“Chi sono io, unico, individuo, ma anche generico? Una cifra indefinita, decifrabile, indecifrabile, aperta e chiusa, sociale e riservata, accessibile-inaccessibile, pubblica e privata, intima e segreta, sconosciuta talvolta anche a me stesso e al tempo stesso esibita. – scrive Michel Serres, in “Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere” (Bollati Boringhieri, Torino 2013) –Esisto, dunque sono un codice, calcolabile, incalcolabile come l’ago d’oro e il pagliaio dove dissimula, nascosto, il suo splendore…”.
“Cerco l’ago nel pagliaio/cerco l’ego nel migliaio…”, declamava Toti Scialoja, forse perché l’opera d’arte è uno specchio ove ci si riflette per ottenere quel corto circuito della dimensione spaziotemporale che ci riporta a un notturno vissuto onirico.
Jaynie Anderson definisce il protagonista maschile dell’opera di Giorgione, che l’autore, per riuscire a realizzare il suo programma iconografico, ha sovraccaricato di plurimi significati, “uno dei personaggi più discussi della storia dell’arte” (2009). L’assenza di luce negli occhi lo qualifica quale sognatore visionario di fronte all’apparizione di una “Venus genetrix”.
Per la somiglianza al fratello del committente, Gerolamo, che partecipò alla resistenza di Padova assediata, e la posa che vagamente ricorda la statua commemorativa dell’eroe di Gallipoli, generale da màr Jacopo Marcello, in S. Maria Gloriosa dei Frari, l’intenzione è quella di operare una duplice commemorazione di vicende avvenute in tempi e luoghi diversi, probabilmente nello stesso mese di settembre 1509, a Padova e a Costantinopoli, squassata dal terremoto di giorno 14, che però aveva fortunatamente lasciato indenne la comunità veneziana residente nella ormai Istanbul, capitale ottomana dal 29 maggio 1453. Il filosofo neoplatonico Cristoforo Marcello, patrizio veneziano e contemporaneamente membro della corte pontificia di Giulio II, avrebbe così arricchito di polisemia doppi registri su cui si sarebbero andati affiancando, a divinità della mitologia, rappresentanti della Repubblica.
Nel trovare quindi ispirazione nell’undicesimo libro delle ”Metamorfosi” di Apuleio, già di per sé, una contaminazione di generi letterari diversi, la figura della nutrice sarebbe Iside, la dea simbolo della buona sorte, che appare in sogno all’astante, quale beneaugurante auspicio che la guerra si concluda presto con la vittoria di Venezia.
“O regina del cielo, o sia pure tu l’alma Cerere, l’antichissima madre delle messi, che per la gioia d’aver ritrovata la figlia, offristi all’uomo un cibo più dolce che non quello bestiale delle ghiande, e fai più bella con la tua presenza la terra di Eleusi; o anche la celeste Venere che all’inizio del mondo desti la vita ad Amore e accoppiasti sessi diversi propagando la specie umana con una discendenza ininterrotta, onorata ora in Pafo, circondata dal mare; o la sorella di Febo, che alleviando con dolci rimedi il dolore del parto, hai dato la vita a tante generazioni ed ora sei venerata nei santuari di Efeso; o che tu sia Proserpina, la dea che atterrisce con i suoi ululati notturni, che nel tuo triplice aspetto plachi le inquiete ombre dei morti e chiudi le porte dell’oltretomba e vaghi per i boschi sacri…”.
Sulle mura, a destra, compare uno stemma descritto dal madrigale musicato da fra’ Bartolino da Padova: “Imperial sedendo fra più stelle/ dal ciel dises’ un carro d’onor degno/ soto Signor d’ogn’altro più benegno./ Le rote soi guidavan quatro done,/ Justicia e Temperancia cum Forteza/ ed àn Prudenza tra cotanta alteza”.
L’arme dei Carraresi aveva protetto la loro città, appena sfuggita ai bombardamenti dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Pochi giorni dopo il fallito tentativo, l’imperatore verrà deriso, proprio per aver scatenato inutilmente una furiosa ”tempesta”, in una popolare ”Canzone della gatta” e nella cosiddetta “brazzelletta” in forma di dialogo “Gi è partù qui slançeman” (è partito quel lanzichenecco).
