Le Regole. Costano, Mancano, Servono, Nutrono, Crescono …

Negli ultimi decenni si discute spesso e a buon ragione, del tema Regole e Genitorialità.

Un tema assai importante e dibattuto come non mai, nei testi, negli articoli, ma soprattutto nella vita di tutti i giorni, nei centri di consulenza, durante il ricevimento scolastico, nelle riunioni, durante i corsi di aggiornamento, durante le supervisioni e in mille altri posti.

Infatti, già autorevoli teorici (Bettelheim, 1987; Phillips, 1999; Bollea, 1995; Marcoli, 2009) hanno sottolineato l’importanza e la problematicità del tema.

Il problema che affligge le ultime generazioni di genitori risiede proprio nella grande difficoltà, fino ai casi estremi nell’incapacità, di fornire regole e farle rispettare ai propri figli. E questo non è poco, perché da qui ne consegue tutta una serie di problemi relativi allo sviluppo, alla stabilità emotiva, alla struttura di personalità, al comportamento, alla condotta deviante, alla scolarità, alla prestazione, alla progettazione del futuro, alla relazionalità e via dicendo. Tutto ruota intorno alle regole!

Vi sembra eccessivo?

No, non lo è. In fin dei conti regole vuol dire confini, quindi vuol dire comprensione, vuol dire ambiti di esplorazione, vuol dire serenità, vuol dire chiarezza, stabilità di rapporti e tante altre cose.

E’ come se le regole costituissero uno dei grandi fondamenti per costruire il contenitore, entro cui accogliere dei contenuti: affetti, messaggi, relazioni, pensieri, parole, fantasie, comportamenti, ecc.

Immaginate il neonato, che all’inizio non ha chiare capacità di comprensione, comunicazione, di pensiero, ecc., ne ha solo dei prodromi e inizialmente vive in funzione dei suoi bisogni primari, la fame, la sete, il freddo, il bisogno di protezione, l’accudimento emotivo. Perché si formi un senso d’identità e di sicurezza in sé, è importante che vi sia risposta a tali bisogni. Non da meno, è importante che tali bisogni assumano un senso, un messaggio intellegibile rispetto a sé e alle relazioni. Perché ciò accada è necessario il senso di continuità, è indispensabile la giusta combinazione di presenza e assenza (Winnicott), pena un vissuto di deprivazione e d’abbandono da una parte (nel caso di eccesso di assenza), di intrusione e confusione dall’altro (nel caso di eccesso di presenza).

La giusta combinazione di presenza e assenza, si raggiunge grazie alle regole. Ad esempio il cibo a determinati orari, seguito da pause di assunzione, il sonno ad orari più o meno prefissati, il tempo per il gioco, il tempo per la scuola e lo studio, il tempo per lo sport, il tempo per lo svago e via via col crescere dell’età, nei vari impegni. Anche la poppata a richiesta, per chi la predilige, prima o poi dovrà cedere ad un ridimensionamento del pasto ad orari prefissati. Ovviamente la rigidità non è salutare per nessuno, ma la presenza di contenitori entro cui inserire le condotte, le emozioni, i pensieri, ecc., è di enorme aiuto.

Ad esempio, è importante che il bambino capisca la quantità di cibo necessaria, per sentirsi sazio per due o tre ore e si impegni in questo, stando a tavola. Questo ha un grande riscontro sulle conoscenze dei propri bisogni, sulla comprensione di certe attività, compiute in un certo modo, sulla capacità di stare fermo a tavola, su ciò che può e non può fare, ecc. Pensate, se il bambino avesse il permesso di mangiare a tutte le ore, in ogni momento che desidera, si creerebbero molte confusioni, prima di tutto non impara a darsi confini di riempimento e non riesce a tollerare il vuoto, organico ma anche emotivo, rischiano di utilizzare il cibo per quietare ogni disagio emotivo e relazionale. Inoltre rischierebbe di crescere con l’idea di non avere confini, di poter fare qualunque cosa in qualunque momento e la realtà ci dice che non è così.

