“La stessa originalità fa creare, ai geni come ai pazzi, dei vocaboli di tutto lor conio”, Cesare Lombroso (1835-1909), in “L’Uomo di Genio in Rapporto alla psichiatria, alla storia ed all’estetica” (1894).
La “scrittura sul corpo” dell’Uomo delinquente
La letteratura riguardante il gergo della malavita si può dire cominci a fine Ottocento proprio con uno dei più discussi scienziati sociali, il quale inizia a raccoglierne numerosi esempi. Ne “L’uomo delinquente” (1876), Lombroso rileva il valore del tatuaggio quale “scrittura sul corpo”.
“Il tatuaggio permane nei delinquenti e nelle prostitute, nelle quali si presenta inoltre con speciali caratteri. Anzitutto ne è caratteristica la maggior frequenza… Il maggior numero dei tatuati è dato dai recidivi e dai delinquenti nati, sia ladri che assassini; il minimo dai falsari e truffatori…”.
Catalogo dei tatuaggi
Lo psichiatra veronese cataloga i tatuaggi in simboli di guerra (date, armi, stemmi); di mestiere (attrezzi di lavoro, strumenti musicali); totemici (serpenti, cavalli, uccelli); erotici (iniziali, cuori, versi); religiosi (croci, Cristi, Madonne, Santi).
Segni divenuti linguaggio
Dal XVI secolo fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento, presso il Santuario di Loreto, vigeva la tradizione dei cosiddetti frati denominati “marcatori” perché incidevano piccoli segni devozionali fra i pellegrini, che, in caso di morte violenta, sarebbero stati riconosciuti come fedeli e di conseguenza sepolti in terra consacrata.
Trattandosi di “segni divenuti linguaggio”, che dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso hanno conosciuto una progressiva diffusione (dapprima nell’ambito delle sottoculture giovanili hippy, o fra le bande di motociclisti, tipo Hells Angels, e poi al seguito della moda), non contraddistinguerebbero più soltanto l’appartenenza a gruppi criminali circoscritti e precisi, quali i “Vor v zakone” (ladri “nella legge”, obbedienti alla consuetudine, comprendente l’obbligo di sostenere l’ideale criminale, il rifiuto del lavoro e delle attività politiche) della Organizacija russa, gli affiliati alle kumi della Yakuza (Ha-Kyuu-Sa, che richiama il punteggio più basso a un gioco di carte nipponico: Hachi 8, Kyuu 9 e San 3), o i cartelli sudamericani della Mara Salvatrucha 13 (che potrebbe voler dire: “gruppo di furbi salvadoregni della tredicesima”, la 13th Street di Los Angeles, dove si crede sia nata).
I prigionieri tradotti dalla Gran Bretagna alle colonie penali australiane tra il 1787 e il 1867 erano talvolta tatuati con marchi infamanti che spesso venivano modificati per nasconderne il significato originario ed esprimere quindi altri messaggi, ironici o di ribellione. Più di recente, i tatuaggi servono solitamente a identificare in una organizzazione il ruolo del membro o per farne conoscere la storia e le abilità; e solo successivamente avrebbero sviluppato anche un precipuo codice di significati.
Quelli dei mareros li ricoprono interamente dalla testa ai piedi, compreso il volto. Vi rientrano le lettere MS e il numero 13, scritti in caratteri gotici, le iniziali (SUR) di sureño, meridionale, il nome della propria banda, o corna demoniache. In Giappone, L’associazione tra tatuaggi e Yakuza è tale che questa pratica sarebbe quasi completamente sconosciuta nel resto della popolazione.
La coesione del linguaggio gergale
I segni esteriori rivestono molta importanza nell’indicare la coesione d’un gruppo al quale ci si sente di appartenere in tutto e per tutto. Anche se è palese l’ambiguità con cui si manifesta apertamente la segretezza, condivisa con altri accomunati dagli stessi interessi, da occultare ai non iniziati. Il ricorso al linguaggio gergale, incomprensibile agli estranei, esprime un’analoga esigenza d’essere riconosciuti, ribadendo allo stresso tempo la propria peculiare diversità.
