Disturbi e patologie della percezione del tempo: suicidio, depressione, stress, ansia, schizofrenia, Cotard, Adhd, disturbi di personalità, perdita di coscienza, Tourette, Parkinson, dislessia, disgrafia…

Apprezziamo a tal punto un bel paesaggio, le forme sinuose d’una modella, la contenuta vigoria d’un animale, espressa sia da movenze lente sia da movimenti rapidissimi, che non ci stancheremmo mai di contemplarli; immagini estetiche o di distensione hanno un impatto emotivo, rispetto all’osservazione dell’orrore o della paura, in grado di dilatare la durata dello sguardo. Nella lotta per la sopravvivenza anche un solo attimo verrà sovrastimato. La paura decelera, lasciando spazio ai dettagli, alle riflessioni, ripercorrendo velocemente i ricordi d’un’intera esistenza. Ma ciò non significherebbe forse anche che i processi sensoriali si velocizzino?

Una misurazione può essere effettuata in prospettiva, a partire da un momento preciso, oppure in retrospettiva, facendo immaginare quanto sia già trascorso. Nel primo caso, l’attenzione prestata tende alla sottostima, in seguito il ricordo  esagera, e soprattutto nel caso d’una percezione rallentata. Cambia semplicemente la sensazione di base, oppure la memoria sovrastima a posteriori la durata dell’evento disturbante?

Lo stress registra ogni cosa e la ricchezza di questi ricordi amplia la durata dell’accidente (Loftus et al., 1987). Siamo abituati a un certo quantitativo di rilevazioni da inventariare, che però si moltiplica in funzione dell’intensità dell’esperienza. La noia che pur non concede, né rileva, finisce per fornirci un effetto simile, in cui il tempo rallenta per motivi assolutamente opposti.

Lo stesso vale per la convinzione d’annoiare, d’essere d’incomodo o rifiutati, che rende dolorosamente consapevoli di tutto ciò che accade nel presente (Twenge et al. 2003). L’umore altera la percezione del tempo, l’autostima s’intorpidisce, il futuro s’annebbia, l’attenzione si concentra solamente sui difetti, veri o presunti, destrutturando però seriamente lo stato mentale.

Gli individui che progettano di suicidarsi vivono una situazione di distorsione del tempo e del pensiero che non consente loro di dare spiegazioni plausibili. E questa sarebbe la ragione per cui lettere, biglietti e appunti lasciati dai volontari della morte siano inconsistenti e tanto poco significativi.

Il suicidiologo Edwin S. Shneidman concluse una sua lunghissima ricerca su questo genere di “Message in a Bottle”, con la mera rilevazione dell’altissima percentuale di pronomi in prima persona singolare presenti in questi annunci, dichiarazioni, missive, di molto maggiore che in qualsiasi altro tipo di lettera o documento. E’ sempre “la solita storia del pastore…” (Lamento di Federico, da L’Arlésienne di Daudet, musicata da Cilea su libretto di Leopoldo Marenco)! Nonostante  questi comunicati vengano “scritti nel momento più drammatico della vita d’una persona, sono triti, banali, a volte addirittura cocentemente prosaici e ottusi”.

Solo un terzo di chi si toglie la vita lascia una spiegazione, di rado eloquente per chi gli sopravvive, e per di più con la marcata tendenza a sottolineare l’ovvio. Chi sta per farla finita si trova in uno stato alterato di coscienza, in cui il tempo è distorto, il futuro già deciso e le medesime capacità cognitive inidonee a razionalizzare concetti e delucidazioni.

Nel corso di episodi depressivi, il passato si appesantisce, un roseo futuro diventa inimmaginabile, e il presente assume una centralità pervasiva. Martin Wyllie dice che queste due ultime prospettive “s’intrecciano nella sofferenza” e propone d’impiegare questo sintomo quale strumento diagnostico aggiuntivo e terminale, invitando i pazienti a stimare la durata della seduta, o l’arco d’un minuto, deducendo la gravità del caso dall’impressione di quanto si vada espandendo quest’estensione.