All’inizio i bambini non sanno regolare sonno-veglia, non sanno contenere la loro energia, esuberanza, ansia, ecc. quindi è importante che ad una certa ora il genitore lo metta a letto, facendogli capire che deve imparare a mettere a freno l’agitazione, dal momento che è stanco deve cedere al sonno e arrendersi. Se non si verificasse questo passaggio, imparerebbe che non ce la fa a lasciarsi andare, a fidarsi di sé e a lasciare che la coscienza venga temporaneamente meno, non si fiderebbe dei genitori che lo accompagnano in questo, non imparerebbe a sviluppare le proprie strategie nell’addormentarsi, non sarebbe in contatto con i propri bisogni, non acquisirebbe l’uso di oggetti transizionali (Winnicott), futuri mediatori mentali fra lui e il mondo, fra il visibile e l’invisibile (pensieri, emozioni e fantasie), ecc.

Poniamo un altro esempio più di tipo emotivo, dove le regole possono essere espresse in modo indiretto. Ci sono situazioni in cui è inevitabile un certo vissuto, ad esempio alla morte di un caro, è giusto che gli adulti si mostrino dispiaciuti, tristi, addolorati e che piangano, non c’è nulla da nascondere, questo vissuto è congruente con l’affetto per la persona e con la situazione di perdita. Anzi mostrare che si può sentire, tollerare, gestire, parlarne, fornisce anche qua un confine fondamentale, fornisce le basi per la capacità emotiva del contenere.

Nello stesso modo, ad es. di fronte ad una nota dell’insegnante, il genitore deve mostrarsi arrabbiato e preoccupato, perché è congruente con la situazione ed il bimbo viene aiutato a guardare la realtà, a prendere la responsabilità della propria azione e a tollerare anche il disappunto di genitori e insegnanti.

Ma lo stesso apprendimento del linguaggio è costituito di contenuti e regole, ogni parola veicola un significato ed è un contenitore linguistico, che per essere usato correttamente, per arrivare allo scopo di essere capiti e capire, deve essere impiegato secondo certi criteri, regole, modalità e contesti. E’ un ottimo esempio di mediazione fra ciò che intendiamo comunicare e quanto è necessario per ottenere quest’obiettivo (la comprensione, il risultato, la soddisfazione, ecc.).

Del resto J. Piaget ci ha chiaramente insegnato che lo sviluppo stesso del pensiero, a partire dai suoi arbori, dai prodromi dei primi mesi, avviene grazie alla ripetizione, che procede entro certi termini e confini, quelle che lui chiamava azioni circolari ripetitive (primarie, secondarie, terziarie).

L’apprendimento di qualunque disciplina, di strategie, di attività, richiede tempo, ripetizione e rispetto delle regole. Poniamo il gioco del calcio, il bravo calciatore, non è colui che va a rete a tutti costi o evita l’attacco a tutti i costi, bensì colui che riesce nel suo scopo, all’interno delle regole del gioco, che prevedono solo l’uso dei piedi e solo sulla palla, prescrivendo gli spostamenti ed i lanci entro certi confini (le linee del campo), entro certi tempi, in collegamento e collaborazione con gli altri giocatori. Le regole, definiscono anche quando si è fuori regola, ad es. il fuori gioco, ecc., definendo anche la relativa condotta riparativa.

Persino le attività ludiche più semplici e spontanee, possiedono delle regole, dette o non dette, esplicite o meno. Questo si inserisce in un apprendimento più diretto, nei riguardi delle relazioni, dei rispettivi confini, del rispetto dell’altro, dell’attesa del turno, dei limiti imposti dalla presenza di altri, ecc.

Contenitore e contenuto devono andare di pari passo, in qualunque ambito ci si trovi.

In linea generale, mostrare con la propria condotta e regolare attraverso indicazioni, aiuta il bambino a comprendere, contenere e gestire, costituisce il fondamento della stabilità emotiva e della fiducia.

