Perché si invecchia?
L’invecchiamento può essere definito come un processo biologico comune a tutti gli organismi viventi che si realizza in modi estremamente variabili nelle varie specie, inizia in tempi diversi nei vari organi ed apparati provocando modificazioni quantitative e qualitative delle funzioni biologiche.
L’essere umano, in particolare, che esprime il massimo delle sue potenzialità intorno ai 30 anni inizia poi un progressivo e lento decadimento che non rappresenterebbe una limitazione per la vita fino ai 110-120 anni (cellule prelevate a novantenni e poste in coltura si dividono ancora da 10 a 15 volte). Questi scadimenti funzionali, che si verificano in assenza di malattie, si possono configurare come autentici “cambiamenti dovuti all’età” o semplicemente come “invecchiamento fisiologico”.
Per alcuni tessuti i segni dell’invecchiamento si manifestano abbastanza precocemente (ad esempio le rughe della cute) per alti invece sono tardivi (come accade nel caso del cristallino che, quando si
opacizza, provoca la comparsa della cataratta).
Tale processo può essere accelerato (invecchiamento patologico) a causa di malattie dell’organismo, per l’intervento di sostanze tossiche ambientali o di fattori di usura fisiologici (ad es. radicali liberi).
L’invecchiamento sembra quindi geneticamente programmato per ogni singola cellula (invecchiamento fisiologico) non conosciamo però con precisione le cause di questo progressivo decadimento e non sappiamo se possa essere manipolato.
Fra le varie teorie formulate al riguardo è al DNA (molecola che contiene le informazioni che regolano il funzionamento e la vita delle cellule) che si rivolge l’attenzione per arrivare ad una adeguata spiegazione dell’invecchiamento fisiologico, mentre vengono chiamati in causa vari fattori esogeni per spiegare una alterazione del normale processo di invecchiamento (invecchiamento patologico).
L’Acido desossiribonucleico (DNA), molecola che contiene le informazioni che regolano il
funzionamento e la vita delle cellule, oltre a guidare la riproduzione (con il continuo rinnovo delle
stesse) guiderebbe il processo di invecchiamento.
La struttura di questa molecola con il passare del tempo mostra segni di decadimento (modificazioni
della struttura) che provocherebbero una progressiva alterazione degli schemi di riproduzione fino alle estreme conseguenze; non è chiaro però come ciò avvenga, se cioè queste modificazioni del DNA sono causate da alterazioni che si verificano nel tempo (mutazioni somatiche) o sono già programmate biologicamente (come se il DNA stesso contenesse le istruzioni per provocarle).
Accanto alle teorie genetiche appena esposte si sono sviluppate le teorie epigenetiche che identificano in una alterazione della trascrizione o della traduzione del messaggio genetico contenuto nel DNA quale possibile causa dell’invecchiamento fisiologico. Non sarebbe cioè il DNA o il codice genetico ad andare incontro a modificazioni della struttura ma si altererebbero i meccanismi deputati alla decodificazione (trascrizione e/o traduzione) dei messaggi in esso contenuti e che guidano per l’appunto lo schema di riproduzione.
Così come gli altri organi anche il cervello va incontro ad un fisiologico processo di invecchiamento, geneticamente programmato e come tale non modificabile in modo incisivo (invecchiamento fisiologico), che può però essere accelerato (invecchiamento patologico) a causa di malattie dell’organismo (per es. ipertensione arteriosa, diabete, cardiopatie, ecc.), per l’intervento di fattori ambientali (sostanze tossiche) o di fattori di usura fisiologici (ad es. radicali liberi)
Quando inizia ad invecchiare il cervello?
Il cervello, che è l’ultimo a completare lo sviluppo anatomico e funzionale (il neonato non è capace di camminare, di trattenere le feci e le urine, non percepisce bene le immagini, ecc.) è il primo che inizia ad invecchiare.
Il cervello umano possiede dai 20 ai 100 miliardi di cellule nervose. Di queste se ne perdono circa
10.000 al giorno fino ai 25 anni e 100.000 al giorno dai 25 ai 45 anni, dopo tale età la perdita
giornaliera aumenta ulteriormente.