A sinistra, invece, nella parete inclinata, sarebbe raffigurata la facciata del palazzo del bizantino ‘Porphirogenitus‘ e nei cippi spezzati si alluderebbe al danneggiamento del luogo ‘alle Due colonne‘.
L’interpretazione di più ruoli, Padova e Costantinopoli, Venezia e Roma, Gerolamo e Jacopo Marcello, Cerere, Proserpina, Venere, Artemide, Iside, risulta pure consona al successivo riferimento a scenografia e a teatralità del vestiario dell’uomo, oltre che alla plastica modalità di tenere l’asta con il braccio piegato.
Per gli indumenti che indossa, potrebbe essere un attore di quelle “Compagnie della Calza” (Pavoni, Floridi, Uniti, Concordi, Reali, Eterni, Sempiterni, Immortali … Ortolani, Zardinieri) che periodicamente organizzavano gli spettacoli riservati alla nobiltà veneziana, in occasione del Carnevale, visite di sovrani, o della festa della Sensa, con la buffonesca Caza al toro. Famosi autori, quali Pietro Aretino e Ruzante, regolarmente partecipavano alla stesura dei testi, anche se la censura molto spesso ne bollava le sconcezze. Andrea Palladio avrebbe costruito un teatro in legno da far decorare a Federigo Zuccari per una Compagnia degli Accesi, mentre Tiziano lavorava per i Sempiterni. “ I Bellini, il Carpaccio, il Conegliano, antichi pittori della Viniziana Scuola, ne lasciarono di questi Compagni, alcuni ritratti…”, annotava Girolamo Francesco Zanetti in “Del novelliero italiano” (1754). Nel quadro “Miracolo della Croce a Rialto”, di Carpaccio, compaiono due compagni della calza, uno dei quali ha sul cappuccio un’impresa decifrabile come di una sirena col motto latino Memento. In “Incontro dei fidanzati e partenza dei pellegrini”, “Arrivo degli Ambasciatori”, “Ritorno degli Ambasciatori alla corte inglese”, il pittore delle Storie di Sant’Orsola rende riconoscibili gli adepti a una di tali Compagnie per i fregi rappresentati sulle maniche e, nell’ultimo pure su una calza. Giorgione stesso, nel Fondaco dei Tedeschi ne aveva fatto un affresco, ormai scomparso nella struttura originaria, ma ancora riconoscibile in un’incisione di Cesare Vecellio nel libro “Degli habiti antichi et moderni di diverse parti del mondo” (1590).
Pur ammettendo che “la postura del personaggio giorgionesco risente naturalmente anche di altre derivazioni”, Ugo Soragni (Giorgione a Padova (1493-1506), 2010) suppone che “una delle fonti più convincenti del ‘soldato’ della tempesta” possa rintracciarsi, nella figura di Antenore, silografata nel Libretto di Giusto. Se la città sulle cui mura si scatena quell’inatteso fulmine (già da solo davvero imprevedibile per il suo spiazzante protagonismo e rivoluzionario nella storia medesima della pittura) fosse Padova (abbastanza riconoscibile nella cupola del Carmine, con la torre di Ezzelino, nella Porta di Ponte Molino, nel ponte San Tomaso e per i fossati della cittadella con il Castello), le allusioni alla sua fondazione leggendaria, da parte di Antenore, non sarebbero affatto inopportune. L’eroe troiano, eminente e saggio, che implora i suoi concittadini affinché restituiscano Elena al marito, per scongiurare il conflitto, aveva accettato di sposare Teano, adottando il bimbo nato, la medesima notte in cui Ecuba partorì Paride, da una precedente unione della moglie.