Non a caso, molti dei pazienti in terapia, con problemi più marcatamente cronici, contraddistinti da forte instabilità emotiva, insicurezza, ansia e somatizzazioni, sono spesso caratterizzati da una storia anamnestica contraddistinta da genitori incapaci nel contenerli.

La capacità di contenimento deriva proprio dalla forza con cui i genitori sanno rassicurare, sostenere emotivamente, indirizzare, proteggere, nutrire nei bisogni fondamentali, ecc. Ma questo non vuol dire che questi genitori non si siano prodigati in tal senso, ma solo che non ci sono riusciti.

Una delle variabili fondamentali sono i confini e le regole. Ai figli non piacciono i no e i confini, ma ne hanno un gran bisogno, perché sono le pareti entro cui sbatteranno, ma che li terranno al sicuro e forniranno loro il senso di poter stare anche con il disappunto, il dispiacere, con il contrasto. Sono proprio quelle pareti, che costituiranno il trampolino di lancio da cui potersi tuffare nella vita. I figli non sufficientemente contenuti infatti, faticheranno a trovare la propria strada, a separarsi e individuarsi definitivamente.

Il grado con cui si opporranno alle nostre regole, dipende dalla stima che hanno in noi e questa a sua volta si basa sulla solidità. Il bambino ha bisogno di vedere che le persone intorno a lui sono capaci, coerenti, solide, consapevoli, se un adulto cede di fronte alle loro richieste non può essere niente di tutto questo, è lui il più forte! Ed il bambino non ha bisogno di questo! E’ un controsenso.

Insomma, non crediate che dirgli no comporti non amarlo, che lui in risposta ci rifiuti o non ci ami, non dobbiamo cadere nell’errore di usare lo strumento della compensazione, pensando di sopperire alle nostre assenze (in termini di tempo, energie, disponibilità e capacità) con l’eccessiva disponibilità e cedevolezza. Ci semplifica apparentemente le cose, ma crea ulteriore confusione, perché si risponde ad un bisogno con un altro strumento, appartenente ad un altro piano, creando solo confusione e incapacità.

Tutti questi esempi per rimarcare l’importanza delle regole, a discapito poi della difficoltà attuale nel porle concretamente, nella vita di tutti i giorni.

Uno dei motivi fondamentali di tale difficoltà, consiste nel passaggio veloce da un sistema educativo rigido ad uno ben diverso. Il sistema educativo precedente si basava su un andamento che si ripeteva da generazioni, dove le regole erano ben chiare e stabilite, non si discutevano in alcun modo, non ci si interrogava se fossero corrette o meno e tutto era inserito in tempi e luoghi ben definiti, relazioni comprese. Dall’inizio del ‘900, il bambino ha cominciato ad essere un’entità a sé, sempre più messo al centro, fino ad arrivare agli ultimi anni, dove il sistema educativo si è incentrato nettamente su lui e sui suoi bisogni. Gli strumenti preferenziali sono la comprensione, il dialogo, l’empatia, l’apertura.

Un buon sviluppo direi, una flessibilità ed una riflessione continua, desiderabile. Questo processo però, ha perso per strada le regole.

E’ come se non si fosse ancora trovata la misura della presenza-assenza, come se, insieme al dialogo e alla comprensione, non si fosse trovato posto per il confine. Come se si fosse sguarniti di un accompagnatore, che ci guidi in questo difficile compito, che vede la difficile traduzione del sapere nel fare.

Ed è vero, è così, in fin dei conti il modello che noi adottiamo in ogni circostanza è ciò che noi abbiamo vissuto, che abbiamo appreso dall’esperienza diretta, quindi tenderemo ad applicare quanto abbiamo visto fare dai nostri genitori, verso noi come figli. Ma in questo caso si verifica un grave gap, perché ciò che abbiamo incorporato con la nostra esperienza di figli, non corrisponde a ciò che noi desideriamo fare con i nostri bimbi (figli, allievi, ecc.), a ciò che pensiamo sia giusto, a ciò che i teorici ci suggeriscono. E qui nasce un grosso guaio. Talvolta si fa un misturotto, tal altra si fa confusione in noi e in loro, a volte ripetiamo semplicemente ciò che abbiamo subito con o senza consapevolezza, ma di sicuro con grande dispiacere e rammarico.

