Testimonianza sui disturbi alimentari

Quella che segue è la lettera scritta da una donna di 30 anni che ha sofferto di Disturbi Alimentari durante l’adolescenza e che si trova, adesso, ad elaborare il lutto di una parte di sé, ad affrontare la perdita di un tempo che non tornerà.

Il passato è popolato da ricordi confusi di ciò che faceva, di come viveva; il presente coincide con l’incapacità di relazionarsi all’altro, il desiderio di avvicinarsi e la necessità di allontanare e allontanarsi.

Disperazione e rabbia si mischiano con la speranza di riuscire, un giorno, ad allacciarsi al suo presente.

25 Gennaio ’08

“Ho passato tutti i periodi, quelli in cui scrivevo data ed ora e quelli in cui la data non era importante. Oggi la data è importante, l’ora boh, il tempo si confonde, passato e presente sembrano un’unica cosa, a volte sembra che entrambi siano solo una mia fantasia.

Ho emozioni, desideri che mi fanno sentire viva ma essere viva vuol dire anche sentirmi morta dentro, sentire che devo ritirare tutto dentro per metterlo a tacere, renderlo sogno e viverlo lì. Vorrei anch’io potermi ritirare dentro, vivere nei miei sogni, non vedermi là fuori, in mezzo alla gente con la quale non condivido il tempo. Fermatevi e guardatemi, da fermi senza passare oltre, sostenete lo sguardo, sono qui nel vostro tempo per ricordarvi che esiste un tempo in cui tutto è fermo e solo io mi muovo, un tempo in cui non riuscireste a respirare. Non ci toccheremo mai, non farò mai parte di voi e voi farete di tutto per non fare parte di me e io vi aiuterò in questo, non mi avvicinerò troppo, non sosterò dinanzi a voi, terrò il mio tempo lontano dal vostro.

La mia casa mi trasporta in un tempo perso, in un tempo che non ha mai coinciso con il mio; la mia casa mi ricorda tutto quello che ho perso, che ho incontrato e perso, che non ho potuto vedere né immaginare. La mia casa è vuota e buia proprio come il mio tempo e ci vorrebbe un’altra vita per far coincidere i tempi. Non lo recupererò mai quel tempo, tutto quel che ho perso non tornerà mai e sto continuando a perdere, a perdere pezzi della mia vita, non sta rimanendo niente in me, mi sto sgretolando.

Cosa posso offrire?

Una casa da riempire, un bisogno da colmare ma io mi sono persa, io non sono da nessuna parte, la mia casa è proprio vuota.

La bici di P mi riporta alla mia bici con cui andavo a scuola, ai miei primissimi amici e compagni di avventura, alla bici che ho piano piano abbandonato, alla bici di M che trovavo parcheggiata davanti a casa mia, alla bici di F sulla quale ha salito E la sera che sono rimasta in casa. Tante bici che non torneranno, che ho visto allontanarsi e che non ho saputo vivere fino infondo. Guardo P e mi aspetto lo stesso destino di tutte le altre bici, arriverà un giorno che lo vedrò allontanarsi e quello sarà l’ultimo ricordo che si presenterà, poi, puntualmente, come il primo. Se ne andrà con il suo tempo, uno tra la gente, e io non farò niente, non potrò fare niente per trattenerlo e una parte di me sarà sollevata al pensiero che se ne andrà lontano, lontano da me, e che renderà me lontana da lui. Perché aspettare, l’attesa che ciò avvenga, è la parte più difficile, più straziante; vorrei aprirmi e togliermi il cuore, strapparlo, non sentire più niente, non essere lì a vedere un’altra persona voltarmi le spalle e sperare che si giri, che ci ripensi, per poi pensare a cosa ho da offrirgli, vuoto e buio, allora vai e non voltarti, io tornerò a non sentire niente.

Ricordi confusi: una divisa, il rumore della palla che viene a contatto con le braccia arrossate; l’odore del cloro, i muscoli che tirano; il vento tra i capelli, la leggerezza e la velocità; il verde, l’altezza, il cielo così vicino, la fatica che rende vivi, la meta raggiunta; la bici, la mia bici, il mio tempo; la sabbia, l’odore della crema, l’abbronzatura, il copricostume, il costume, l’ombrellone, il mare mosso, il sole, il mio tempo, il mio tempo si è rotto e i cocci non li vuole nessuno. Nemmeno io.

Il mio tempo mi manca, spesso mi illudo che sia ancora lì e che possa riprendermelo quando voglio ma non è così. Il mio tempo è perso e ha lasciato un vuoto enorme che cerco di riempire ma più metto cose e più si fa vuoto e più mi perdo. Non riesco a vivere in questo limbo, è un dolore continuo che solo a tratti riesco a far tacere ma quando riprende è pungente, come un fischio persistente.

Dovevo morire anch’io con il mio tempo e non sopravvivere ad esso, sono sopravvissuta ad una parte di me che non rivedrò mai più e senza la quale non riesco ad andare avanti, non riesco ad allacciarmi al mio presente, mi sfugge.

Sono fuori dal mondo, né morta né viva.”

NienteAnsia