A volte, tale diversità trova la sua stessa spiegazione nel nome assunto, nella foggia delle acconciature, nell’andatura adottata, negli indumenti indossati. Per esempio, gli appartenenti alla giapponese Gokud?, altro nome per Yakuza, si autodefiniscono ninky? dantai, titolo accostabile a “onorata società”. La bandana è tipica dei mareros. Camuffu, o camurra, nel napoletano, è chiamato il fazzoletto, simbolo dell’affiliazione, mentre Gamurra era probabilmente una giacchetta marinara. Il termine guappo, dallo spagnolo “guapo” (bello), si riferisce alla particolare postura tesa all’ostentazione del fisico.
Il contenuto della comunicazione gergale è sicuramente di livello inferiore alla valenza della coesione garantita dallo spirito associativo e soprattutto a quella del cerimoniale trasmesso mediante il codice linguistico.
Codici sanciti dalla consuetudine
L’espressione nel dialetto ghego N’dore tande, in mano tua, costituisce la formula con cui si richiede la Besa (la parola data, o la promessa da mantenere, nel Kanun i Maleve ancora vigente nel nord dell’Albania, come il codice barbaricino nella Sardegna centrale), facendo appello all’onore, ovvero alla Burrnija, l’insieme dei comportamenti che, superando la condotta esteriore, riguardano l’intimo senso di giustizia e di bene per il Burrit, allusivo a un’identità ideale a metà strada tra virilità e realtà ontologica.
Nella regola redatta da Lekë Dukagjini (1410-1481), il condottiero contemporaneo di Skanderbeg, il perdono viene insomma regolato da una specifica ritualità. La vendetta familiare (Gjakmarrja, o presa del sangue) colpisce fino al terzo grado i parenti maschi di un assassino. Adempiervi è un obbligo, pena il disprezzo della comunità, visto che, di fronte alla “Legge” del Kanun, il disonorato è considerato persona morta. L’offesa si può perdonare, l’oltraggio mai e richiede lo spargimento di sangue, appunto la Gjakmarrja, che dispone il progetto della faida. Si può perdonare l’offesa fatta al padre, al fratello e persino ai cugini che non lasciassero eredi, mai quella all’ospite, o a chi, richiedendo protezione con la Besa, ha fatto pegno di consenso e sottomissione.
La Santa
Nel tempo, comunque, codici, regolamenti e norme possono cambiare ed essere aggiornati.
“Nella carica del Vangelo – riferisce la confidenza d’un collaboratore di giustizia a uno degli autori (John B. Trumper, Marta Maddalon, Antonio Nicaso, Nicola Gratteri) di “Male lingue: vecchi e nuovi codici delle mafie” (Pellegrini, Cosenza 2014) – figurano tre nomi detti ‘sociali’: Peppe Boni, Peppe Giusti e Cecco Ignazio, ispirati dall’espressione evangelica ‘è cosa buona e giusta’. I Re Magi, invece, sono stati scelti come referenti del Tre Quartino, una dote successiva a quella del Vangelo. Dopo la carica di Padrino, sono state introdotte doti come Stella, Cavalieri Templari e altre che non conosco. Personalmente, sono stato custode dei rituali e ho avuto l’incarico di correggerli. Erano ormai testi lacunosi e pieni di errori di grammatica.”
I “Vangelisti” sono un grado superiore ai “Santisti”, ma inferiore a Quartino, Trequartino e Padrino, o Quintino.
“In nome di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre con una bassata di sole e un’alzata di Luna è formata la Santa catena. Sotto il nome di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre e di Nostro Signore Gesù Cristo che dalla terra è morto, risuscitò in cielo, noi saggi fratelli formiamo questo sacro Vangelo”.
Crociata, Stella, Bartolo, Mammasantissima sono figure apicali della Società maggiore, o Santa, nata a metà anni settanta del XX secolo, in seno alla ‘Ndrangheta (dal greco andragathía, compimento di prodezze), con lo scopo precipuo di allacciare rapporti di cointeressenza con appartenenti alla massoneria, altrimenti giudicati poco affidabili; ma la carica di Infinito e quella di Conte Ugolino sarebbero ancora più rare.
Uno “sgarrista”, massimo grado della società “minore”, che voglia passare alla Santa, riceve idealmente la cosiddetta “chiave d’oro” e il periodo che trascorre in attesa dell’assenso viene detto Santa del Purgatorio. Le doti di Quartino e Tre Quartino sarebbero state create appositamente “…per comodità di alcuni personaggi che volevano rimanere particolarmente segreti“, poiché “c’è la visibile e l’invisibile […] che non la sa nessuno, solo chi è invisibile”.