Alla fine, dopo tanta fatica, tanto impegno, tanta applicazione, i risultati sono opposti a quanto desideravamo e ci aspettavamo. Ci sentiamo un vero disastro! O all’inverso pensiamo che i nostri figli sono un disastro, che non ci amano, sono dei delinquenti, degli aggressori, sadici, scemi, ecc. O entrambe le cose ed è un vero sfacelo.

Ci vuole un bel po’ di lavoro e di attenzione in questa direzione, per colmare quanto è rimasto indietro. Ma ricordiamoci di vedere il bicchiere mezzo pieno, non buttiamo via tutto, una gran parte è stata fatta, dobbiamo adesso contornarla e definirla.

Non a caso in uno degli interventi di Prevenzione ed Educazione alla Salute, a cui ho fatto capo di recente, si è lavorato proprio su questo tema. Si trattava di un lavoro svolto  prima con le insegnanti, poi coi genitori ed infine con genitori ed insegnanti, di una seconda elementare. Agli incontri hanno partecipato 17 genitori (di 25 allievi), di età media di 42,41 anni, con  i valori minimi e medi attestati su 36 e 56 anni rispettivamente, tre maschi e 14 femmine. Quindi un gruppo di genitori non eccessivamente giovane, per cui sicuramente con una certa importante dose di esperienza, personale e genitoriale.

Durante l’incontro con i genitori è stato chiesto di riempire un breve questionario sulle regole appositamente creato (vedi Tab. 1), che indagasse i modi, i tempi, le reazioni alle regole, dei figli e dei genitori al momento del loro essere figli.

Un primo dato interessante emerso dal questionario, riguarda il concetto di regola stessa. Si è chiesto cosa facesse venire in mente questa parola e le risposte si sono attestate due concetti, che potremmo dividere e far rientrare genericamente in due categorie:

1)    Rigidità-disciplina

2)    Rispetto- miglioramento

 

Una parte dei genitori cioè identificando il concetto di regole con quello di disciplina, traduce la visione di una modalità di trasmissione generazionale, espressa in modo “rigido”, autoritario, come fosse un contenitore in cui i figli devono rientrare.

L’altra parte, quasi all’opposto vede il passaggio di regole come di una forma di rispetto verso sé, gli altri, l’ambiente e quindi un mezzo per potersi migliorare.

Ora, se guardiamo il significato della parola Regola, vediamo che si riferisce all’asticella, alla squadra (dal latino regola), ovvero al metro di misura con cui confrontarsi, quindi al precetto, norma, alla modalità di eseguire un dato compito.

Mi sembra quindi, che l’interpretazione che ne hanno fornito i genitori, descriva nel primo gruppo, il modo ovvero il modo fermo di portare avanti un compito, la qualità ferrea della disciplina, mentre nel secondo gruppo si sottolinea le conseguenze delle regole, ovvero il fatto che si vive con maggiore rispetto e congruenza di sé e del mondo esterno.

Queste due sfumature, lasciano supporre che la visione del concetto sia altamente influenzata dalle emozioni, dalle proprie esperienze emotive e relazionali, su questo tema. Si può quindi desumere che non sia affatto facile, valutare la propria condotta in relazione ai figli e alle modalità educative.

Nella maggior parte del campione inoltre, si è riscontrata congruenza fra il proprio modo e la frequenza di impartire le regole e quello dei propri genitori (sia di quelli appartenenti al primo che al secondo gruppo). Tre genitori invece sentono di avere una modalità incongruente rispetto ai genitori, vissuti come autoritari, la loro modalità più orientata al dialogo, attuata quotidianamente, a fronte di un impegno più occasionale, dei propri genitori. Questo ci ricorda che la propria gestione dei figli arriva direttamente dall’esperienza personale come figli e dal modello parentale, offerto dai propri genitori.