La stima del tempo data dai depressi è mediamente raddoppiata rispetto ai soggetti normali. E, visto come fototerapia e privazione di sonno si sono dimostrati utili nella cura, dal criterio ex adiuvantibus si potrebbe essere indotti a sostenere, alla stregua di Claudia  Hammond, che  i disturbi dell’umore vadano sostanzialmente considerati quale dimensione psicopatologica inerente la distorsione percettiva.

Matthew R. Broome si è chiesto se il rallentamento sia causa o conseguenza della depressione e se, in quest’ultimo caso, non contribuisca in maniera determinante a peggiorarla con il circolo vizioso dell’eterno ritorno dell’uguale.

Anche gli ansiosi riferiscono dei rallentamenti, perché focalizzano la loro attenzione proprio sugli intervalli, protraendoli e quindi sovrastimandoli (Wittmann, 2009). Nel caso in cui invece la malattia mentale predisponga alla sospensione della realtà, la distorsione è più complessa, con cambiamenti repentini di velocità, ripetizioni o blocchi. La schizofrenia ne è un esempio, ma solo con la sindrome di Cotard il negativismo arriva alle estreme conseguenze, per la sparizione totale del senso di passato e futuro, con la confessione di non esserci più o che il mondo sia ormai finito (Leafhead K. M. and Kopelman M. D. 1999).

 

I bambini affetti da “deficit d’attenzione e iperattività” sono particolarmente impazienti e distraibili, forse proprio per un errore di tempificazione e l’Adhd non sarebbe solo caratterizzata da impulsività, unita a difficoltà di concentrazione, che si ripercuoterebbe sulle competenze linguistiche, ma più verosimilmente si presenterebbe quale risultato di una misurazione eccessivamente rallentata della scansione dei minuti e dei secondi per un’incapacità nella corretta elaborazione del loro trascorrere. Piantati nel presente, questi soggetti non pensano alle conseguenze delle loro premature azioni, anche perché inadeguati, non soltanto a prevederle, ma anche ad attenderle, proprio come i sociopatici con disturbo di personalità. Un tempo breve è per loro lunghissimo e ogni aspettativa lontana e ignota, per cui non riescono a procrastinare le gratificazioni, così come non traggono insegnamento dall’esperienza.

Katya Rubia, al fine di rilevare obbiettivamente la condizione morbosa ed evitare giudizi affrettati sul comportamento dei giovinetti in base alla mera osservazione, di fronte a questa ipotesi diagnostica, impiega a scopo nosografico gli esercizi di stima, calcolo e discriminazione degli intervalli di tempo, che solitamente tali pazienti non avvertono vivendo in una perenne attualità. Anche l’intervento psicoterapico tende a focalizzarsi sullo sviluppo d’ una maggiore funzione di riflessione, aspettazione e attesa, rimandi e proroghe. La terapia farmacologica a base di metilfenidato non è puramente sintomatica, allora, perché agisce appunto sulla percezione e la valutazione del tempo, favorendo sospensione e permanenza senza apprensione.

 

C’è una differenza abissale tra bradipo didattilo (Choloepus didactylus) e colibrì coda rossa (Selasphorus rufus). L’eloquente nome del primo ne descrive la cinetica; la vista e l’udito sono molto scarsi, lasciando il posto a odorato e tatto, estremamente fini; vive solitario, praticamente a testa in giù e cambia posizione solamente per defecare, questa volta, in compagnia, onde valutare la disponibilità sessuale delle femmine; incapace di mantenere costante la temperatura corporea, a causa dell’elevata umidità dell’ambiente, ha una pelliccia cosparsa di minuscole alghe simbionti; e, nonostante la proverbiale lentezza, risulta un buon nuotatore.

