Psicografoanalisi: la cartolina nell’arte… fatta a pezzi, stravolta, esaltata – scrittura, pittura, grafia, disegno: psicologia della mail art

La corrispondenza tra artisti ha un valore non semplicemente storico-documentario, ma soprattutto di significato culturale e di psicologia della creatività, sia per il fatto di aver creato l’immagine inviata sia nel personale intervento sullo stereotipo impiegato. Salvador Dalì spedisce delle missive a Picasso, tra il 1927 e il 1970, di cui sette lettere e ventitre cartoline, senza che il destinatario lo degnasse di una risposta. Nella scelta quindi dell’illustrazione da inviare si può rintracciare un misto di rispetto-dispetto, comunicazione-provocazione. A partire dalla prima con la raffigurazione di un modo di dire squisitamente francese in termini di aggressività (avercela con qualcuno),  mediante una rappresentazione di natura odontoiatrica (estrazione di un dente del giudizio). E difatti la didascalia: “J’en ai un contre Vous”, equivale, per noi, ad “avere il dente avvelenato”. In un’altra cartolina, l’affrancatura viene realizzata in modo che l’angolo inferiore sinistro del francobollo sia ripiegato per simulare la decapitazione del personaggio inserito. Le raffigurazioni delle corride contengono altrettante inconsce minacce.  E poi il messaggio “Picasso boite” gioca sul doppio significato di “boite” (de nuit) locale notturno dove si balla e la voce del verbo intransitivo zoppicare (boiter): Picasso non balla… zoppica!

Eppure, ”Con queste punzecchiature più o meno psicanalitiche di Dalì – annota Enrico Sturani, ne “La cartolina nell’arte (fatta a pezzi, stravolta, esaltata)” (Barbieri, Manduria 2011) – contrasta la sempliciotteria della maggior parte degli altri artisti. Né la relativa rinomanza artistica è garanzia di originalità”. Ce ne offre una conferma la scelta di immagini scontate, “boring”, “casual”, raffazzonate. C’è chi si limita esclusivamente ad autopromuoversi inviando riproduzioni di proprie opere, o il proprio ritratto.

I disegni di Vincenzo Jerace, con la sanguina, di volti femminili al plenilunio, estatici o corrucciati, visi angelici o luciferini, come “la rivoluzione” eseguita per il Palazzo del Governo di Bolzano, vengono fatti circolare dall’editore Auda di Anzio, come da Richter & C. di Napoli, casa fondata da uno svizzero specializzatosi nel soddisfare gli ordinativi provenienti dai grandi alberghi che allestivano etichette per valigie, locandine, depliants, illustrati a fini turistici, la cui esecuzione grafica, nel primo quarto del secolo scorso, veniva affidata a valenti artisti quali Fortunato Depero, Filippo Romoli, Mario (Mariano) Borgoni, Jacques Paschal.

Tra il 1966 e il 1987, i Beatles John, Paul e George, con le rispettive consorti , inviarono a Ringo Star cinquantatre cartoline commerciali decisamente kitsch, in cui la scelta tende sarcasticamente a tener conto di personalità, gusti e attese del destinatario.

Stravolgimenti

L’immagine, a volte, può divenire la base per la costruzione di un puzzle-collage che ne stravolge il significato originario, altre volte è il messaggio a diventare graficamente vistoso, ricolmo di colori, ideogrammi. L’intenzione è pur sempre quella di rovesciare quanto appare banale per riproporla con modalità alternative anche se insolite. Quando il messaggio entra a far parte integrante della veduta, l’intervento, prima di sconfinare nella poetica visiva, potrà essere di tipo minimalista, per esempio indicativo di allegorie cartografiche, tipo “hic abundant leones“, “hic nascuntur elephantes“, altrove manticore, unicorni, cinocefali o blemmi.

In vari pop-up books, Nick Bantock s’inventa uno scambio epistolare tra chi acquerella illustrazioni paesaggistiche, e pure francobolli di fantasia, e l’interlocutore Griffin di Londra che edita i suoi collages quali “Griphon Cards”. Il carteggio si compone di differenti tipi di scrittura, maiuscolo o corsivo, affrancature, minimali o fantasiose, stili illustrativi, a tutto campo o sparsi e interferenti con annulli e indirizzo. Per sottolineare il divario tra il desiderio e il reale, banale ed esotico (Sabine scrive da un’isoletta del Pacifico).