La Santa avrebbe rappresentato, secondo Saverio Lodato e Roberto Scarpinato, un tentativo di “ibridazione” tra alcune particolari cuspidi della ‘ndrangheta e quella porzione “deviata” della massoneria in una sorta di “massomafia”, sovraordinata in organizzazione autonoma, dietro forse un’orecchiata ispirazione alla leggenda dei Beati Paoli palermitani o dell’iberica Garduña, dove punteadores e floreadores sovrastano i postulantes che, come gli “sgarristi”, sperano di elevare la loro posizione. Al di sotto, la dotazione dei fuelles, o apprendisti: soplones (anziani e mendicanti), chivatos (infiltrati), coberteras (ricettatori) e sirenas (i semplici informatori).
Segni grafici preesistenti
I codici cifrati, come quello rinvenuto più di recente, nel 2013, servono per criptare le informazioni e rimandano a segni grafici realmente esistenti, dove il sigma greco sostituisce la a, una richiusura di parentesi graffa la b, un circoletto la c, ecc.
La somiglianza sembra prossima al cifrario che occultava il contenuto delle lettere di Mary Stuart (1542-1587) alla cugina Elisabetta I d’Inghilterra, al Blitz Ciphers della seconda guerra mondiale, o a quello del serial killer, detto Zodiac, che, nella California settentrionale, pur vantandosi d’aver collezionato almeno 37 vittime, si è accertato uccise cinque persone, tra il dicembre 1968 e l’ottobre 1969.
Ulteriore ispirazione potrebbe essere stata suggerita da altri cifrari famosi, come quello massonico oppure il codice riportato nel III libro del “De Furtivis Literarum Notis” (1563), l’opera di crittografia, nella quale Giovanni Battista Della Porta (1535-1615) descrive, con accenni al concetto di sostituzione polialfabetica, un rimpiazzo di tipo poligrafico, che il Bellaso aveva però elaborato dieci anni prima (“La cifra del Sig. Giovan Battista Belaso, gentil’huomo bresciano, nuovamente da lui medesimo ridotta à grandissima breuità & perfettione”, Venetia 1553 e “Novi et singolari modi di cifrare de l’eccellente dottore di legge Messer Giovan Battista Bellaso nobile bresciano… Stampati per Lodovico Britannico in Brescia”, 20 decembre 1555).
Stranamente, però, la più stretta analogia del codice moderno si riscontra proprio con la crittografia rinascimentale maggiormente antica.
L’organizzazione criminale calabrese, per giunta cerimoniosa, ricorre a segni convenzionali abbastanza inspiegabili nella loro ripetizione intesa a formare delle semplici cancellature, come nel caso del codice più lungo tra quelli ritrovati, quello di San Giorgio Morgeto del 1963, che richiamano il noto cifrario massonico. La lunghezza implica un tempo di composizione esteso che non giustificherebbe quelle che sembrano apparentemente delle banali correzioni, mentre invece potrebbero rappresentare dei veri e propri segni convenzionali, come vengono adesso interpretati dai trascrittori. L’altra evidenza di rilievo è relativa alla particolare forma di certe lettere, come la T, piuttosto rifinita con dei trattini alle estremità.
Le logge “coperte” della massoneria deviata
A costituire una novità, e a un tempo un’anomalia, sia per la forma sia per i contenuti, è invece il codice trovato a Pellaro nel 1989. In esso la differenza sostanziale consiste nell’introduzione di quelle “doti” che vanno oltre lo “sgarro” (inizialmente assegnate a trentatré ‘ndranghetisti, a cui veniva consentito di aderire alle logge coperte della massoneria deviata), che pertanto rappresenta come una specie di spartiacque e nella tradizione calabrese in particolare e più in generale nella storia delle mafie. Alcune parole continuano a riproporsi storpiate, ma gli errori ortografici, endemici negli altri manoscritti, sono riscontrabili in numero minore. Costante sempre il ricorso alla rima nelle varie terzine onomastiche: Minofrio, Misgrizzi e Misgarro.