Gli uccelli più piccoli al mondo hanno l’abilità, garantita dal rapidissimo battito alare, di volare all’indietro e di poter rimanere quasi immobili a mezz’aria, per cibarsi del nettare dei fiori, eppure sono in grado di risparmiare energia, rallentando drasticamente il loro metabolismo. Inoltre, possiedono la capacità di stimare lo scorrere dei minuti. Lo calcolano esercitando la tecnica del trap-lining (fila di trappole), che permette loro di presumere l’intervallo occorrente al fiore per riempirsi nuovamente di nettare. Questa caratteristica la mantengono anche in condizioni sperimentali, qualora venisse modificato lo standard naturale (di milleduecento secondi) al quale sono solitamente abituati (Henderson  et al., 2006).

In natura, comunque, si possono osservare comportamenti di tipo caotico nel ritmo di produzione delle cellule del sangue, anche in condizioni normali, mentre, alcuni stati patologici, dal tumore alla depressione, seguono andamenti del tutto irregolari, per una sorta di “deragliamento” dai cicli previsti. In mancanza d’un orologio di riferimento, la periodicità gradualmente si scosta per accumulare uno scarto sempre maggiore finché i diversi ritmi “vanno alla deriva” (free-running) ciascuno per suo conto.

A funzionare da oscillatori sarebbero i neuroni, capaci di generare spontaneamente scariche di attività elettrica, che si presentano con una frequenza minima a certe ore del giorno per diventare massima a distanza di 12 ore, seguendo quindi un ciclo circadiano.

Posto alla base del cervello, il nucleo soprachiasmatico, oltre a essere costituito da neuroni che scaricano seguendo la periodicità giornaliera, attraverso vie nervose dirette e indirette, si collega alla retina, in modo tale da adattare la propria oscillazione con l’alternarsi esterno di luce e buio. Durante le ore notturne, poi, intervengono le cellule che costituiscono la retina (fotocettori), nonché le cellule della ghiandola pineale (pinealociti), questi ultimi nel secernere un ormone costituente il riferimento temporale dell’oscurità, la melatonina, e quindi della funzione fotoperiodica.

L’orologio biologico controlla solo ritmi circadiani (veglia-sonno) e infradiani (ciclo mestruale, marea, migrazione annuale), senza riuscire a cogliere quelli ultradiani di ore (il ciclo dell’alternanza di congestione e decongestione nasale, di  4 ore; la produzione dell’ormone della crescita, somatotropina, da parte dell’adenoipofisi, di 3 ore; il ciclo REM, di 90 minuti), per non parlare poi di minuti e secondi?

La memoria, l’impegno attentivo, le aspettative prognostiche, il coinvolgimento emotivo, le esigenze biologiche, dalla temperatura ai sensi impiegati, svolgono ruoli determinanti nella percezione. Cosicché gli eventi visivi sembrano più corti. Diligenza e accuratezza nello sforzo di valutazione facilmente possono essere distratte e indotte a sovrastimare, mentre chi tende ad annoiarsi svaluta e sminuisce.

 

Pur rappresentando un decimo del volume cerebrale, il cervelletto ne contiene metà del numero delle cellule; deputato innanzitutto alla propriocezione e al coordinamento dei movimenti, assolve anche alla sensazione relativa ad andamento e scansione ritmica di frazioni minori (nell’ordine dei millesecondi), come il battito palpebrale reattivo. Il cervelletto controlla l’esecuzione del movimento e calcola in aspettativa il tempismo adeguato al segnale anticipatorio. Il test del soffio negli occhi potrebbe allora rivelarsi discriminante in segno prognostico nei casi di perdita di coscienza, almeno quanto il riflesso di trasalimento (startle) nei disturbi d’ansia.