Nello sperimentare varie forme di “arte relazionale”, la performer canadese Sylvie Cotton spedisce delle cartoline a mo’ di libro in cui l’autobiografia, la narrativa e l’immagine si fondono con l’affrancatura e l’annullo postale. La cartolina turistica viene tagliata, riunita e ricomposta in modo che il lato vista formi una pagina e lo spazio riservato al messaggio si situi sul dorso dell’altra sezione, sul retro l’indirizzo, e la rilegatura infine la forma l’etichetta autoadesiva postale.

Equilibrio pieno-vuoto

La scrittura su cartolina possiede specificità sue proprie che la rappresentano come un unicum iconografico. Il rapporto con la cartolina è più immediato e sincero di quello con il semplice e ampio foglio bianco. Anche se poi il fatto di non essere suggellata in una busta potrebbe comprometterne signorilità e segretezza.

La penna, usata tenendo il polso appoggiato, colloca la scrittura preferibilmente sulla parte inferiore. Nel rendere liberamente accessibile ogni parte dello spazio bianco o nell’accedere al lato vista, con l’elegante inserimento di un breve testo, si dà dimostrazione della propria personalità creativa. Rispettare l’area vuota lasciandola intonsa o invadendola prepotentemente, oppure con moderazione, fanno la differenza, tanto da palesare maggiore completezza, e meno insignificanza, proprio con quest’ultima soluzione.

Approfittare opportunamente degli spazi bianchi lasciati dall’impostazione grafica, col proporli quale tentazione all’interferenza, potrebbe riequilibrare l’intera composizione. L’art nouveau cartolare sembra nascere giusto da questo invito a entrare in competizione con il grafico.

Scrivere sulle figure rasenta la magica abitudine di pretenderne l’appropriazione. Marchiare il corpo dei soggetti effigiati è così indice di un forte e coinvolgente turbamento affettivo.

Il richiamo dei corpi nudi sembra irresistibile e sollecita manifestazioni possessive con esplicita firma, scarabocchi, espressioni di desiderio o di augurio di sua realizzazione ovvero pure oscenità o inconsapevoli manifestazioni discriminatorie, come può capitare nelle carte postali predisposte a Taormina con gli scatti di Wilhelm von Gloeden.

Bollare” la volgarità è sempre meglio che intaccare l’arte!

Willi Baumeister interviene sull’epidermide della Dea dell’arte di Adolf Ziegler, confondendone con sfumature di colore gli arti; tratti di matita trasformano i seni in occhi, cosicché il pube trasforma l’intera immagine in un Uomo col pizzo, abbastanza somigliante a Le viol di Magritte.

E’ più facile trasformare una cartolina postale in un’opera d’arte da museo, – affermò Ando Gilardi – che non un’opera d’arte in una cartolina postale da tabaccaio”.

Ispirazione, interpretazione, trasfigurazione, imitazione. La reinvenzione artistica diviene appannaggio dei dadaisti berlinesi  che della cartolina colgono, come specifico, il dorso, lo decostruiscono, ne riassumono i vari elementi e lo spostano, trasportandolo dalla copia seriale all’opera unica.

Esaltazione

Per tutti gli anni Sessanta-Settanta, in ambito pop e iperrealista, data la preoccupazione di rifondare i valori alti dell’arte su quelli bassi del quotidiano e dei suoi media, la cartolina è stata presa in considerazione per il suo lato vista, simbolo di standardizzazione e banalità. – osserva Enrico Sturani, ne “La cartolina nell’arte (fatta a pezzi, stravolta, esaltata)” (Barbieri, Manduria 2011) – Ma, in tempi più recenti, poiché ciò che è più proprio di una cartolina non è il lato vista, ma il dorso destinato a veicolarne il messaggio, alcuni artisti hanno preso a soggetto della loro pittura proprio questo lato”.

Il collage “Saluti dalle vacanze” di Angelika Schmidt presenta una perfetta fusione tra recto e verso, nel dare al contempo l’idea della spedizione e del viaggio; e il messaggio viene espresso dalle immagini.

Nell’esemplare di Anna Banana, in primo piano, lo sguardo sgranato di una ragazza è fissato sul lato vista, che si suppone shockante, di una cartolina di cui a noi compare il dorso con l’indirizzo finto che potrebbe essere usato davvero. Un’immagine dialogica che ci interpella in una qualche forma di “metacartolina”.

Destrutturazione

Desemantizzazione e risemantizzazione producono tovaglie da tavolo, copie fedelmente ingrandite di cartoline realmente spedite, dipinti impostati su una parte materica e una di figuratività, supporti postali d’invenzione, plastiche policrome che sembrano colare a cavalcioni di stampelle, come nelle celebri opere di Dalì “Persistenza della memoria” o “Giraffa in fiamme”.

