I crimini, quali tentativi d’omicidio e gravi lesioni fisiche, provocati da generica vendetta o da un’aggressività ipocontrollata, a causa d’una bassa soglia alla reazione violenta difronte a minima provocazione, sarebbero associati al disturbo paranoide di personalità, mentre a quello schizoide andrebbero ricollegati i misfatti compiuti alla ricerca di eccitazione, come il sequestro di persona per esempio.
L’iperirritabilità della personalità antisociale, consistente in un intenso stato di rabbia, non provocata dalla vittima e precedente il delitto, starebbe alla base di reati di gruppo o commessi per mero profitto economico, come rapine e furti; questi ultimi appannaggio pure delle personalità istrioniche che poi mettono in atto anche comportamenti miranti a evitarne le conseguenze.
Il disturbo ossessivo-compulsivo s’accosta essenzialmente alle esperienze di perdita, oltre che ad aggressività e iperirritabilità, mentre le personalità schizotipiche, le evitanti e dipendenti generalmente non verrebbero implicate nelle condotte criminali.
La maggior parte dei soggetti, comunque, manifesta più categorie diagnostiche concomitanti, il che rileva ancora una volta l’esclusività individuale d’una determinata personalità.
Unitamente a iperirritabilità, vendetta, spostamento dell’aggressività, ricerca d’eccitazione, la disforia con bisogno di trovare sollievo dalla tensione e le pulsioni compulsive ad agire costituiscono le variabili motivazionali del borderline, che risulta il disturbo di personalità più comune all’interno d’un campione che affianchi alla psicopatologia specifiche imputazioni. Seguono a ruota il disturbo antisociale e il paranoide, preceduto di poco dal narcisistico, i cui delitti sono eseguiti per compensare un senso d’inadeguatezza e indegnità, con atti di controllo, dominio ed esercizio di potere sulla vittima.
Per via dell’alta frequenza di categorie difensive primitive e di relazioni oggettuali borderline, nella popolazione antisociale, prevale proprio questo tipo d’organizzazione di personalità, eppure l’alto livello di narcisismo riscontrato supporta l’ipotesi che il disturbo antisociale, in ultima analisi, possa rivelarsi una variante particolarmente aggressiva del narcisismo.
Piuttosto che negli opposti introversi o estroversi, all’interno di questa classe diagnostica, vengono distinte in due principali sottotipi le tendenze alla grandiosità ed esibizionismo o alla vulnerabilità e sensibilità pseudodepressiva.
Il termine narcisismo etimologicamente va riconnesso a narké (torpore), poiché almeno parte della tragedia di questo disturbo consisterebbe nel fatto che il soggetto appaia inconsapevole delle sue potenzialità esistenziali. Le modalità narcisistiche pertanto, secondo Glen Owens Gabbard (1989), possono rivelarsi contrastanti nel caso in cui vengano definite “inconsapevoli”, espresse (overt) oppure “ipervigili”, celate (covert), dove, in questi ultimi, la facciata pseudodepressiva e la vulnerabilità è prodotta da una sorta di costante pervasione da parte d’un senso d’inferiorità orientato a evitare i contatti interpersonali per via della forte sensibilità alle critiche.
Alla formula “overt”/ “covert” avevano fatto ricorso A. Cooper (1981), S. Akhtar and J. A. Thomson (1982), ripresi successivamente da P. Wink (1991). Mentre, il primo a usare le definizioni di “manifesto” e “celato” era stato James Francis Masterson (1926-2010), nell’81, ma in seguito, nel 1993, per tale psicopatologia, ha proposto le due categorie di “esibizionista” e “closet”. Entrambi non riescono a sviluppare adeguatamente un sé appropriato all’ età, a causa di difetti nella qualità di relazione diadica con la madre. Il “closet” è contraddistinto da un’inadeguata percezione di sé e una maggiore consapevolezza del vuoto interiore (deflated), laddove l’esibizionista non manifesterebbe alcuna consapevolezza d’una percezione di questa inconsistenza e si presenterebbe tronfio e pieno di sé (inflated).
Alvin Rosenfeld (1987) li identifica come dalla “pelle” dura oppure sottile; l’allievo di Jacques Lacan (1901-1981), André Green (1927-2012), parla di “Narcissisme de vie, narcissisme de mort” (1983), Francis J. Broucek di “egoistici” e “dissociativi”, Sheldon Bach di “inflazionati” e “ridimensionati” e Otto Friedmann Kernberg di “benignità” o “malignità”.
Anzi, Kernberg si spinge ancora più in là e concettualizza la stessa personalità antisociale quale sottoclasse del disturbo narcisistico alle strette dipendenze dei meccanismi di difesa peculiari dell’organizzazione borderline: diniego, scissione, onnipotenza, identificazione proiettiva.