Lo schema posturale di appoggio alla lunga hasta e il braccio piegato al gomito e riportato dietro la schiena deriverebbe dal paradigma iconografico dell’Ercole a riposo di tipo Farnese (Bodon G.: “Giorgione e la cultura antiquaria: qualche spunto in chiave iconografica”, 2010). L’archetipo della territorialità orgogliosa, evidenziata da Barbara Carnevali, in “Le apparenze sociali” (il Mulino, Bologna 2012), e qui esibita dal gomito in penombra, si completa, inclinando lievemente il torace, nell’atto di appoggiarsi con la spalla e il capo. Maurizio Calvesi (1996, 2009) richiama l’eroica gestualità della tradizione del Giove Statore, ripreso da Dosso Dossi in un Portabandiera. Ma, mentre Dan Lettieri rammenta l’incisione coeva della Dama e guerriero in un paesaggio, estratta dalla Historia de Apolonio de Tiro di Pietro Martire Mantegazza (1506), Marco Paoli (“La Tempesta svelata”, Pacini Fazzi, Lucca 2011) gli contrappone la silografia con Cefalo e Aurora di un opuscolo stampato da Manfredo Bonelli (1507), soprattutto però per le rocce in primo piano e la figura femminile con alle spalle un fitto boschetto, la città turrita sullo sfondo e il fiumiciattolo che scorre in mezzo suddividendo i campi della raffigurazione. In questo modo, il programma iconografico del dipinto giorgionesco seguirebbe la trama letteraria dei testi di Niccolò da Correggio (Psiche e Favola di Cefalo), contenuti nella stampa del Bonelli. Questa derivazione dalle Metamorfosi concorderebbe con l’immagine della Venere Genitrice tratta dall’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna (pubblicata con 172 xilografie da Aldo Manunzio il Vecchio nel 1499), in cui il protagonista ripercorre l’iter iniziatico del Lucio apuleiano.
Rossella Lauber (Opera perfettissima, 2005) cita il Dittico Queriniano per via di “una possibile e fertile ‘eredità’ anche nella Venezia Rinascimentale”. Nella “valva A”, la scena mostra Ippolito e Fedra, in cui la rappresentazione dell’hanchement della posa del nudo eburneo è analoga al personaggio della Tempesta, e nella coincidente postura dei piedi e nel bilanciamento delle gambe. Marco Paoli ritiene che Giorgione si sia ispirato al Dittico anche per la figura della Giuditta dell’Ermitage, per la quale erano stati proposti la Temperanza di Cristoforo Solari destinato all’altare Dragan, l’Afrodite Urania di Berlino (Staatliche Museum), come pure il Davide di Giovan Battista Palumba. Il soldato della “valva B”, con le gambe intrecciate tra loro, avrebbe invece influenzato quel giovane paggio armato, all’estremità destra dell’Adorazione dei Magi, alla National Gallery, la cui posa sarà spesso imitata da altri artisti dell’epoca.
Il dittico risale al V secolo, epoca in cui il culto isiaco è ancora radicato in ambito privato, facendo avvertire, nell’accostamento tra divinità alessandrine e romane, un’indubbia caratterizzazione multiculturale e sincretistica del tardo paganesimo. Essendo la destinazione dell’opera quella di una partecipazione di nozze, il personaggio di Fedra viene esorcizzato, insieme con il cane Sirio-Sothis, dal nodo di Iside al chitone, ripreso nell’altra valva al di sotto del seno di Diana (Iside) nell’atto di far tacere il compagno (Virbio-Arpocrate, figlio di Iside) per ricordare il tema sapienziale del silenzio. La fonte culturale restano sempre le Metamorfosi di Apuleio, nel decimo libro, in questo caso. Novella Fedra, la seconda moglie del decurione, presso la cui casa l’asino-Lucio è a servizio, si era follemente invaghita del figliastro…
Il conferimento di significati allusivi a figure da interpretare è voluta dall’affioramento d’immagini che transitano nella mente di chi guarda anche per i precedenti di riferimento citati. La più recente immagine del santo eponimo del committente, una silografia del Legendario di Sancti di Jacopo da Varazze, stampato da Niccolò e Domenico Dal Gesù (1505), presenta la stessa inclinazione della spalla destra, anche se in funzione del sostegno offerto al bambino.