Le prime modificazioni anatomiche che indicano un invecchiamento cerebrale inizierebbero già intorno ai 25-30 anni e riguardano il numero dei neuroni (aumenta la perdita giornaliera), le connessioni fra i neuroni (che si riducono, diminuendo così la quantità degli scambi di informazioni fra i vari neuroni) ed il loro funzionamento (per modificazioni nelle strutture delle cellule).
Invecchiando il cervello diventa più piccolo, più leggero, la corteccia si assottiglia, senza che ciò
provochi una contemporanea compromissione delle funzioni cerebrali (memoria, ragionamento,
capacità di pensare, attenzione, ecc.) che possono infatti rimanere valide anche in età molto avanzata.
Il cervello riesce a difendersi dall’invecchiamento?
Esistono dei meccanismi che compensano le perdite e le modificazioni funzionali delle cellule nervose.
Tali meccanismi fanno parte del programma biologico dell’invecchiamento ed a livello cerebrale si
realizzano per effetto della “ridondanza funzionale” (le funzioni delle cellule che si perdono possono essere compensate dai neuroni che restano, esistono tuttavia cellule molto specializzate la cui riduzione, se eccessiva, non può essere compensata) e della “plasticità” (cellule nervose lese possono autoripararsi attraverso la rigenerazione delle parti lese).
Questi meccanismi generalmente permettono al cervello che sta invecchiando di mantenere, anche
nell’età senile, una buona efficienza funzionale.
Quali sono le prime manifestazioni dell’invecchiamento cerebrale fisiologico?
I disturbi della memoria sono fra le manifestazioni più evidenti e precoci dell’invecchiamento cerebrale e spesso possono essere scatenate da eventi particolarmente stressanti (perdita di un familiare, pensionamento, ecc.).
Non è però sempre facile distinguere se la perdita di capacità mnemonica sia una “normale perdita”
dovuta all’età o il primo segno di un decadimento intellettivo che porterà alla demenza (= globale
compromissione delle funzioni cognitive). Da ciò ne deriva che la comparsa di piccole lacune della
memoria (il nome “sulla punta della lingua”, le chiavi introvabili, il numero di telefono che non si
ricorda), non indicano necessariamente che il cervello è avviato verso un decadimento progressivo ed inarrestabile delle sue funzioni cognitive.
Inoltre, se l’indebolimento di alcune capacità mnesiche è considerato fisiologico a partire addirittura
dall’età di 25 anni, il cervello adulto e quello anziano sono invece considerati, per molti aspetti,
superiori ad un cervello giovane.
Tale superiorità è stata dimostrata attraverso test con domande che richiedono ragionamento e
riflessione e non semplice ripetizione di nozioni acquisite (soggetti con meno di 25 anni sottoposti al test hanno infatti ottenuto risultati inferiori rispetto a soggetti anziani ).
Da ciò ne emerge quindi un rapporto complesso fra invecchiamento fisiologico, disturbi della memoria e demenza.
Infatti, mentre il cervello anziano trae una particolare ” saggezza ” dal notevole bagaglio di ricordi e di esperienze che ha immagazzinato, parallelamente manifesta disturbi mnesici che se creano difficoltà nel registrare e nel richiamare dalla memoria informazioni ed esperienze di recente acquisizione (segno di un invecchiamento cerebrale fisiologico, “smemoratezza senile”) non necessariamente avranno una evoluzione verso una condizione di patologica compromissione delle capacità intellettive (demenza).
Questo è tanto più vero se il disturbo della memoria non è associato ad altri disturbi o ad altre malattie (ad es. ipertensione arteriosa, diabete, cardiopatie, vasculopatie, disturbi endocrini, stress psichici, ecc.) e non ha i caratteri della progressione.
Quindi diventa estremamente importante stabilire ogni qualvolta compare un disturbo della memoria se è solo un segno di un naturale processo di invecchiamento cerebrale (“smemoratezza senile”, “disturbo cognitivo di grado lieve”) o è invece il primo segnale di una disfunzione che, se non inquadrata da un punto di vista clinico per poter essere trattata adeguatamente, potrebbe avere più gravi conseguenze.