Originale la filastrocca del codice di Ardore del 2008: “Lampu scompu e scifolata i mola se la favella non mi cumpundi contrastu cu non mi rispundi”.
Idiomi di mestiere
Trafficare in maniera illecita reclama il mantenimento della segretezza nel comunicare delle informazioni preziose, almeno quanto per le corporazioni medievali la lavorazione della pietra, del vetro, della seta, o la trasformazione dei metalli vili in oro per gli antichi alchimisti, di cui si imiterebbero ora simboli e segni convenzionali.
Le procedure più usate per formulare codici e cifrari eseguono uno spostamento di significato oppure scompongono e ricompongono la scrittura. Quindi, parole a tutti comprensibili, nel linguaggio gergale, cambiano senso. Cosicché un idioma di mestiere dimostra contaminazioni e reciproci influssi con quello di ambulanti, mendicanti, “Gueux et Boesmiens”.
Nel Sarcidano, Pavela romaniska o arbareska (in campidanese: arromanisca) è il “dialetto” dei ramai, venditori ambulanti di origine zingara, che, nel XV secolo, ha subìto delle influenze da parte di deportati d’origine ebraica, probabilmente avvenute durante il periodo della dominazione iberica, con l’aggiunta di termini sardi, albanesi e neogreci, o anche del gergo malavitoso.
La semantica
Smontare la forma dei vocaboli, o individuarne caratteristiche metonimiche, elude la semantica corrente e riconduce ad altro. Il ferro, che costituisce il materiale con cui è fabbricata, indica la pistola, il mantice inquadra il portafoglio la cui forma richiama il primitivo soffietto.
L’impiego di medesime vocali per modificare intere frasi è un gioco infantile ben attestato in certe canzoncine, quale quella che ricorda spensieratamente il ferimento di Garibaldi e quella, forse meno ingenua, cantata in occasione delle elezioni del 18 aprile 1948: “Fra le rose e le viole/ anche un giglio ci sta bene …”.
“Parler a l’envers”
“Le-par verlan” (“parler a l’envers”) francese è un espediente che decostruisce e ri-assembla in ordine diverso le sillabe componenti le parole di senso compiuto. La modifica può riguardare singoli vocaboli o intere frasi. Si può troncare, raddoppiare una certa unità fonica o inserirla altrove, ripetere la stessa vocale di quella che precede con l’aggiunta d’una consonante fissa.
Parlar in rima
Molto evocativo è il cosiddetto “parlar in rima”, come Il “Rhyming Slang Cockney” della Londra ottocentesca, in cui ants, formiche, si appaia a pants, mutande, o sock, calzino, a cock, gallo, che però indica il pene.
Il canto, e il fischio, potrebbero invece essere frutto dell’adattamento, o della necessità di richiamo, o di allarme, oppure di trasmettere, con nonchalance e differenti modulazioni, messaggi specifici o comunicazioni a distanza, facilitate dalla melodia, tra detenuti all’interno di un carcere e visitatori in ascolto all’esterno.
Sibili e fischi
Il silbo gomero, il ‘sibilo’ tipico dell’Isola di Gomera (arcipelago delle Canarie), formato da fischi di vario genere, arriva a sostituire i suoni della lingua parlata, seppure con un lessico piuttosto povero, che per giunta può ingenerare ambiguità di decodificazione. Ulteriori esempi di idiomi “fischiati” provengono dal Messico, tra i Matazechi dello stato di Oaxaca, dal Brasile, tra i Mura-Piraha, e dalla Turchia, tra i Ku?köy.
Emblema identificante
Lo scopo principale di un gergo consiste di più nel nascondersi agli estranei o nel rendersi comprensibile solo agli affiliati? Il compito identificativo, che sancisce l’appartenenza mediante una condivisione, non vanificherebbe il primo proposito?
Una spiegazione potrebbe risiedere nella constatazione che la funzione della segretezza della criptolalia, con il mutare delle condizioni che l’avevano generata, potrebbe venir meno. E se ne preserva pertanto, quale emblema identificante, soltanto l’elemento simbolico.
Nel caso di linguaggi paralleli, come nei gerghi di mestiere, il coinvolgimento riguarda tutti i livelli, dalla morfologia alla struttura. In altri casi, si formano dei vocabolari sostitutivi, il cui lessico, più o meno fantasioso, produce quegli spostamenti di significato su cui si regge l’intera struttura linguistica.