Solo per valutare la memoria, di solito, si ricorre a tutta una batteria di tests, dal Supra-span verbale a quello di Corsi, dalla figura complessa di Rey- Osterrieth alla ripetizione in avanti e al contrario; la fluenza verbale e la costruzione di frasi indaga il linguaggio; le matrici di Raven le abilità visuospaziali; per la concentrazione si usa il Trial making test; per la decisionalità Wisconsin Card Sorting e Torre di Londra. Niente di altamente specifico per il danno alla corteccia prefrontale del lobo frontale destro, implicata nella percezione del tempo e nella memoria a breve termine, o di lavoro (Koch 2002). Ma è proprio questa capacità di tenere a mente le cose che permette di eseguire compiti in sequenza, e allo stesso momento richiede memoria e tempistica. Dalla necessità di allenare la sezione fronto-cerebrale deriverebbe il vantaggio dimostrato dai bambini affetti da sindrome di Gilles de la Tourette, capaci però di dominare i loro tics, nel riuscire a stimare persino i secondi (Vicario et al., 2010).

 

Il tempo si avverte a più livelli: uno obiettivo, calcolato dall’orologio, poi c’è quello percepito e condizionato dall’alternanza della luce col buio, e quelli più strettamente biologici, infradiani (circasettano, circatrigintano, circannuale), che vanno dipanandosi nel corso dell’esistenza.

Oltre che sul succedersi delle stagioni e delle migrazioni degli animali, il ciclo annuale influisce sullo stato d’animo e sulla condizione fisica: sulla produzione di ormoni corticosteroidi, il cui picco è elevato in autunno-inverno e minimo in primavera.

Di solito quando il livello degli estrogeni raggiunge il culmine mensile, poco prima dell’ovulazione, e nella decade precedente l’inizio delle mestruazioni, le donne svolgono meglio compiti a livello verbale e motorio, meno in termini di orientamento spaziale, e, quando invece il livello degli estrogeni diminuisce, questo modello s’inverte.

Tra le funzioni che seguono il ritmo giornaliero: la temperatura corporea (massima alle quattro del pomeriggio e minima alle sei del mattino), la pressione del sangue, la distribuzione di cellule nei liquidi corporei, la funzione respiratoria e molte attività ormonali, tra cui quelle delle ghiandole surrenali. Le capacità psico-attitudinali come attenzione, destrezza manuale, coordinazione neuromuscolare e la stessa facoltà cognitiva presentano sempre un minimo nelle prime ore del mattino ed il massimo in quelle pomeridiane.

Sonno, respirazione e attività cardiaca seguono ritmi ultradiani: il cuore pulsa quasi 86.000 volte al giorno; inspiriamo ed espiriamo circa 22.000 volte al giorno. Ed a regolare l’attività e il recupero psicofisico sarebbe un fondamentale ciclo di attività/riposo della mente e del corpo (ipotesi BRAC: basic rest activity cycle), che si ripete dalle 12 alle 16 volte al giorno, intorno al medesimo periodo del sonno REM.

Warren Meck ha localizzato la funzione percettiva delle frazioni di poco superiori ai secondi nell’area dei gangli basali, che controlla i movimenti mediante la neurotrasmissione della dopamina, il modulatore dell’attività muscolare di agonisti e antagonisti, in grado di frenare questi ultimi. Un deficit dopaminergico è causa dell’inibizione a intraprendere un’azione, dei gesti convulsi e dei tremori del parkinsonismo, come della tempificazione di eventi della durata di pochi secondi.

I pazienti in trattamento con un antipsicotico deliriolitico, qual è l’aloperidolo, subiscono un blocco recettoriale del neurotrasmettitore che provoca una sottostima temporale, al  contrario del cosiddetto speed anfetaminico diretto ad aumentare i livelli della dopa e la velocità dell’orologio cerebrale.

I segnali ricevuti dall’ambiente e dall’interno del corpo forniscono quindi elementi utili alla stima di cicli più lunghi e durate più brevi. Ma è una consapevolezza enterocettiva ad avvertire i cambiamenti fisiologici e a svolgere un ruolo non secondario nel calcolo dei ritmi biologici. La corteccia insulare anteriore rileva condizioni fisiche e sensazioni istintive, quali disgusto o forti emozioni, sia pur positive, come l’innamoramento, che abbiano ripercussioni psicosomatiche. E l’attività di quest’area aumenta durante gli esercizi di consapevolezza (mindfulness).