Integrando in un’unica concezione tre distinti modelli psicoanalitici (teoria pulsionale di Freud, teoria di Melanie Klein e di William R. D. Fairbairn, nonché la psicologia dell’Io di Margaret Mahler e di Edith Jacobson), il professore della Cornell University Medical College di New York prospetta una visione psicostrutturale, in cui la classificazione nosologica rimane centrata sulla dimensione della gravità delle organizzazioni di personalità, dalla nevrotica, alla borderline alla francamente psicotica, disposte lungo un “continuum” psicopatologico, che ne rispecchia il grado d’integrazione d’identità, la tipologia dei meccanismi di difesa, l’esame della realtà. I soggetti maggiormente compromessi sul piano psicopatologico, presentano un’organizzazione psicotica di personalità, o addirittura manifestano delle forme atipiche di psicosi.
L’aspetto narcisistico rappresenta il filo conduttore che riunisce certi disturbi di personalità (almeno i quattro del Cluster B). Sul continuum di gravità, il narcisismo occupa uno spazio che include i soggetti antisociali con marcato deterioramento delle funzioni superegoiche, incapaci d’investimento in qualunque tipologia di relazione, impegnati solo a sfruttare gli altri esclusivamente ai loro fini.
Segue il narcisismo “maligno”, egosintonico, commisto ad aggressività sadica, con tendenze antisociali, orientato in senso paranoide, ma non privo di preoccupazione e senso di lealtà verso gli altri.
S’accodano le personalità narcisistiche tout court con espressioni antisociali e quei soggetti che tali comportamenti li manifestano nell’ambito dei disturbi borderline, istrionico e paranoide.
All’estremo si pongono i nevrotici che, pur sufficientemente adeguati nella vita quotidiana, non hanno capacità d’intimità, e possono comportarsi con modalità antisociali per un qualche inconscio obbiettivo d’essere puniti.
I tipici meccanismi di difesa si spiegano con la tendenza a mantenere il senso grandioso di sé che cela le sensazioni d’insignificanza e indegnità. Nella condizione di narcisismo estremo, la posizione difensiva di base è quindi l’onnipotenza a protezione dell’inadeguatezza provata per esaurimento dell’autostima.
La scissione serve a escludere dalla coscienza quegli aspetti della personalità che potrebbero contraddire un comportamento posto in atto o intaccare la percezione grandiosa di sé. Grazie alla scissione, indegnità e sopravvalutazione possono coesistere.
Nell’identificazione proiettiva, l’aggressività distruttiva viene attribuita ad altri, la qualcosa suscita il timore d’essere distrutti, con conseguente reazione.
Il diniego annulla le implicazioni delle azioni aggressive e il significato dell’emotività altrui. L’incremento dell’immagine di sé occulta a se stessi aspetti della propria personalità, mentre lo stile di pensiero frammentato evita di focalizzare la temuta sensazione di inconsistenza personologica.
Il titolo di “The Mask of Sanity” del più famoso testo di Hervey Milton Cleckley (1903-1984) deriva dalla radicata convinzione dell’autore che uno psicopatico possa apparire normale, e persino coinvolgente, ma che ciò sia appunto la “maschera” che nasconde un disturbo mentale. Lo psicopatico offre una facciata appena appena in sintonia con le richieste della realtà, ma i suoi comportamenti caotici lasciano desumere una qualche forma di psicosi atipica.
Al prototipo dello psicopatico vanno attribuite le caratteristiche dell’inaffidabilità, impulsività, eccentricità, menzogna, scarso giudizio critico, astensione dalla progettualità a lungo termine, assenza d’empatia, incapacità di mantenere attaccamenti affettivi, vita sessuale impersonale, stile di vita irresponsabile, mancanza di rimorso, vergogna e senso di colpa. Il disinvestimento sul piano emotivo e l’atteggiamento interpersonale aggressivamente narcisistico ne appaiono i comuni denominatori, per cui in definitiva lo psicopatico resta soltanto inabile a interiorizzare le componenti affettive di quella che dovrebbe essere considerata come una normale interazione umana.
Wilhelm Reich (1897-1957), che propose una teoria globale della “corazza caratteriale”, secondo Jacques Lacan (1901-1981) avrebbe “commesso l’errore di prendere per armatura quel che sono le armi”. Ma parlava anche d’arroganza, sicurezza, energia, impressione che suscita nel portamento, oltre che di difetto di reazione nei confronti dei propri atteggiamenti sadici.
Per descrivere il comportamento sprezzante delle convenzioni sociali ci si può rivolgere a un incondizionato rifiuto dell’autorità e alla mancanza di controllo degli impulsi; la ricerca del brivido e del piacere immediato la si può ricondurre all’impossibilità di procrastinare le gratificazioni, e il fallimento nel correggere i propri errori all’incapacità di trarre insegnamento dall’esperienza.
