrore, associata ad un imminente senso di morte che si manifesta, oltre che con la paura di impazzire, con un mix di sintomi somatici, quali la tachicardia, la mancanza d’aria, la sudorazione, i disturbi addominali. Il terrore panico è così intenso che spesso la persona che ne soffre finisce con l’evitare, di fatto limitando molto la sua vita, tutti quei luoghi e quelle occasioni che in qualche modo possono essere collegate ai primissimi attacchi di panico.

Per capire bene la sofferenza che comporta un attacco di panico può essere interessante vedere l’etimologia della parola panico. “Panico” deve la sua origine al dio Pan, divinità della mitologia greca, che con il suo aspetto e le sua urla terrificanti induceva uno stato di intenso terrore nei viandanti da cui si sentiva infastidito. Il viandante, non diversamente da chi oggi è attanagliato dagli attacchi di panico, sentiva di essere completamente sopraffatto da una potenza incontrollabile della natura. La perdita del controllo su quanto avviene, il non avere più certezze e punti di riferimento nella propria vita, il non avere più familiarità con quanto poco prima lo era, ci permettono sia di paragonare l’attacco di panico ad una forza della natura che si scatena, sia di considerare le persone attualmente afflitte dagli attacchi di panico in uno stato psicologico verosimilmente vicino a quello dei  viandanti dell’Antica Grecia. A questo punto due domande sorgono spontanee: Perché si scatena questa forza violenta chiamata panico? Cosa si può fare per uscirne?

Prima di provare a rispondere a queste domande, è utile soffermarsi a considerare un dato che emerge dalla prassi psicoterapeutica. Solitamente gli attacchi di panico fanno la loro prima comparsa in qualche fase di transizione della vita: con lo sposarsi,  con il decidere di avere un figlio, con le separazioni, con la scelta del lavoro o dell’università. In altre parole si può dire, da un punto di vista strettamente descrittivo,  che gli attacchi di panico sono collegati alle scelte di vita che una persona deve compiere.

Per cogliere il perché di questa correlazione appena segnalata, cioè attacchi di panico-scelte da compiere, è necessario fare ancora ricorso agli insegnamenti che si possono trarre dall’esperienza clinica. Generalmente in tale ambito, nei pazienti sofferenti per gli attacchi di panico, emerge un tratto intrapsichico piuttosto comune nelle pur diverse storie dei pazienti: l’incapacità di stare emotivamente soli. Infatti, è spesso facilmente riscontrabile come in questi pazienti l’attenzione emotiva ed affettiva sia completamente rivolta verso l’esterno: in parole semplici, questi pazienti si amano e si apprezzano solo in base a quanto sono considerati e amati dagli altri. Parlando in termini molto concreti, il paziente con attacchi di panico ha così bisogno dell’approvazione e della presenza dell’altro che finisce, pur di non correre il rischio di essere disapprovato e di rimanere solo, con l’assumere atteggiamenti e compiere scelte esistenziali completamente compiacenti con le aspettative altrui. In sostanza, la persona con attacchi di panico si adegua agli altri e trascura se stessa.

Scrive James Hillman, nel suo “Saggio su Pan”: “Se Pan è il dio della natura dentro di noi, allora egli è il nostro istinto”. Tornando così alle questioni poste all’inizio dell’articolo, sul perché del panico e sul cosa si può fare, possiamo quindi dire che gli attacchi di panico si scatenano quando la persona si allontana eccessivamente dal suo istinto, o meglio dal compiere scelte di vita che siano naturalmente connesse con la propria intima autenticità.

Rimane il quesito del “cosa fare”. Se il problema di fondo della persona che soffre di attacchi panico è connesso con il ritrovare la propria autenticità, il compito della terapia non può esaurirsi nella sola risoluzione del sintomo, per almeno un paio di ragioni. In primo luogo il percorso terapeutico deve aiutare il paziente ad elaborare e digerire la sua paura di essere rifiutato e abbandonato, paura per lo più legata ad eventi passati realmente accaduti in proposito. In secondo luogo, ma non secondariamente, la psicoterapia deve aiutare il paziente a coltivare la capacità di fermarsi ad ascoltare e a riflettere sui bisogni e le inclinazioni più personali che necessitano di trovare uno spazio adeguato nella vita del paziente stesso.

Concludendo questo breve articolo, si può dire che la violenza brutale dell’attacco di panico costringe la persona, mi si lasci usare quest’espressione,  a fare “ritorno a se stessa” e a dedicare le proprie energie psichiche a quello che Jung ha definito “processo di individuazione”; quel processo cioè che consente a chiunque di divenire quell’individuo unico e irrepetibile che ognuno di noi è, e che, proprio in virtù di ciò, permette di entrare veramente in relazione con l’altro.