La natura dell’essere umano, lo sviluppo della personalità ed il modo di essere al mondo che ogni persona trova, sono processi estremamente complessi e plurideterminati. Per cercare di comprendere meglio l’uomo nella sua dimensione cognitiva, emotiva, comportamentale e nella sua capacità di cambiamento, sono state proposte molte e diverse teorie e prassi psicologiche. Ogni scuola di pensiero rappresenta il modo con cui il suo autore interpreta la realtà, in quanto appartiene ad un contesto storico e socio-culturale ben preciso, del quale rifletterà percezioni atteggiamenti e credenze, proponendo dunque una visione, seppur utile, del tutto parziale della realtà. Ne consegue che nessun approccio psicoterapico può definirsi tanto completo od esaustivo da poter essere considerato il migliore, o da poter essere utilizzato esaurientemente per la cura di qualsiasi disturbo psichico.
Negli ultimi decenni, una parte del mondo scientifico ha riconosciuto la necessità di adottare una prospettiva aperta nei confronti dei vari contributi offerti da teorie psicologiche anche molto distanti l’una dall’altra.
La psicoterapia è un tentativo di risposta alla richiesta d’aiuto: è l’applicazione sistematica di metodi precisi al trattamento della sofferenza psichica e si basa principalmente sulla relazione terapeutica, responsabile in larga parte della riuscita del trattamento.
Le teorie psicologiche servono allo studioso come riferimenti approssimativi per comprendere globalmente uno specifico comportamento, o per avere una lettura dei gruppi societari. In questa ottica, appare evidente come nessuna teoria o prassi psicoterapeutica possa ritenersi la migliore in assoluto, o possa generalizzarsi a qualunque contesto, o cliente. La complessità della natura umana richiede una presa in carico che consideri la capacità di lavorare in modo eclettico.
Esistono molti differenti orientamenti in psicoterapia e vi è una continua a animata discussione riguardo a quanto i metodi dovrebbero essere applicati senza interferenze, oppure in modo integrato.
La mia convinzione, condivisa da molti, è che sia necessario un atteggiamento integrato, al servizio del cliente, che sappia modulare un intervento o un piano di trattamento in base alla unicità di chi si ha di fronte. Ogni approccio può fornire, in questo senso, un contributo diverso alla ricerca e alla cura psicologica.
Partendo da questa ottica integrata, io ed un mio collega, Leonardo Magalotti, portiamo avanti da anni un progetto che abbiamo chiamato “Comicodramma”; si tratta di un laboratorio esperienziale che vede l’integrazione di tecniche mutuate dalla Psicodramma classico e dai più moderni modelli di Teatro Terapia, con tecniche appartenenti alla Comicoterapia e al Teatro Comico.
L’idea di integrare questi due ambiti proviene dalla mia duplice formazione: lavorando nelle corsie di Ospedale come clown dottore ho sperimentato quanto possa essere importante sorridere in condizioni di salute drammatiche e quanto potere di rinascita abbia il buon umore dell’affrontare l’ospedalizzazione. Inoltre, come psicoterapeuta, ho sperimentato la capacità terapeutica del teatro; attraverso la drammatizzazione delle proprie emozioni, in terapia individuale o di gruppo, la persona raggiunge facilmente un’alta consapevolezza di se stessa. Nasce così la volontà di mettere in scena la problematica della persona, ma attraverso un personaggio possibilmente comico: qui la novità rispetto allo Psicodramma classico. La base filosofica del “Comicodramma” è di tipo esistenziale e costruttivistica: all’uomo è riconosciuta una grande libertà e responsabilità nelle scelte che “costruiscono” il suo modo di essere al mondo.
Attraverso questa esperienza di tipo laboratoriale, la persona ha la possibilità di “ri-narrare” la propria storia clinica, o storia di vita, e può farlo cambiando punto di vista, reinterpretando personaggi chiave nel teatro della vita, mettendo in scena e spesso s-drammatizzando problematiche che da sempre hanno rappresentato uno scomodo biglietto da visita da presentare all’altro. Nel “Comicodramma”, i due terapeuti ed il gruppo stesso con la sua creatività e capacità di accoglienza, hanno una funzione di facilitazione del processo di cambiamento, e di volta in volta utilizzano le proprie conoscenze, capacità di improvvisazione e sensibilità clinica per introdurre elementi comici, ironici, umoristici, giocosi e paradossali nella messa in scena “comicodrammatica” ed impersonando in tale maniera il ruolo sia del clinico, sia del regista o psicodrammatista. Per raggiungere questi obiettivi, i terapeuti adotteranno uno stile tendenzialmente direttivo, vicino al modello dello psicoterapeuta gestaltico, o delle terapie che utilizzano il paradosso in forma clinica, come la “Terapia provocativa” o la Terapia Paradossale e Breve Strategica.
In questo progetto, per potersi “permettere” l’utilizzo dello humor e di altri strumenti non-ortodossi, i due facilitatori iniziano da un atteggiamento auto-ironico e mettono in discussione il significato stesso della psicoterapia, con un atteggiamento che scardina schemi mentali rigidi, così come si continuerà a fare nel prosieguo dell’esperienza, attraverso il gioco, la comicità, la creatività, il teatro. I feedback più gratificanti per me provengono proprio dalle parole di chi ha partecipato.
Una signora quarantenne, che si era avvicinata al gruppo un po’ per curiosità, un po’ per far compagnia alla sua amica, commenta in questo modo la sua esperienza: “Durante questi incontri ho conosciuto delle parti di me di cui non avevo esperienza: proprio il mettere in scena personaggi con caratteristiche che nella vita reale non mi appartengono mi ha stimolata molto a mettermi in gioco. Ad esempio, ho sempre saputo di avere una parte di me un poco mascolina, e proprio per paura che emerga, tendo ad apparire molto femminile, a volte ostentando un po’ l’essere donna…impersonando il personaggio il ragazzo de borgata ho contattato diversamente questa mia parte e l’ho riconosciuta ed accettata. Nella mia vita è mancata la figura paterna e questo per me è difficile da riconoscere ed accettare. Questo lavoro mi ha molto aiutata in questo senso”.
Queste le parole di un partecipante di mezza età, all’inizio del laboratorio molto rigido e nello stesso tempo con la curiosità e la voglia di mettersi in gioco: “Il mio personaggio: un vagabondo. Io sono uno che non si è mai permesso di fare strappi a regole, uno che di solito esce con la camicia ben stirata…ecco credo che questo personaggio rappresenti una parte molto intima di me, che rifiuta le etichette, che avrebbe voluto ribellarsi alle regole della società altolocata. Ho negato per molti anni questa parte di me stesso, e grazie a questa esperienza sento che è arrivato il momento dell’unificazione e dell’accettazione globale di me stesso”.
Credo che la possibilità di sperimentarsi attraverso il teatro apra la strada alla consapevolezza; ecco il primo passo per il cambiamento di prospettiva. Il secondo passo ed i successivi dovrebbero essere dedicati, a mio parere, alla ri-narrazione di se stessi, dei propri pensieri, comportamenti ed emozioni, seguendo un’ottica umoristica, che sottolinei ciò che c’è di positivo nella vita di ognuno.
Ammiro molto le persone che vanno oltre il proprio lavoro e penso che tu sia una di queste..