Nelle considerazioni conclusive inoltre, ad eccezione della soddisfazione di due genitori, emerge la sensazione di difficoltà rispetto al far rispettare le regole e ad impartirle, soprattutto confrontandosi con i propri genitori, si evince inoltre la visione di un quadro attuale assai più complesso, dovuto sia al maggior numero d’influenze ambientali, sia alla maggiore apertura verso i bambini, sia ad una condizione dell’infanzia più libera e vivace.

Nell’ultimo degli interventi, quello in cui si mettevano a confronto genitori e insegnanti, è stato proposto un lavoro che rendesse la discussione più agevole. Si è fornita per iscritto una situazione-problema (Tab. 2), per molti versi assai simile a quanto esperito, dal gruppo classe in questione.

I partecipanti, riuniti in tre gruppi, si sono confrontati sulla situazione descritta e su quali possibili strategie potessero essere utili, per risolvere il problema. Successivamente, le considerazioni sono state condivise nel gruppo intero.

Da quanto riscontrato, tutti i gruppi, hanno messo in luce gli elementi principali della situazione, che hanno contribuito a creare un contesto problematico, dove le regole non vengono assolutamente rispettate. Genitori ed insegnanti hanno ben evidenziato: ambiente non del tutto adatto, scarsa presenza di regole, scarsa determinazione nel esprimere le regole, incongruenza fra le indicazioni verbali e gli aspetti non verbali (es. voltare le spalle, guardare di lato), un programma scarsamente definito, mancata assegnazione di ruoli e responsabilità alle allieve, materiale non del tutto funzionante e pronto all’occorrenza, scarsa costanza nel ripetere lo stesso esercizio fino alla sua esecuzione o inizio di corretta esecuzione, mancato rispetto delle regole da parte dei genitori (es. merenda negli zaini), assenza di coinvolgimento genitoriale (es. nel chiedere com’è andata la lezione), comunicazione non chiara e diretta dell’insegnante (si lamenta con le bimbe di aver detto ai genitori della merenda, ma non con i genitori), ipotetiche cause della scarsa forza nel proprio ruolo da parte dell’insegnante (la vicinanza d’età con la propria figlia), rabbia e frustrazione non espresse, comportamento riparativo e manipolatorio delle allieve (abbracciano e baciano l’insegnante che si lamenta), scarso esame della situazione da parte dell’insegnante, ecc.

Il gruppo insomma, ha mostrato di aver colto con molta chiarezza e sottigliezza gli elementi costitutivi della situazione problema, esprimendo una grande capacità di leggere i problemi.

Non dimenticandoci dell’effettiva difficoltà di traduzione nel concreto delle proprie conoscenze, dobbiamo riconoscere che vi sia stata un’ottima lettura del materiale, per cui una valutazione assai positiva di genitori ed insegnanti.

Sperando che non sia una condizione ottimale, ma la norma, ci auguriamo di trovare, tutti quanti insieme la capacità di affrontare questo gap, di superare il valico fra sapere e saper fare, fra emozioni che aiutino a vivere ed emozioni che frenino. E’ importante imparare a non additare, ma a collaborare, per trovare le soluzioni migliori. Capita spesso invece, che i genitori si aspettano molto dalle insegnanti e queste a loro volta si aspettano molto dai genitori, in questo modo le energie sono disperse fra accuse, dispiaceri e incomprensioni.

Penso anche che spesso i sensi di colpa ci rendano deboli di fronte ai nostri figli. La nostra difficoltà a gestire gli impegni quotidiani, l’incapacità di riconoscere i propri limiti e a darsi il diritto alle proprie incapacità, ci rendano vittime e impossibilitati ad utilizzare tutte le nostre risorse.