Un franco mélange
La pura invenzione ex novo rischia di rimescolare in un vero e proprio libero mélange gli idiomi orecchiati fino a condividere la molteplicità delle fonti attinte, con il risultato di perdere qualsiasi genere di reale appartenenza. Sarebbe questa allora la spiegazione del termine “franco” attribuito a tale gergo, piuttosto che il fatto di richiamare la lingua francese, pure abbastanza diffusa nei porti del mediterraneo. Del resto, l’aggettivo “franco” sarebbe stato impiegato dal mondo greco-bizantino, e arabo-islamico, per designare le popolazioni dell’Occidente con cui erano venuti in contatto durante la IV crociata. In ciò trova supporto la derivazione di lingua franca dall’arabo lis?n-al-faran??, cioè lingua europea; Ferenghi, quindi o Petit Mauresque, oppure quel “sabir” (dalla storpiatura del catalano saber, sapere), citato da Molière, nella Comédie-ballet “Le Bourgeois Gentilhomme” (1670): “Se ti sabir, Ti respondir; Se non sabir, Tazir, tazir. Mi star Mufti: Ti qui star ti? Non intendir: Tazir, tazir”.
Un linguaggio “forbito”
Documentata dal XVI secolo, sia in Italia che oltralpe, la zerga furbesca, in cui l’uso gergale della voce “furbo” ha un significato diverso da quello attuale, alludendo a “colui che forbisce”, ovvero ripulisce le tasche altrui, dal latino fur, ladro. L’antico tedesco furban e il francese fourbir continuano a indicare appunto l’atto del lustrare con sfregamento. Il passaggio parte dunque dal latino “che spoglia il prossimo defraudandolo”, seguendo il lessicografo Émile Maximilien Paul Littré (1801-1881), per sottolineare in francese “l’aspetto pulito che inganna sotto belle apparenze”, secondo il filologo Francesco Zambaldi (1837-1928), e divenire infine, per contrapposizione, “chi ci vede chiaro e non si fa ingarbugliare”.
Slang e argot
Bethany K. Dumas e Jonathan Lighter si sono chiesti se “Slang” sia una parola per linguisti, quasi come il vocabolo tabù costituisca un tabù di per se stesso. In inglese, il termine slang, anche se presenta delle forti analogie di significato con il francese argot, e l’italiano gergo, non ne sarebbe del tutto equivalente. Mentre lo jarg, o jargan, scandinavo vale per cicaleccio oppure noiosa ripetizione, il francese jargon proverrebbe etimologicamente dalla radice iranica “gar”, gola, donde il latino gurgula, lo spagnolo gargara (e gerigonza gli iberici chiamano il girgonz gitano), e le nostre garga, gargarozzo, gorgia, e pure Gargantua e il paese di Galatro; dalla radice indoeuropea, sempre “gar”, gridare, si avrebbe jars, l’oca maschio, per cui i francesi dicono “le jars jarjars”, l’oca schiamazza.
Uno degli autori di “Male lingue: vecchi e nuovi codici delle mafie” (Pellegrini, Cosenza 2014), il glottologo John Bassett Trumper ha approfondito questo tema nel suo contributo (“Slang and Jargons”) al primo volume (Structures) di “The Cambridge History of the Romance Languages” (2010).
Un presago garrito
La similitudine che la radice indoeuropea del termine gergo ci propone sarebbe quindi con il “gar-rire” degli uccelli. E cinguettare, o cantare, negli ambienti malavitosi, avrebbe pure la valenza metaforica di spifferare.
Eppure, con ben altro spessore, il richiamo potrebbe riguardare quel linguaggio mistico ricordato nella mitologia degli Argonauti. La polena della loro nave, costruita con legno di quercia, proveniente dal bosco sacro di Dodona, aveva il dono del presagio.
Mettendo da parte lo studio della bio-acustica musicale (che si occupa della decodifica dei messaggi dell’avifauna relativi a richiesta di cibo, stati di pericolo, disagio, aggressività, corteggiamento), l’importanza del linguaggio degli uccelli proveniva storicamente dal loro impiego nell’esercizio della divinazione da parte degli àuguri. Una pratica consolidatasi molto verosimilmente nel periodo della glaciazione, secondo Walter Friedrich Max Burkert (1931-2015). Durante il Paleolitico, osservando il concentrarsi del volteggio di determinati uccelli, come i corvi, i nostri antenati riuscivano a rintracciare qualcosa di commestibile tra le carcasse animali.