Come si manifestano i primi disturbi della memoria?
Spesso, prima ancora della comparsa di amnesie un invecchiamento cerebrale fisiologico può essere
avvertito come una sensazione che qualcosa sta cambiando nella qualità della vita, nella prontezza delle capacità mnesiche, nella capacità di mantenere l’attenzione o la concentrazione, nella difficoltà a memorizzare nuove informazioni. In particolare i soggetti affetti dalla cosiddetta “smemoratezza
senile” (disturbo cognitivo di grado lieve) riferiscono “spesso” i seguenti disturbi:
1 dimenticano i nomi di persone ben conosciute o non ne ricordano immediatamente il nome,
2 dimenticano dove ripongono oggetti di uso quotidiano,
3 dimenticano eventi o situazioni appena vissuti,
4 perdono o non ripongono negli appositi luoghi oggetti di valore o denaro,
5 non riconoscono le persone che hanno appena conosciuto,
6 possono avvertire un lieve stato confusionale,
7 sono discontinui ed apatici sul lavoro o nelle occupazioni quotidiane,
8 tendono all’ansia e alla depressione,
9 sono facilmente irascibili,
10 non riescono a concentrarsi nella lettura,
11 hanno difficoltà o si rifiutano di risolvere nuovi problemi,
12 non riescono a restare attenti per molto tempo, hanno difficoltà a concentrarsi.
Come si può controllare l’efficienza della memoria?
Un semplice test per controllare se la memoria è “nella media” rispetto all’età anagrafica è il seguente.
Si leggono ad una persona, lentamente e con una brevissima pausa fra una parola e l’altra, 24 parole.
Al termine, si chiede alla persona di ripetere le parole che ricorda. In media un soggetto di 20 anni
ricorda 14 parole, uno di 30 anni 13 parole, uno di 40 anni 11. A 50 anni si ricordano solo 10 delle 24 parole, a 60 anni 9, a 70 infine 7.
Accanto a questa semplice prova una più corretta valutazione della memoria richiede una batteria di
test (test neuropsicologici) che hanno lo scopo di esplorare vari aspetti delle funzioni cognitive
(memoria a breve ed a lungo termine, attenzione, concentrazione e calcolo aritmetico, linguaggio,
orientamento spazio-temporale, capacità di scrittura, ecc.).
Si può contrastare la “smemoratezza senile”?
Il cervello che sta invecchiando continua, quindi, a ricordare abbastanza bene tutto ciò che ha acquisito nel passato ( memoria a lungo termine ), mentre inizia a manifestare difficoltà a registrare e quindi a richiamare dalla memoria le nuove informazioni ( memoria a breve termine ).
Per tenere in esercizio la “memoria a breve termine” ( memoria per i fatti recenti ) si possono attuare varie strategie.
Un metodo abbastanza semplice è quello di fare un pò di “ginnastica mentale” tutti i giorni nel modo seguente:
– scegliere le cose da fare in base ad un preciso ordine,
– non pretendere di fare molte cose tutte insieme,
– darsi tempo : invecchiando occorre più tempo per memorizzare,
– pensare prima di parlare : la parola che è “sulla punta della lingua” può essere sostituita da un’altra,
– evitare i comportamenti automatici : con l’età si tende a viaggiare con il “pilota automatico” nella
maggior parte delle circostanze della vita. Una utile ginnastica può consistere nel pensare
attentamente alle cose successive da fare, nel chiedersi perché si dovranno fare e perché si dovranno
fare proprio in quel modo e non in un altro.
– riflettere : fermarsi un minuto a pensare a ciò che si sta leggendo e commentarlo mentalmente
aumenta notevolmente la possibilità di ricordare ciò che si è letto,
– partecipare attivamente alla vita sociale o crearsi degli interessi,
– non isolarsi e continuare a ricoprire un ruolo il più possibile “attivo”.