Una rivisitazione in chiave critica del formato orizzontale, con l’azzeramento di ciò che risulta pittoresco, si può ottenere mediante la destrutturazione della figura-sfondo e l’eliminazione del primo piano. Interventi che contribuiscono a determinare l’assunzione della cartolina come idea ispiratrice o modello mentale.

Fissazione di un modello

In “Città invisibili” di Italo Calvino, “il viaggiatore è invitato a visitare la città (di Maurilia) e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com’era prima”.

René Magritte intitola “cartolina” un olio su tela parodistico di un tipico panorama montano da classica veduta paesaggistica, mentre sull’uomo di spalle che l’osserva incombe un’enorme mela verde.

Nell’assumere la cartolina quale piatta e vuota rappresentazione, solitaria e silenziosa, sospesa, rarefatta ed enigmatica, sino a proporsi inquietante, Enrico Sturani, in “L’Italia in posa” (1997), azzarda l’ipotesi della “premonizione stilistica” che potrebbe valere per De Chirico, le cui “piazze palcoscenico – commenta Franco Speroni  – diventano la testualizzazione della trasformazione della memoria collettiva in pezzi di standardizzazione mediale”. Metafora metafisica, quindi, dice De Chirico stesso a proposito della sua pittura, come “primo fondamento” della forma.

Ma “cartoline”, o loro “premonizioni stilistiche” erano pure quelle che dipingevano  i romantici pittori del Gran Tour, da Arthur John Strutt a Richard Keppel-Craven, ed Edward Lear, riprodotte in serie, negli anni del dopoguerra, dall’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno.

All’inverso, dalle cartoline poteva trarre ispirazione Joan Mirò. “Attorno al 1928 – confessa a Dora Vallier  trentadue anni dopo – dipingevo spesso a partire da cartoline; erano le più banalmente realistiche a darmi il ‘la’. Prima di giungere al quadro ne traevo molti schizzi preparatori, sempre più liberi, sempre più lontani dal soggetto. In questo modo ho dipinto alcuni degli Interni olandesi (Secondo interno olandese, del 1928, e Ritratto di Mrs. Mills nel 1759, del 1929)”. A volte, si perdeva nella contemplazione di illustrazioni, ritagli, foto, manufatti, e altri oggetti, sparsi dappertutto nel suo studio di Majorca. Anche la parete, sopra il tavolo da lavoro, di Pierre Bonnard era disseminata di cartoline.

La collezione

La ricerca di uno stesso tema sfiora, rasenta o scade nella collezione; la riproposizione d’un insieme come propria opera è azione, presumibilmente, più creativa, la variazione decisamente concettuale.

Estrapolare soggetti omogenei, in cui individuare percorsi di senso di un immaginario sociale, nel rilevarne le dimensioni pubbliche, quantitative e seriali, proseguirebbe la strada del riduzionismo nell’arte sino alla sua negazione totale.

Dalla figura del raccoglitore veniamo a quella del collezionista; – distingue Sturani – se il primo può essere definito come colui che raccoglie un po’ tutto, il secondo è definibile come colui che vuole avere tutto ciò che concerne il nonnulla. Una volta definito il proprio orticello, è assillato dall’horror vacui costituito dalle lacune, dai pezzi mancanti. Forse peggio è quando ha completato la serie, concluso la collezione: all’ansia che prima lo spronava, subentra la depressione di chi non ha più stimoli. Due sono le vie d’uscita: c’è chi incomincia da capo con un altro tema o genere di collezione, e chi, all’interno del microcosmo appena colmato, apre gli abissi delle varietà (lo stesso pezzo nuovo e viaggiato, in prima e seconda edizione ecc.)”.

La “vertigine della lista” è una costruzione culturale, allora, oppure il tentativo-tentazione di completare un immaginario integrato in un caleidoscopico spettacolo.

Interventi

I tipografi chiamano “scartine” i risultati dei macchinari non controllati elettronicamente e poi riutilizzati più volte, con imperfette inchiostrature, sovrapposizioni di forme, saturazioni di colori, tutti oscillanti tra il surreale, l’informale trouvés, minimalismo e arte povera.

Fustellate in modo da presentare buchi, sagomate in forme strane, con l’applicazione di oggetti-sorpresa da scoprire, sono le novelties escogitate come gadget cartotecnici in cui il coinvolgimento si amplia dal soggetto e dallo stile al supporto stesso, fino a manometterlo.