Rainer Metzger (Alltag und Allegorie, 2004) si sofferma sulla doppia realtà della contrapposizione tra la figura del giovane elegante e la nutrice. Nel Concerto campestre del Louvre v’è la medesima compresenza di nudità e abiti che costringono a inquadrarli in differenti sfere, o livelli: “zwei verschiedenen Realitätsebenen”. Lo schizoidismo della rappresentazione artistica si ripercuote sulla percezione dello split, con un effetto di spaesamento controllato da quella garanzia di ricollegamento a cortocircuito fornitoci dal lampo, che diviene perciò il protagonista assoluto del dipinto. Nella Madonna del cancelliere Rolin di Jan Van Eyck, del Louvre, le diverse dimensioni esistenziali del committente da una parte e della Vergine dall’altra si ricompongono nello sguardo dell’osservatore attratto dalla processione sullo sfondo che assume questa funzione insieme di snodo e raccordo.
Si tratta d’una tipologia narrativa presente nell’Allegoria sacra di Giovanni Bellini, agli Uffizi. Lo schema, usato dal maestro di Giorgione, è tradizionale e legato a una costruzione pittorica razionale, ma fin troppo piena di elaborati esoterismi che, quanto a enigmaticità e mistero, non hanno assolutamente niente da invidiare alle difficoltà nell’assegnazione di significato di altre opere rinascimentali. Anche questa era sicuramente destinata a un’élite molto raffinata e culturalmente tanto preparata da cogliere ogni sottigliezza di dettaglio. A parte l’interesse che potrebbe suscitare la postura del san Sebastiano accanto a Giobbe, sempre all’estremità destra del dipinto, riconosciamo un pastore eremita (forse sant’Antonio Abate?) che discende dal suo eremo per intraprendere un percorso spirituale, ispirato ad altro eremita pastore ormai addormentato tra pazienza, il mulo, e umiltà, le sue pecore, in riva allo specchio lacustre, il fiume Lete. Il primo ostacolo da superare è rappresentato da un centauro che lo aspetta alla fine della scala, a simboleggiare i richiami del mondo, che ostacolano la via verso la virtù. Le anime del Purgatorio, rappresentate dai fanciullini, sostano al centro del tappeto pavimentale della terrazza, prima di venire ammesse al giardino del Paradiso, l’albero della conoscenza, fonte di vita e di sapienza. L’avvocata (“nostra”) degli uomini presso Dio, evidenzia i progressi delle anime di fronte alla Giustizia coronata. Altre figure sarebbero Misericordia, Pace e Carità. La costruzione sarebbe in ogni caso un po’ troppo stravagante per un ermetismo cervellotico, stanco e quasi raffazzonato.
Arnaldo Ferriguto (1922) dichiarava apertamente l’eminente caratteristica dell’arte giorgionesca proprio nell’inclinazione a rivestire anche iconograficamente, persino nelle immagini che richiamano idee incorporee, tutte le “parvenze della realtà naturale”. Quindi, in questo rifuggire “da ogni astratta forzatura di simbolo”, è inevitabile imbattersi in delle incongruenze generate dalla combinazione di pensieri, parole, figure irreali e naturali. E proprio per la “stranezza di certi suoi particolari, bellissimi, ma in evidente contrasto tra loro”, un tale capolavoro non può essere ricondotto a un semplice paesaggio. Il disorientamento provocato nell’osservatore dal rilassamento dei protagonisti, il giovane astante e la nuda nutrice in primo piano, incoerente con il “nubifragio dello sfondo”. I personaggi della Tempesta non la temono neppure nella sua imminenza, manifestando atteggiamenti di altrimenti assurda serenità, perché confidano, come l’airone appollaiato sul tetto spiovente, nell’imperscrutabilità del fato. Il fondamentale antagonismo, che sta alla base della complessa struttura, si riproduce tra ragione e irrazionalità, cultura e natura, elementi fisici e concetti ideali, come tra i sessi. Alla femmina una corrispondenza associativa darà natura, prole, allattamento, umidità della materia, mentre al maschio l’asta, la postura, l’erezione e l’agio di un “indugio contemplativo”.