Da quanto detto ne consegue che ogni qualvolta si manifestano disturbi della memoria (amnesie) è di estrema importanza stabilire se rappresentano solo un segno di un naturale processo di invecchiamento cerebrale (“smemoratezza senile”) o sono invece il primo segnale di una disfunzione che deve essere valutata per escludere che si tratti dei primi segnali di una condizione clinica che, se non inquadrata per poter essere trattata adeguatamente, potrebbe portare alla demenza.
Come si può stabilire adeguatamente la natura e la gravità di un disturbo della memoria?
Un isolato disturbo della memoria, non associato ad altri disturbi o ad altre malattie (ad es. ipertensione arteriosa, diabete, ecc.) e che non abbia i caratteri della progressione, potrebbe essere verosimilmente considerato come una semplice alterazione della capacità mnesica dovuta all’età (“smemoratezza senile”) che molto probabilmente non evolverà verso una compromissione globale delle funzioni cognitive portando alla demenza.
Per un corretto inquadramento clinico è comunque opportuno una attenta valutazione del singolo caso considerando insieme ai disturbi riferiti dal soggetto, la sua storia clinica (eventuali precedenti
familiari, ecc.) ed il suo stato fisico per poi sottoporlo ad opportuni test (test neuropsicologici) che
tengano conto non solo della misurazione quantitativa del disturbo della memoria ma anche delle altre funzioni ad essa correlate (capacità di orientamento temporo-spaziale, di calcolo, di ragionamento, ecc.), ed infine, ove sia necessario, eseguire opportuni esami emato-chimici e strumentali (ad es. elettroencefalogramma, Tomografia Assiale Computerizzata, Risonanza Magnetica Nucleare, Tomografia ad Emissione di Singolo Fotone, ecc..).
I dati forniti da una tale valutazione permetteranno, oltre ad un adeguato inquadramento clinico, di
seguire nel tempo (proprio attraverso la ripetizione dei test neuropsicologici ogni 6-12 mesi) in modo preciso l’eventuale peggioramento delle funzioni cognitive. Si potrà così intervenire tempestivamente, quando ce ne sia bisogno, con un trattamento terapeutico che possa agire positivamente sulle cause, ove possibile, del disturbo della memoria o direttamente sul disturbo stesso cercando di potenziare le strutture o i meccanismi che intervengono nei processi mnemonici. Un intervento precoce offre infatti molte più possibilità di riuscire a controllare un disturbo della memoria non classificabile come una semplice “smemoratezza senile” e ma che potrebbe evolvere verso una progressiva compromissione delle funzioni cognitive (demenza).
Che cos’è la demenza
La demenza è la conseguenza di malattie che compromettono alcune delle attività svolte dal cervello e si manifesta con disturbi della memoria, di altre funzioni cognitive e del comportamento, tali da compromettere la capacità di svolgere autonomamente le attività della vita quotidiana, pur mantenendo un normale stato di vigilanza.
La demenza è provocata da varie situazioni cliniche, ma esistono alcune forme la cui causa non è stata ancora completamente identificata e tra queste la malattia di Alzheimer è la più frequente.
Una delle classificazioni più utilizzate è quella che prende in considerazione le lesioni delle strutture anatomiche del cervello.
In relazione alle lesioni cerebrali che portano alla comparsa di demenza, vengono distinte in corticali, quando le lesioni sono a carico della corteccia cerebrale (come ad esempio per la malattia di Alzheimer e la malattia di Pick) e in sottocorticali, quando le lesioni si localizzano nelle strutture al di sotto della corteccia (come per le demenze associate alla malattia di Parkinson o le demenze
vascolari). La presenza di lesioni corticali e sottocorticali configura quelle forme di demenza definite “miste”.
Quali sono le prime manifestazioni della Malattia di Alzheimer?
L’esordio è subdolo, e questo rende molto difficile identificare l’esatto momento dell’inizio di questa condizione clinica.
Generalmente i primi sintomi a comparire sono i disturbi di memoria (dimenticare gli appuntamenti,
ripetere le stesse cose, non riuscire a far funzionare un nuovo elettrodomestico) che spesso vengono
interpretati (da parenti e amici) come normale espressione della “vecchiaia”.