Karl Birnbaum (1878-1950) è stato uno dei più influenti autori in tema di psicopatia, in particolare per quanto riguarda la categoria dei disturbi di personalità, e soprattutto nel contesto criminologico. Sarebbe stato lui, nel 1909, il primo a suggerire il termine “sociopatico” quale “denominazione più adatta per la maggior parte dei questi casi”.
Il termine “sociopatia” sarebbe poi gradualmente diventato popolare negli Stati Uniti, e adottato nelle prime versioni del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali ed è ancora indicato come alternativo al disturbo “antisociale” di personalità . Birnbaum ha proposto diversi sottotipi di sociopatia e ha sostenuto che, mentre ci possono essere vari gradi di disposizione “costituzionale” verso disturbi che potrebbero portare a disadattamento e comportamenti criminali, è in ogni caso l’effetto delle forze sociali e di ambienti formativi deficitari a produrre il risultato finale.
Nel 1930, nell’articolo dal titolo “The Social Significance of the Psychopathic”, Birnbaum ha definito psicopatico chiunque mostri “in a moderate degree dispositionally conditioned, ‘constitutional’, psychic deviations, and especially…in the sphere of character”. Tutto questo dovrebbe costituire sufficiente distinzione da ciò che viene considerato “really insane”, anche se al contempo non necessariamente dal “normale”.
Nel 1949, in materia di delinquenza giovanile patologica, evidenzia l’importanza di considerare le complesse interazioni e i percorsi delle varie condizioni che portano sia, dal di dentro, all’immaturità della personalità che, dall’esterno, alle influenze ambientali negative.
La sua visione pone al centro del disturbo la carenza di emozioni, il ruolo fondamentale di eventi della vita e condizioni sociali nel plasmare le varie disposizioni psicopatiche che confluiscono in comportamenti criminali, assieme però all’insistenza sul dato che anche la permanenza nell’azione antisociale non necessariamente equivale a una sottostante psicopatia. Alcune forme di sociopatia, coinvolgenti l’immaturità o instabilità morale o emotiva, potrebbero allora essere affrontati con metodi socio-educativi o una guida spirituale.
Franco Freilone , Barbara Fratianni ed Elisabetta Tocco, in “Psicodiagnosi e disturbi di personalità” (Fratelli Frilli, Genova 2011), riconoscono un rinnovato interesse nella psicopatia, “a causa della sua importanza nella valutazione diagnostica in relazione a quelle caratteristiche psicodinamiche che non vengono menzionate nei criteri dell’ASPD del DSM”.
Le considerazioni psicodinamiche aiutano la diagnosi differenziale tra i vari aspetti individuali, all’interno delle generali personalità antisociali, arrivando a cogliere quelle sfumature che permettono di distinguere la psicopatia che non soddisfa i criteri per l’ASPD o il soggetto inquadrato in questa categoria senza essere psicopatico. La psicopatia va distinta principalmente per i suoi tratti affettivi e interpersonali che possono sfociare in stili di vita devianti.
I criteri per l’ASPD del DSM tengono invece conto essenzialmente delle manifestazioni comportamentali, senza tentare una comprensione delle motivazioni che spingono ad agire in quel determinato modo. Questo disturbo sarebbe divenuto un contenitore di difficoltà diagnostiche concernenti comportamenti che avessero anche solo una qualche attinenza con la criminalità, da cui deriva una sorta di sovraesposizione nosografica ben maggiore di quanto sia ragionevolmente giustificato nei confronti della popolazione carceraria.
Un tratto stabilito può infatti rispecchiarsi in un’estesa varietà di condotte, alla stessa stregua di come un certo comportamento può ricondursi a più d’un tratto di personalità. Per questo, James S. Wulach (1988) reputa i criteri del DSM una lista di azioni condizionata dai pregiudizi di antisocialità e di cronicità di comportamenti criminali, necessariamente inaugurata in età antecedente ai 15 anni. Così facendo, l’etichetta diventerebbe un po’ troppo sovrainclusiva, nell’escludere però soprattutto quelle sottili particolarità che contraddistinguono una popolazione fin troppo varia.
L’ASPD sembra stato il disturbo che più di tanti altri è stato sottoposto al maggior numero di revisioni a causa delle critiche che lo hanno bersagliato, con la finalità d’includere elementi tradizionalmente legati alla psicopatia in una valutazione dimensionale di tipo clinico.
In aggiunta alla tendenza a sfruttare il prossimo, avidità e invidia, i tratti di grandiosità, ricerca d’ammirazione e mancanza d’empatia, avvicinano troppo gli antisociali ai narcisisti, inducendo a persistere in questo errore di eccessiva generalizzazione?
Giuseppe M. S. Ierace
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