Bruno Munari , in “Saluti e baci, esercizi  di evasione”, elenca le tecniche di intervento in bucatura, sagomatura, assemblaggio di più oggetti, composizione con effetto riflessione o clonazione o “mise en abyme”, aggiunta di cordoncini, decolorazione, cancellazione (con acetone), cancellature, graffiature, scarabocchi.

Se si ritagliano alcuni dischi di vario diametro per riporli allo stesso posto ma ruotati, più è sclerotizzato lo stereotipo in esse contenuto e più l’effetto  diviene dissacrante.

Un’immagine si può smontare ritagliandola in rettangolini che poi si rimontano, ognuno all’interno di altrettante etichette, per moltiplicare l’effetto dell’incorniciatura sotto forma di vibrante eco o di mosaico appena abbozzato, dilatandone la visione e rallentandone la percezione.

W. Reginald Bray ritagliava un profilo irato, occupando con la denominazione del destinatario, e relativo indirizzo, sopracciglia, baffi e ghigno caricaturale; il francobollo al posto dell’occhio, una volta annullato dal timbro postale, avrebbe dato l’idea del pugno ben assestato.

Exercices de style

Con l’intenzione di raccogliere la sfida degli “Exercices de style di Raymond Queneau (1947), in cui una stessa trama viene raccontata in novantanove modi diversi, Jean Margat ricorre alla scienza che studia le soluzioni immaginarie (patafisica), e, applicando la metodica nel campo dell’improbabile, arriva a instillare ambiguità in ciò che viene ritenuto unico, al fine di completare un Petit traité de Jocondologie suivi d’un traité de Jocondoclastie.

Quando poi le opere si devono regalare  per favorire aste benefiche, propagande e promozioni, cartoline illustrate e biglietti d’auguri sono l’ideale, dato il minimo costo di spedizione e le eventuali successive quotazioni ancora abbordabili.

Abbozzi, schizzi e prove respirano l’aria della libertà, dell’immediatezza e dell’improvvisazione; privi di ripensamenti, ritocchi, rifiniture possiedono la maggiore freschezza e vivacità.

Commistione di scrittura e pittura, grafia e disegno

Segni ridotti all’essenziale deformano, colori gettati a macchia limitano la riconoscibilità del soggetto, col risultato però che alla forza descrittiva subentra l’espressività dell’insieme e l’immagine si astrattizza a tal punto da poter riprendere un consonante corsivo stenografico del dorso. In tal maniera, il rapporto tra pittura e scrittura si stringe talmente tanto da far traboccare il messaggio sul lato dell’immagine e viceversa. Se, invece, l’artista delimita il proprio disegno, magari incorniciandolo, vuol dire che ancora ci tiene a mantenere le distanze.

Edvard Munch offre il miglior esempio in assoluto di equilibrio tra messaggio e immagine per porre tutto su di un unico piano, in piena vista; saluti (dai monti) e firma in corsivo  vanno a confondersi con le linee oblique della pioggia che non risparmia un omino con l’ombrello.

La reiterazione tra scrittura e illustrazione sottolinea enfaticamente la commistione. Anche se la compresenza di pittura e testo, dallo stesso lato, non necessariamente è assodato che  favorisca una fusione armonica e immediata. L’impertinenza separa campi visivi, per altro distinguibili, anche se la vicinanza accentua il carattere corsivo del disegno e quello ideogrammatico della grafia.

“Otkrito pisma”, non nascosta scrittura

Prima ancora delle cartoline illustrate sono esistiti gli interi postali dove si potevano inserire schizzi, disegnini, persino acquerelli, come solitamente si può fare su foglietti di piccolo formato.

La carriera della cartolina è stata indubbiamente varia, da grazioso supporto di frivoli messaggi a veicolo propagandistico e pubblicitario, da viatico turistico a testimonianza di pellegrinaggio museale fino ad assurgere ad artefice dell’immaginario di massa. E questo suo elevarsi giustifica appropriatamente la celebre battuta del principe De Curtis: “In Italia ci sono troppi laureati in lettere e nessuno in cartoline”!

Della cartolina si può certo romanticamente classificare l’uso tra le rimembranze o le nostalgie e l’abuso invece farlo rientrare come provocatoria sperimentazione in un ambito artistico spregiudicato.

La cartolina nasce nel 1869 per velocizzare, al non indifferente vantaggio di una tariffa ridotta (almeno sino al 1995), quei messaggi liberi e leggeri che la lettera mantiene seriosi e prolissi e il telegramma, che l’aveva preceduta di un quarto di secolo, pretendeva sì sintetici, ma ancora burocratici e impegnativi.