Da questi incontri, dall’osservazione del questionario, dai temi di discussione, emerge che questo gruppo di genitori è assai sensibile ai problemi dei propri figli, è attento e desideroso di trovare strategie più efficace. Nello stesso tempo, si evince la fatica nell’essere efficace, nel far fronte ai molti impegni quotidiani, nel sentire di avere in mano la situazione.

Un genitori ha espresso in modo chiaro la situazione emotiva, in questa frase “Siamo vittime degli abbracci e dei baci dei nostri figli”. Come dire che il legame con i propri piccoli è forte e carico di emotività e anche di preoccupazione, al punto talvolta di diventarne vittime, perdendo la visibilità della situazione.

Sicuramente i ritmi attuali, gli impegni, il maggior liberismo dato ai bambini e ai ragazzi più grandi, rende assai complessa l’interazione con loro, non di meno la parte emotiva, come un po’ trasudata dal questionario e dal confronto, forse costituisce l’elemento che ci impedisce di dare il giusto peso alle cose e di applicare le consapevolezze acquisite. Inoltre, è anche emerso come l’adulto abbia perso potere, abbia svilito il proprio ruolo e l’autorità, agli occhi dei figli, degli alunni, ecc.

C’è poi da aggiungere che il mondo circostante, scuola compresa, è assai richiedente, molto più che negli anni precedenti. Sicuramente si offre di più alle nuove generazioni, ma questo ha anche un costo, quello della competenza e della responsabilità su molti più fattori, a livelli sempre più elevati, ciò sovraccarica genitori e figli di richieste prima impensate.

Forse questa condizione, arriva da un passaggio generazionale, dove la centralità del bambino, come acquisizione più recente, ha fatto perdere di vista il ruolo e l’importanza dell’adulto. Tutto è a misura di bambino e delle sue necessità e questo è un ottimo indirizzo educativo, che però non deve escludere l’altro nella relazione, l’adulto appunto, che non può essere parificato al piccolo per conoscenze e posizione decisionale.

Inoltre c’è forse da dire che si è passati dall’autorità, ottenuta con severità, con punizioni, con assenza totale di attenzione al bambino, alla ricerca di un altro modo, che escludesse una posizione dura, per includere il dialogo e la comprensione. Alle nuove generazioni di genitori dunque, spetta il difficile compito di trovare un nuovo modo di avere potere e ruolo decisivo. Questa strada, percorre la via del rispetto e della stima, fondate sull’amore, sull’esempio di una condotta coerente col dire, sul rispetto, sulla libertà di decisione, adeguatamente concertate con il rispetto delle norme e regole.

Mi sembra una strada tutta aperta, da scoprire e modificare giorno per giorno, sicuramente faticosa e richiedente, rispetto ad una modalità automatica di impartire “ordini”, sicuramente si apre verso una buona combinazione di esperienza, sperimentazione, autorità, autorevolezza, stima, amore.

Sarebbe più facile per tutti applicare delle ricette, delle massime, ma non è possibile, altrimenti cediamo nuovamente nella rigidità di regole imposte a prescindere dalle persone coinvolte e dalle loro risorse. Il nostro contesto socio-culturale ormai ci ha portato altrove e noi dobbiamo trovare la nostra personale strada per raggiungere autorevolezza e contenimento.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Bettelheim B. (1987). Un genitore quasi perfetto. Milano, Feltrinelli.

Bollea G.  (1995). Le madri non sbagliano mai. Milano, Feltrinelli.

Marcoli A. (2009). E le mamme chi le aiuta? Come la psicologia può venire in soccorso dei genitori (e dei loro figli). Milano, Mondadori.

Phillips A. (1999). I no che aiutano a crescere. Milano, Feltrinelli.

Piaget (1966). La rappresentazione del mondo del fanciullo. Torino, Boringhieri.

Winnicott D.W. (1968). La famiglia e il suo sviluppo. Roma, Astrolabio Editore.