La rilevazione di calore, dolore, fame, sete, prurito… passa dunque dalla corteccia insulare, e, seguendo un andamento lineare, ci tiene aggiornati, istante per istante, dello stato emotivo in cui ci troviamo. Allora, a tenere il ritmo, è lo stesso sistema che si occupa delle emozioni, destinato a subire, di conseguenza e inevitabilmente, sia il forte impatto della musica, sia quello della paura (Craig, 2009). Ma, l’informazione proveniente dal cervelletto e dai gangli basali viene elaborata dal lobo frontale in senso di durata o in un momento emotivo?

 

L’ascolto di una nota inserita in una sequenza di altre uguali si apprezza come più lungo, alla stessa stregua d’un’immagine differente in una serie di identiche. Si tratta del paradigma oddball (stravagante), un comune errore di tempificazione, risolvibile con il modello dell’orologio minimalista, un pacemaker, cioè o un metronomo, il cui ticchettio serve da contatore, secondo però un’aspettativa scalare, vanificata dalla sorpresa tradotta in un allerta, sia che si veda qualcosa di nuovo sia che si oda un altro suono. Il risveglio emotivo suscita una temporanea accelerazione del battito, costringendo a calcolare un maggior numero di ticchettii e ciò determina l’illusione che il non atteso sia stato percepito più a lungo.

Rammentando come le cellule cerebrali possiedano intrinseche proprietà di tempificazione, David M. Eagleman  e Vani Pariyadath hanno teorizzato un senso della durata basato sulla quantità di energia neurale impiegata. Il primo impatto ne assorbirebbe tanta, poi meno fino all’arrivo della novità. Difatti i firing neuronali sono accresciuti dalla sorpresa e dalla novità, mentre calano  (per noia) con l’abitudine, anche nei lunghi periodi.

Già nella sua tesi di dottorato in scienze cognitive (2007), presso la Bogaziçi University, Emre Sevinç, aveva valutato dapprima la precisione dei musicisti sulla stima di durata di coppie di note, sperimentando l’eventuale generalizzazione discriminatoria agli altri sensi, come il tatto. La capacità di valutare è generalizzabile ma con intervalli brevi, dell’ordine dei millisecondi. I non addetti agli armonici lavori possono apprendere questa facoltà e generalizzarla agli altri sensi, ma non agli altri lassi di durata. Il che indurrebbe a ritenere che per archi di periodi diversi occorrono contatori o metronomi differenti.

Il neurobiologo Dean V. Buonomano, più volte citato da Sevinç,  proseguendo il programma costantinopolitano, paragona gli engrammi mnemonici dei suoni, come degli eventi appena accaduti, alle onde che increspano uno stagno. Un sasso che vi affondi lascia traccia del proprio passaggio nella formazione degli anelli rimasti in superficie ancora per poco che vanno a scontrarsi con altri, prodotti successivamente e pronti a essere registrati per qualche istante dalla stessa acqua. Il primo tono attiva i neuroni che rispondono in modo differente al successivo. Ancora, l’orologio minimalista, contatore degli eventi dal loro inizio alla fine, battendo il ritmo con il suo ticchettio, in obbedienza al meccanismo dell’aspettativa scalare, altera la misurazione precedente che verrà poi influenzata dalla successiva. L’effetto sorpresa funge temporaneamente da allarme per il livello emotivo e l’allerta della novità provoca la sensazione finale che come risultato darà una valutazione di maggiore lunghezza.

Sul suo sito (http://www.neurobio.ucla.edu/~dbuono/InterThr.htm), Dean V. Buonomano mette alla prova per durate brevissime: ogni stimolo è composto da due coppie di toni intervallati e l’invito è quello di individuare quale tra i due è stato separato dalla pausa più breve, più o meno come avveniva nell’esperimento con i musicisti turchi.