La langue verte delle gerarchie angeliche
Nel corso del medioevo, “la langue des oiseaux” serviva ai trovatori come codice cifrato collegato ai tarocchi, e molto probabilmente fondato sui simbolismi prodotti dall’omofonia e da giochi di parole. Nella magia del Rinascimento, nella Qabbalah e nell’Alchimia, il linguaggio perfetto, chiave per raggiungere la conoscenza assoluta, era “la langue verte”, per via del valore “fatale” del colore verde.
Nel Talmud, la comprensione di questo linguaggio viene considerato un dono divino che infonde la proverbiale saggezza a Salomone. Francesco d’Assisi si dice predicasse agli uccelli. Mantiq at-tair (Verbo degli uccelli) è il titolo d’un poema mistico persiano del XII secolo di Farid al-Din al-Attar, il quale sulla scia dell’influenza sufi eleva il cinguettio a lessico angelico.
Il Corano parla di ‘ullimna mantiqat-tayri e René Guénon fa notare che il termine aç-ç?ff?t della Sura XXXVII, considerato una designazione letterale di pennuti, simbolicamente si applica agli angeli (al-mal?’ikah), nel sottintendere la costituzione delle gerarchie celesti o spirituali. Ammette per di più trattarsi di una “superstizione”, ma nel senso più strettamente etimologico di “quod Super stat”, o anche di ciò che sopravvive, e per contrapposizione “lettera morta”.
Se lo spirito “souffle où il veut” (soffia dove vuole), e quando vuole, può sempre andare, venire e far rivivere simboli o riti nella pienezza della loro virtù originale, e dunque restituirli infine al loro senso spesso ritenuto irrimediabilmente perduto.
Giuseppe M. S. Ierace
Bibliografia essenziale:
Arsenal L. e Sánchez H. Una historia de las sociedades secretas españolas, Zenith, Barcelona 2006
Burkert W. F. M. Homo Necans: Interpretationen Altgriechischer Opferriten und Mythen, De Gruyter, Berlin 1972
Burkert W. F. M. Creation of the Sacred: Tracks of Biology in Early Religions, Harvard University Press, London 1996
Capra S. Albania proibita, Mimesis, Milano 2000
Dumas B. K. and Lighter J. Is Slang a Word for Linguists?, American Speech 53, 5-17, 1978
Ferrero E. I gerghi della malavita dal ‘500 ad oggi, Mondadori, Milano 1972
Gratteri N. Fratelli di sangue, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2007
Guénon R. Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Éditions Gallimard, Paris 1962
Heckethorn C. W. Secret Societies of All Ages and Countries, G. Redway, London 1897
Ierace G. M. S. La Mafia e il suo cerimoniale, Gli Arcani, IV, 32, pag. 36-41, gennaio 1975
Ierace G. M. S. Verde come il destino – psicosocioantropoanalisi d’un colore, Il Minotauro, XLI, 1, 89-102, giugno 2014
Lodato S. e Scarpinato R. Il ritorno del principe, Milano, Chiarelettere 2008
Lombroso C. L’uomo delinquente, Hoepli, Milano 1876
Lombroso C. L’Uomo di Genio in Rapporto alla psichiatria, alla storia ed all’estetica, Fratelli Bocca, Torino 1894
Martino P. Per la storia della ’ndranghita, Università “La Sapienza”, Roma 1988
Montemagno G. Luigi Natoli e I Beati Paoli, Flaccovio, Palermo 2002
Trumper J. B. L’argot et le “gergo”: la naissance et la transformation ou la mort d’un code sectoriel, in Laugier R. et Preumont Y. (eds.) Rhétorique et langues spécialisées, Aracne, Roma 2006
Trumper J. B. Slang and jargons, in Maiden M., Smith J. Ch., Ledgeway A. (eds.) The Cambridge History of the Romance Languages, Vol. 1 (Structures), Cambridge University Press, Cambridge 2010
Trumper J. B., Maddalon M., Nicaso A., Gratteri N. Male lingue: vecchi e nuovi codici delle mafie, Pellegrini, Cosenza 2014