Identità di genere – Chimere e prodigi del corpo

Quod enim genus figura est, ego non quod obierim?” (Carmina LXIII, v. 62).

Catullo si pose il problema della scelta impetuosa (“ut nemus citato cupide pede tetigit”, v. 2) della “trasgressione di genere” effettuata da Attis, a causa di un “Veneris nimio odio” (v. 17), e, nel connotare un’indecisione tra lo psichico e l’esistenziale, tra spaesamento ed esilio da se stessi (“Ego mulier, ego adolescens, ego ephebus, ego puer,/ ego gymnasii fui flos, ego eram decus olei”, vv. 63-64), oscillava, come per un non sopito pentimento dell’irreversibilità, col declinare sia al maschile sia al femminile (“Miser a miser, querendum est etiam atque etiam, anime.”, v. 61).

Tritiya prakriti

Nell’antichità, il “terzo sesso” sarebbe appartenuto interamente alla sfera del sacro e finiva per procacciare sacerdoti e/o sacerdotesse alle celebrazioni dell’indefinitezza (“Ego nunc deum ministra et Cybeles famula ferar?”, v. 68).

Riguardo al “Tritiya prakriti”, devoto al deva Ardhanarisvara, Will Roscoe affianca, al culto di Cibele, il canone di Bahuchara Mata, comprensivo di elementi a quello analoghi, come pure di ulteriori, che trascurano il degradante significato di quelle espressioni fortemente categorizzanti al fine di etichettare certi raggruppamenti, a favore della mitologia e iconografia di determinati snodi fisiologici (Chakra) e attributi totemici (Vahana), e in particolare al fascino emblematico  di quegli ambigui rettili dal sesso indefinito. Un’arcaica manifestazione della dea Durga, sotto forma di serpe dalle doppie fauci (Kurkut ), funge da guardiano della soglia per il risveglio della Kundalini, nel mentre veicola l’energia elargitrice di Virya, o sperma, da parte d’una tantrica Bala Tripurasundari, protettrice della comunità Hijra, composta da eunuchi ed ermafroditi, che per loro indole aderiscono strettamente alla dottrina della non violenza, o ahimsa.

In tutto ciò che concerne l’amore, ognuno deve agire in accordo con i costumi del proprio paese e con le proprie inclinazioni“, recita il Kama Sutra (al cap. IX). Ayyappa fu generato comunque dall’amore omosessuale di ?iva e Vi??u, così come il re ed eroe Bhagiratha venne al mondo da due madri. Nel Mahabharatha, re Drupada, dopo aver pregato a lungo Mahadeva, riceve dal dio un figlio “che non è né uomo né donna”, Sikhandin. Alla stessa stregua di un olimpico Achille, un altro celebre eroe del Mahabharatha, Arjuna, co-protagonista della Bhagavad gita, prima della grande battaglia di Kurukshetra, adotta abiti, gioielli, acconciature, comportamenti e danze tipicamente femminili.

Residui karmici

Secondo il pensiero di Jiddu Krishnamurti (1895-1986), la questione scottante sarebbe fondamentalmente costituita dal fatto che l’umanità abbia recentemente attribuito troppa importanza al sesso, fino a far diventare problematiche sia l’omosessualità che l’eterosessualità. Nel 1977, Srinivasa Raghavachariar, del Tempio Vaishnavita di Sri Rangam, intervistato da Shakuntala Devi, la famosa autrice di “The World of Homosexuals”, riconduceva ancora il desiderio sessuale agli attaccamenti karmici delle vite precedenti; poiché, nel passare attraverso varie forme, gli esseri viventi vanno incontro a diversi cambiamenti di genere, coppie dello stesso sesso potrebbero essere la reincarnazione di amanti dapprima di sesso opposto. Allungamento della vita media, sovrappopolazione e carenza di risorse potrebbero, inoltre, aver indotto Madre Natura (Bhoomi Devi), non più in grado di sopportare un tale peso, a contrastare l’esplosione demografica con questo sterile escamotage. “All we can do is sit back and wonder at the divine tricks of the Almighty!” (Shakuntala Devi).