 

La tempificazione dell’ordine dei millisecondi è determinante per la comprensione del linguaggio, tanto che il miglioramento nella stima di questo breve intervallo va di pari passo con l’incremento dell’abilità linguistica. Se ne deduce che un disturbo di tempificazione stia alla base di dislessia e disgrafia e che un’alterazione nella corretta successione dei caratteri sulla pagina, o nel movimento della penna sul foglio, impediscano un corretto svolgimento nelle attività di lettura e scrittura.

Ciò non toglie che le persone affette da dislessia contemporaneamente non dimostrino di avere altrettanta difficoltà nella percezione di periodi più lunghi, che potrebbero loro apparire imperscrutabili, dovendo interpretarne il trascorrere, mediante la ricerca di indizi di natura fisiologica, tipo fame o sonno. Se si avverte appetito sarà ora di pranzo, se le palpebre si chiudono è il momento di riposare.

Stranamente un viaggio di ritorno viene colto come più corto, per il calo d’interesse nei confronti delle novità incontrate all’andata, oppure per il desiderio di rientrare a casa? Tornare sui propri passi, poi, alla ricerca di qualcosa che si è perso ingigantisce qualsiasi distanza.

Il senso di questo “qualcosa di elastico” dipende anche dalla nostra vera o presunta salute, da come ci sentiamo o da come ci fanno sentire gli altri, se abbiamo una febbre o siamo infreddoliti. Se ci vengono mossi frequenti accenni a vecchiaia o malattie, ne subiremo l’influsso, e, comportandoci di conseguenza, rallenteremo i movimenti, per l’adattamento che ne avrà subito la nostra suggestionabile tempificazione (Bargh et al., 1996). E così il periodo trascorso in una sala d’attesa non sarà affatto sovrapponibile all’impegno profuso in funzione d’un’imminente scadenza.

L’esperienza temporale viene distorta dalla differenza di temperatura. Alan D. Baddeley  ha studiato questa influenza sulla percezione del trascorre di un breve lasso, rilevando che il raffreddamento del corpo lo allunga più dell’ansia. Il calore lo rallenta e i minuti sembrano passare più in fretta, anche in condizioni di diatermia (Hoagland, 1933). A ulteriore riprova si è fatto ricorso alle normali variazioni circadiane dello stato termico, pure allo scopo di confermare l’importanza della tempistica d’una cura medica sulla sua efficacia. Dipendendo dall’andamento infradiano, circasettano (e circasemisettano), circatrigintano, circannuale (e circasemiannuale), il computo della durata differisce pure  con l’avanzare dell’età, seguendo  una diminuzione lineare al mattino e un incremento alla sera, modulato quest’ultimo da un ciclo pari a ~ 33,6 anni. La giovinezza quindi rallenta questa stima, poi gradualmente il tempo passa più in fretta (Halberg et al. 2008).

L’avanzare dell’età, le emozioni come la paura, rifiuto, isolamento, attenzione, concentrazione, temperatura corporea influiscono sulla velocità dello scorrere dell’orologio. Anzi l’osservazione accurata della lancetta dei secondi che si muove a scatti potrebbe fornire l’illusione di un’apparente, sia pur momentanea, immobilità, ovvero cronostasi. Nello spostare lo sguardo, il nostro cervello sopprime la visione, ovvero sospende la percezione, nel mantenere sempre un’immagine continua e coerente del mondo, per cui una lancetta che guizza, senza seguire tale persistente successione, lo inganna. Avviene qualcosa di analogo con i segnali acustici intermittenti, con l’impressione momentanea d’un silenzio prolungato. Quest’illusione del telefono rotto era frequente all’epoca del segnale di linea libera.

Un’altra spiegazione pone in stretta connessione attenzione e percezione, attribuendo queste illusioni al repentino spostamento d’interesse su qualcos’altro su cui ci siamo provvisoriamente concentrati (Hunt et al. 2008). Soffermarsi, anche brevemente, produce l’impressione d’una durata maggiore. Ed è il motivo per cui la noia ci appare tanto lenta da far dire a William James che ci si annoia quando “cominciamo a porre attenzione allo scorrere del tempo”.

 

Giuseppe M. S. Ierace

 

 

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