 

 

 

Tab. 1


Questionario sulle Regole

Età _________            Sesso ________

Cosa ti fa venire in mente la parola “Regole”?

Quali Regole impartisci a tuo/tuoi figlio/i?

In che modo impartisci queste regole?

Con quale regolarità?

Qual è la sua reazione alle regole?

Quali Regole ti venivano fornite da bambino/a dai tuoi genitori?

In che modo te le impartivano?

Con quale regolarità?

Qual era la tua reazione?

C’erano altre figure che ti impartivano regole?

Considerazioni Conclusive

 

 

 

Tab. 2

SITUAZIONE PROBLEMA

Siamo in una scuola di danza, durante un corso di danza propedeutica.

Le allieve variano di volta in volta in numero e vanno da 6 a 10, hanno un’età compresa fra i 3 e i 5 anni e mezzo circa.

L’insegnante è una ex ballerina, ha 34 anni e ha una figlia di 5 anni.

La durata della lezione dovrebbe aggirarsi sui 60 minuti, che in realtà si traduce in una lezione di 40 minuti circa, compresi i tempi di preparazione iniziale e finale e intermedia del materiale (spostare tappetini, step, palle, bastoni, preparare percorsi, rimettere a posto, ecc.).

L’ambiente piacevole, confortevole, aperto negli spazi e luminoso, non sempre adeguatamente riscaldato e in alcuni punti non del tutto sicuro (parchè dissestato ad esempio).

Per volere dell’insegnante, i genitori lasciano da sole le figlie durante la lezione.

 

Lezione di danza del giorno XX: sono presenti 7 bambine.

Inizia la lezione, tutte le bambine si apprestano a fare gli esercizi iniziali, l’insegnante annuncia loro velocemente che inizieranno a lavorare, poi volta le spalle e si reca ad accendere la musica, facendo partire un file sul computer, che però non parte subito. Le bambine si disperdono, urlano, saltano, si rincorrono. Parte la musica e l’insegnante deve recuperare le allieve, quando ci riesce dopo vari tentativi, la musica è finita, si dirige nuovamente al computer e le allieve riprendono a rincorrersi.

Dopo vari tentativi riescono a fare alcuni esercizi di riscaldamento. Spesso le bimbe si accalcano intorno al computer, per far partire la musica.

Si passa ad organizzare un’altra attività, l’insegnante invita le allieve a prendere il materiale, cinque birilli, due step, cinque bastoni, cinque tappetini, tutti corrono a prendere tutto e alla fine c’è materiale in abbondanza e anche confusione. Tutto il materiale viene accolto e più o meno usato.

L’insegnante spiega il percorso, mentre una parte delle allieve si rincorre. Iniziano il percorso, una parte lo esegue e una parte che non ha ascoltato, compie il percorso a modo proprio, l’insegnante per lo più le lascia fare. Dopo poco, si rimette a posto per riprendere con un’altra attività. Con questo andamento, per tutta la lezione.

Durante l’intero corso, due allieve si recano sistematicamente nello spogliatoio a prendere biscotti e bibite, dopo un paio di occasioni l’insegnante, mentre si reca a cambiare musica, voltandogli le spalle e guardandole lateralmente, dice loro di non andare negli spogliatoi e di non mangiare. Nessun effetto, le bimbe proseguono e contagiano anche le altre, che si lamentano e chiedono di mangiare e bere. L’insegnante si lamenta di aver detto ai genitori, che le figlie non devono mangiare durante la lezione. Le bimbe le si accalcano intorno, facendo a gara per baciarla ed abbracciarla ed il sorriso torna sulle sue labbra e tutto riprende come prima.

All’arrivo dei genitori, le allieve sono ancora un po’ agitate e cariche, l’insegnante esausta dichiara chiusa la lezione (circa 10 min prima), delegando nuovamente le bimbe alle rispettive madri e dirigendosi verso la prossima lezione, saluta velocemente.