 

Ermafroditi – chimere e prodigi del corpo

L’ermafrodito, simbolo di dannazione e di perfetta completezza di esistenza allo stesso tempo, è un fantasma culturale che attraversa tutto il mondo… – scrive Luca Scarlini in “Ermafroditi – chimere e prodigi del corpo tra storia, cultura e mito” (Carocci, Roma 2015) – Popolarissimo nella statuaria ellenistica e nel pantheon indiano, l’ermafrodito ha trovato poi una incarnazione autorevole negli esperimenti dell’alchimia, prima che il positivismo eleggesse i soggetti portatori di doppia sessualità a favorito (quanto morboso) campo di indagine…”.

Rebis

Lo stesso nome, Rebis, che lo designa in alchimia, indica una figura doppia, ma dai molteplici poteri, in quanto rappresentazione della compiutezza d’un raggiungimento nel processo di ricerca della perfetta coincidenza degli opposti, allorquando tutti gli elementi si allineano per divenire simbolo d’un’auspicabile e attesa “Aurora consurgens”.

Se l’ermafrodito mercuriale è icona di metamorfosi, nell’accostamento al mistero della comunione di coppia, più prosaicamente forse, evoca un congiungimento sessuale incarnato fisicamente nell’esistenza terrena. Esempio rinascimentale di questo lavoro finalizzato alla Grande Opera, sarebbe stata la collaborazione coniugale tra Perenelle e Nicholas Flamel.

“Ciò che è giusto” (?)

Tuttavia maschile e femminile sono concettualizzati in molte culture – anche nella nostra – come posizioni stereotipicamente polarizzate – si legge nell’introduzione a Pascolo-Fabrici E., Sandri F., Saullo A. e Bonavigo T.: “Identità di genere” (Eut – Edizioni Università di Trieste, Trieste 2016) –   e finiscono per essere considerate come socialmente alternative, tanto che l’antropologa Mila Busoni li descrive in una relazione come quella tra terra e aria, acqua e fuoco, cioè tra loro contrapposti e mutuamente esclusivi. Le posizioni intermedie sono respinte e ciò va spesso di pari passo con l’idea per cui ciò che è dato (il sesso) è ciò che è giusto, e che non è possibile assumere un’identità di genere che non corrisponda a questo”.

 

Il riconoscimento d’un ruolo psicologicamente più preciso nella combinazione del rapporto di genere con il corpo risale alla metà del secolo scorso.

L’abito fa il monaco?

La discussione sulla fenomenologia si articolava su non trascurabili sottigliezze terminologiche, incentrate soprattutto sullo scarto tra l’anatomia e la percezione di se stessi, ovvero il modo di “abitare” il corpo (travestitismo, transessualismo, intersessualità), il vissuto e un non sempre corrispondente orientamento sessuale (eterosessualità, bisessualità, omosessualità).

In connessione al vissuto, al ruolo, e agli aspetti sociali e comportamentali, con modalità di maggiore o minore unitarietà o persistenza, si costituisce un’identificazione in senso più o meno netto, o di assidua ambivalenza.

Una teoria “interazionista”

Lo psico-sessuologo neozelandese John William Money (1921-2006) ha sviluppato una teoria interazionista, la quale implica che, dopo una certa età, l’identità di genere è relativamente fluida e soggetta a costanti aggiustamenti. Ma innanzitutto, più in generale, ha inserito sotto il termine “ruolo di genere” tutte le caratteristiche non-genitali e attività non-erotiche, predefinite dalle convenzioni della società, da applicare in alternativa.