La caratteristica del nuovo supporto grafico è la sua mancanza di schermi frapposti a nascondere il contenuto e quindi un’inedita visibilità espressiva. In russo la si chiama con terminologia appropriata “Otkrito pisma”, non nascosta scrittura. Gli anglosassoni che la fanno rientrare in un’attività di postcarding, ne sottolineano le potenzialità di gesto (non) scontato, più o meno spiritoso od originale, perfino estetico e creativo. Alla fine del monopolio statale il lato brullo fu occupato da immagini in cui poteva farsi concorrere la fantasia e forse anche per rendere accessibile a tutti un’arte che non debba subire distinzioni tra minore o maggiore, alta o bassa.

Prodotto tipico di low culture, ma con disposizione alla diffusione e all’impatto, nonché una versatilità come pochi altri “oggetti e manufatti comunicativi”, a tratti d’avanguardia, d’antagonismo, di minoranza, se non programmatica, occasionale od opportunistica; convenzionale, di fatto, per forma, spazi, modello, proporzione, aspettativa di visione, eppure accessibile alla sperimentazione, sia per bassi costi di realizzazione sia per sobrietà e metodiche d’intervento.

Un’in-fedele riproducibilità

Lo stereotipo per eccellenza dell’artistico, in ossessive sequenze commerciali, in cui l’uguale, il simile e le differenze rientrano nella logica del gioco di in-fedeltà di una riproducibilità benjaminiana, o in uno stile di vita hobbystico, fino a giungere all’anancasmo della sillogomania disposofobica di orde di hoarders, accumulatori e accaparratori compulsivi, da sindrome di Diogene. Il sottile stato delirante della pratica artistica coniugata con la collezione costituiscono però un’identità a sé stante, non più strettamente legata alla mentalità da “messies , packrats , slobs”, semmai imparentata all’intuizione che riflette un’ispirazione e persegue la curiosità.

“In un territorio come questo in cui tutto può derivare da tutto e da tutto deviare – ammette Flaminio Gualdoni nella presentazione a Sturani (“Voyage au bout de la carte postale”) – anche la falsificazione assume il sapore di “una sorta di spezia non così aspra com’è in altri ambiti”.

Solamente in un rapporto fisico e diretto è possibile guardare e capire un oggetto o uno stile. Nel nostro caso l’oggetto diviene uno stile, se visto dalla giusta prospettiva. La banalizzazione allontana dall’afflato emotivo, più di quanto possa farlo la provocazione del pop, il ridimensionamento kitsch o la democratizzazione dell’arte. Nel momento in cui si espande un’esigenza del genere, non può che privilegiarsi l’autonomia di una mail art, in cui la spedizione postale e il messaggio possono permanere in maniera determinante, per poi divenire oggetto di creazione, manipolazione, manomissione, assemblaggio, per essere installate, inserite fuori dal loro ambito e decontestualizzate, ricopiate, imitate, falsificate, rese addirittura “s-oggetto”, fonte d’ispirazione e di performance.

 

Giuseppe M. S. Ierace

 

 

Bibliografia essenziale:

Benjamin W.: “Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit”, Suhrkamp Verlag, Frankfurt 1955

Callegaris P. e Sturani E.: “L’Italia in posa”, Electa, Napoli 1997

Calvino I.: “Le Città invisibili”, Einaudi, Torino 1972

Dalì S.: “Lettere a Picasso”, Archinto, Milano 2006

De Chirico G.: “Sull’arte metafisica”, Valori plastici, aprile-maggio 1919

Gilardi A.: “Progresso fotografico”, XII, 1988

Ierace G. M. S.: https://www.nienteansia.it/articoli-di-psicologia/categorie/grafologia/

Ierace G. M. S.: https://www.nienteansia.it/articoli-di-psicologia/altri-argomenti/i-veli-di-pietra-archeologia-archigrafia-epigrafia-paleografia-architettura-scultura-kunstgewerbe-kunstwollen-araldica-emblematica-iconologia-pasigrafia-crittografia-grafologia-nuove-scr/1994/

Margat J.: “Petit traité de Jocondologie suivi d’un traité de Jocondoclastie”, Bizarre, maggio 1959

Munari B.: “Saluti e baci, esercizi  di evasione”, Corraini, Mantova 1992

Queneau R.: “Exercices de style”, Gallimard, Paris 1947

Speroni F.: “Sotto il nostro sguardo”, Costa & Nolan, Genova 1995

Sturani E.: “La cartolina nell’arte (fatta a pezzi, stravolta, esaltata)”, Barbieri, Manduria 2011

Vallier D.: “Avec Mirò”, Cahiers d’art, 1960

 

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