Ove “tutto si agita e si trasforma”, in rovinose metafore della caducità dell’opera umana, creature ed elementi naturali si perpetuano, placidi e forse stupiti, mentre il saggio continua a esercitare, in un vivificante e imperturbabile diritto alla contemplazione, il superiore compiaciuto distacco.
Giuseppe M. S. Ierace
Bibliografia essenziale:
Anderson J.: “Giorgione a Venezia. La creazione di uno stile di poetica brevità”, in Dal Pozzolo E. M. e Puppi L. (a cura di): “Giorgione, catalogo della mostra di Castelfranco veneto, Museo Casa Giorgione, 12 dicembre 2009-11 aprile 2010”, Skira, Milano 2009
Bodon G.: “Giorgione e la cultura antiquaria: qualche spunto in chiave iconografica”, in Banzato D., Pellegrini F., Soragni U. (a cura di): “Giorgione a Padova. L’enigma del carro” (- ovvero lo stemma dei Carraresi visibile sulla porta dipinta da Giorgione ne La tempesta -) , Catalogo della mostra di Padova, Musei Civici agli Eremitani, 16 ottobre 2010-16 gennaio 2011, Skira, Milano 2010
Calvesi M.: “Giove Statore nella Tempesta di Giorgione e nella Camera di San Paolo del Correggio”, Storia dell’Arte, 86, 5-12, 1996
Calvesi M.: “La Tempesta di Giorgione”, Storia dell’Arte, 124, 31-42, 2009
Carnevali B.: “Le apparenze sociali”, il Mulino, Bologna 2012
Ferriguto A.: “Il significato della Tempesta di Giorgione”, Draghi, Padova 1922
Ferriguto A.: “Attraverso i ‘misteri’ di Giorgione”, Arti Grafiche Trevisan, Castelfranco Veneto 1933
Ferriguto A.: “Ancora dei soggetti di Giorgione: 1) radiografie e interpretazioni; 2) la ‘Cingana’ della ‘Tempesta’ e l’anonimo morelliano”, Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, XCVIII, 281-290, 1939
Lauber R.: “‘Opera perfettissima’: Marcantonio Michiel e La notizia d’opere di disegno”, in Aikema B., Lauber R., Seidel M. (a cura di): “Il collezionismo a Venezia e nel Veneto ai tempi della Serenissima”, Marsilio, Venezia 2005
Lettieri D.:”Landscape and Lyricism in Giorgione’s Tempesta”. Artibus et Historiae, Vol. 15, No. 30, pp. 55-70, 1994
Ludwig G.: “Giovanni Bellini sogenannte Madonna am see in den Uffizien, eine religiose Allegorie”, in “Jahrbuch der k. Preuss. Kunstsammlungen“, XXIII, pp. 163-186, 1902
Metzger R.: “Alltag und Allegorie : ein Versuch, Giorgiones Gewitter zu verstehen”, in Ferino-Pagden S., Nepi Scirè G. (hrsg.): “Mythos und Enigma” (Kunsthistorisches Museum), Skira, Milano 2004
Paoli M.: “La Tempesta svelata”, Pacini Fazzi, Lucca 2011
Precht R. D.: “Ma io, chi sono? (ed eventualmente, quanti sono?)”, Garzanti, Milano 2009
Serres M.: “Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere”, Bollati Boringhieri, Torino 2013
Soragni U.: “Giorgione a Padova (1493-1506)”, in Banzato D., Pellegrini F., Soragni U. (a cura di): “Giorgione a Padova. L’enigma del carro” (- ovvero lo stemma dei Carraresi visibile sulla porta dipinta da Giorgione ne La tempesta -) , Catalogo della mostra di Padova, Musei Civici agli Eremitani, 16 ottobre 2010- 16 gennaio 2011, Skira, Milano 2010
Verdier P.: “L’allegoria della Misericordia e della Giustizia di Giambellino”, Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, CXI, pp. 97-116, 1952-1953