Il “ruolo”  di genere

Quanti presentano combinazioni diverse e varie permutazioni delle principali variabili (morfologia esterna dei genitali, struttura interna delle gonadi, cromosomi, o caratteri secondari) andrebbero “valutati” rispetto all’orientamento stabilito durante la crescita, appunto il ruolo di genere. Money ha reso tale concetto di “genere” un concetto molto più ampio, estendendolo a criteri somatici e comportamentali che vanno al di là delle comuni differenze genitali

All those things that a person says or does to disclose himself or herself as having the status of boy or man, girl or woman, respectively. – scrisse in “An Examination of Some Basic Sexual Concepts” (1955) – It includes, but is not restricted to sexuality in the sense of eroticism. Gender role is appraised in relation to the following: general mannerisms, deportment and demeanor; play preferences and recreational interests; spontaneous topics of talk in unprompted conversation and casual comment; content of dreams, daydreams and fantasies; replies to oblique inquiries and projective tests; evidence of erotic practices, and, finally, the person’s own replies to direct inquiry.”

L’esibizione di “una” identità

L’adesione ai canoni in risposta a delle aspettative sociali corrisponde a degli standard di comportamento cui attenersi in una sorta di “esibizione”, nel corso della quale eventuali distorsioni e disfunzioni si appaleserebbero con immediate conseguenze sul piano relazionale.

Intersessualità

La compresenza di caratterizzazioni ambivalenti esprime un’ambiguità intersessuale, che, a seconda dell’etio-patogenesi, può riportare a sotto-classificazioni fenotipiche coinvolgenti aspetti disparati della psicologia in un’acquisizione identitaria di genere.

L’orientamento sessuale

Lungo il “continuum” tra i due estremi esclusivi di omo ed eterosessualità, i comportamenti di ricerca del partner denotano la difficile complessità “narrativa” di un orientamento non sempre coerente né con la formazione identitaria e neppure in relazione ai suoi eventuali percorsi di transizione. Dopo aver assunto una stabile identità di genere, opposta al proprio sesso biologico, si può mantenere, per esempio, tale attrazione anche dopo una conseguita riassegnazione chirurgica. I due costrutti, legati uno all’ambito pulsionale, l’altro a quello corporeo, sarebbero dunque sostanzialmente indipendenti.

 

Autoginefilia

L’autoginefilia potrebbe essere inquadrata quale complicazione dell’orientamento sessuale, senza eventualmente né necessariamente rientrare tra le parafilie, per via dell’eccitazione perseguita mediante la fantasia di assunzione del ruolo femminile, che a quel punto può classificarsi progressivamente come “mediata” dagli abiti (“da travestitismo”, o feticismo da travestimento), ovvero da atteggiamenti e abitudini (comportamentale), oppure a vari gradi d’imitazione, per quanto concerne mestruazioni, gravidanza e allattamento (fisiologica), fino a sfociare, dall’invidia di seno e vulva, all’esplicita richiesta di completo possesso d’un corpo femminile in tutti i suoi aspetti (e dunque fase prodromica del transessualismo secondario).

Body Integrity Identity Disorder

Ed è questo il tipo di transessualità “non” omosessuale che maggiormente rientrerebbe nelle parafilie, piuttosto che nel disturbo d’identità, potendosi infatti rilevare del parallelismo con la fenomenologia del “Body Integrity Identity Disorder”, in cui il “corpo immaginato”, e desiderato, corrisponde al minus dell’assenza, sia pure ottenuta con l’amputazione o più spesso, come nel caso di Attis, dall’automutilazione, di “quel qualcosa” avvertito come estraneo, la cui separazione diventa paradossalmente in grado di fornire il senso di “completezza” che altrimenti si sente di non possedere.

Apotemnofilia e Acrotomofilia

Gli Apotemnofilici (“Wannabes”) ne ricaverebbero un’attivazione sessuale, dalla facilitazione fino all’ ottenimento dell’orgasmo, mentre gli Acrotomofilici ( o “Devotees”) possono limitarsi per il medesimo motivo all’esclusiva scelta di un partner handicappato.

Transessualismo primario

È nel caso della transessualità “primaria”, omosessuale, che si prova l’angoscioso vissuto procurato dallo scarto tra la caratterizzazione sessuale e l’identità di genere.