Ai disturbi della memoria segue la comparsa di difficoltà nel parlare (inizialmente incapacità a trovare le parole e poi difficoltà a comprenderne il significato). Spesso si associano modificazioni del carattere (maggiore irritabilità), manifestazioni depressive, disturbi psichici (deliri, allucinazioni). La fase avanzata della demenza è caratterizzata dalla totale perdita delle autonomie, il malato è costretto a letto e necessita di assistenza per poter assolvere agli atti basilari della vita. Anche in questa fase, come durante tutto il decorso della demenza possono comparire brevi periodi di lucidità.
Benché non tutti i pazienti manifestano gli stessi sintomi e non presentano lo stesso decorso, come
guida è comunque possibile identificare tre fasi nell’evoluzione della demenza (che ha un decorso
medio di circa 12 anni) in relazione ai sintomi che i malati presentano.
Nella fase iniziale il malato può manifestare:
- · difficoltà di memoria (soprattutto quella recente);
- · difficoltà nel parlare;
- · disorientamento temporale (confonde i giorni della settimana, ecc.);
- · disorientamento spaziale (mancato riconoscimento di luoghi familiari);
- · difficoltà nel prendere decisioni;
- · perdita dell’iniziativa, aggressività;
- · perdita di motivazione e sintomi depressivi.
Nella fase intermedia, i problemi diventano più evidenti e il malato evidenzia difficoltà nelle attività
della vita quotidiana:
- · facilmente dimentica eventi recenti e nomi di persone;
- · non è più capace di vivere da solo senza difficoltà e può divenire estremamente dipendente;
- · può diventare incapace a cucinare, pulire o fare acquisti;
- · necessita di assistenza per l’igiene personale, per lavarsi e per vestirsi;
- · aumentano le difficoltà del linguaggio;
- · rischia di perdersi (sia in famiglia sia in comunità) e compaiono disturbi del comportamento;
- · può presentare allucinazioni.
Nella fase terminale il malato diventa completamente dipendente e necessita di assistenza
continuativa. I disturbi della memoria e del linguaggio sono molto gravi e compaiono anche disturbi
fisici. In particolare il malato può:
- · non riconoscere parenti, amici, e oggetti noti;
- · avere difficoltà a capire o interpretare gli eventi;
- · disorientarsi nella propria abitazione;
- · manifestare difficoltà ad alimentarsi;
- · diventare incontinente;
- · avere difficoltà a camminare;
- · manifestare disturbi del comportamento;
- · essere confinato a una sedia a rotelle o a un letto.
Alcuni suggerimenti
Suggerimenti di carattere generale per meglio affrontare i disturbi che compaiono nelle varie fasi della demenza:
1. Accertarsi che la vista e udito siano integri: la riduzione di informazioni attraverso questi sensi
peggiora la capacità di comunicazione.
2. Assicurarsi che il paziente presti attenzione prima di rivolgergli la parola.
3. Parlare con chiarezza, lentamente, e guardando il malato negli occhi.
4. Mostrarsi affettuosi anche attraverso il contatto fisico.
5. Utilizzare il linguaggio del corpo: quando il linguaggio verbale è compromesso il malato può
comunicare attraverso il linguaggio espresso dai gesti, dalla espressione del volto, dal tono
della voce.
6. Rispettare sempre la stessa sequenza nello svolgimento delle attività quotidiane: creando una
routine si riduce il rischio che si disorienti.
7. Stimolarlo a mantenere le proprie autonomie (vestirsi, preparare i pasti) o aiutarlo in modo
discreto: ciò preserva più a lungo le capacità integre e quindi l’autonomia e di conseguenza la
propria autostima.
8. Stimolarlo in attività per lui piacevoli, compatibili con le sue abilità (ascolto della musica,
giardinaggio, ricamo, ecc.): si evita così la noia e il senso d’inutilità.
9. Evitare discussioni per i comportamenti inadeguati: è controproducente; sono dovuti alla
progressione della malattia e piuttosto che reagire con rabbia è meglio restare calmi e imparare
a gestirli.
Mauro Acierno