Autoandrofobia

Correlata all’autoginefilia, ma sostanzialmente differente, quel vocabolo esprimente la cosiddetta “paura (?????) di se stessi (????-) in quanto maschi (????, “uomo”)”, ovvero autoandrofobia, sostenuta probabilmente dalla sensazione di sufficiente soddisfazione fornita dal ricorso agli antiandrogeni nell’alleviare la propria disforia di genere. Per cui si deduce che a connotare le motivazioni alla transizione non sia un esclusivo interesse a possedere caratteristiche femminili, magari frustrato dalla controindicazione all’impiego degli estrogeni (a causa, per esempio, di trombosi venosa profonda), bensì anche soltanto un semplice desiderio di bloccare le caratteristiche palesemente maschili.

Disforia di genere

Il mero malessere dovuto alle caratteristiche sessuali avvertite come estranee, oppure quel senso di disagio procurato dal mancato riconoscimento in quegli atteggiamenti socialmente considerati contraddistintivi del genere d’appartenenza, eppure vissuti come impropri, stanno alla base della “Disforia di genere”, che nell’ultima (quinta) edizione del DSM, ha sostituito i “Disturbi dell’identità” di genere.

Non “conformità” di genere

A separare il concetto di Disforia di genere da quello di Identità di genere, qualora non consonante a quanto ci si aspetta, sulla base del sesso biologico, anche per quanto riguarda il ruolo, si è coniata la nomenclatura della “non conformità”, senza che ciò sfoci di conseguenza in un quadro nettamente psicopatologico.

 

“Organizzazione atipica” dell’identità di genere

Sulla falsariga di Carl Ramson Rogers (1902-1987), Domenico Di Ceglie ha invece proposto un’espressione (Organizzazione atipica dell’identità di genere) che, nel ridefinire i rapporti tra la dimensione percettiva e il profondo senso di Sé, faccia riferimento, anche e soprattutto, alla strutturazione della personalità. In quanto, come descrive Louis Gooren, “i transessuali vivono permanentemente nel sentimento che il proprio corpo anatomico neghi ciò che essi realmente sono. Si sentono ‘intrappolati’ nei loro stessi corpi” (2006).

Comunque “incongruenze” (!)

Il lessico medico e psicologico, dunque, tende più in generale a rimarcarne specialmente le “incongruenze”. Eppure, senza trascurare “la straordinaria importanza delle prospettive psicodinamiche e fenomenologiche – di cui ci avverte Eugenio Borgna nella prefazione al libro di Pascolo-Fabrici, Sandri, Saullo e Bonavigo su “Identità di genere” (Eut Edizioni Università di Trieste, Trieste 2016) – nell’interpretazione delle problematiche sessuali che oggi riemergono nella loro complessità, e nelle loro sconvolgenti risonanze emozionali”, resta pur sempre da considerare la psicologia del profondo e l’immaginario collettivo  d’un’incontestabile impressione che viene suscitata, cioè, come scriveva Marie Delcourt (1891-1979), “l’ambiguità apparente e il passaggio da una dominante all’altra sembrano ancora oggi inquietanti”, particolarmente nel tramandare, aggiunge Luca Scarlini, in “Ermafroditi – chimere e prodigi del corpo tra storia, cultura e mito” (Carocci, Roma 2015), “uno dei fantasmi culturali più seducenti e meno facilmente incasellabili”.

Quanto viene visto di minaccioso è tanto più terribile nell’eccezionalità di rapporto con la sfera del sacro e dell’arte. La moltiplicazione creativa che il riflesso speculare potrebbe consentire si verrebbe a scontrare con la difficoltà nell’arrendevolezza all’unheimlicht , ovverossia a quanto ci appare tanto sospetto (unfreundlich) e sinistro (unbehaglich) da indurre una sensazione d’imbarazzo (Verlegenheit), se non proprio di franca spiacevolezza (Unangenehmheit). E in questo sta tutto il fascino, tremendo eppure spettacolarmente attraente, di ciò che siamo soliti definire numinoso.

 

Giuseppe M. S. Ierace

 

 

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