L’alfabetizzazione emotiva

L’alfabetizzazione emotiva: un percorso possibile per comprendere il disagio e rieducare i giovani alla comunicazione dei sentimenti.

A scuola non solo per conoscere date, avvenimenti e teoremi ma anche per imparare a dare un senso alle emozioni e ai sentimenti, alle parole che spesso diventano contenitori vuoti da riempire e subito svuotare. Gli adulti per comprendere i giovani adolescenti devono loro stessi imparare a comunicare riscoprendo il significato delle emozioni in una società in cui i valori del successo economico hanno alimentato isolamento e malessere tali da creare il cosiddetto “autismo tecnologico”. L’alfabetizzazione emotiva comincia dalla nascita quando il nostro cervello inizia ad attivare processi di trasformazione ed evoluzione sempre più articolati. Basti pensare che all’età di due-tre anni il numero di sinapsi (collegamenti tra i neuroni) è il doppio di quello di un adulto. Il cervello è prima di tutto un organo relazionale in cui si accumulano le conoscenze e la cultura del contesto in cui si vive. Gli studi delle neuroscienze, dagli anni ’90 in poi hanno dimostrato che il cervello è un organo di estrema plasticità, in grado di sviluppare funzioni sempre nuove e specializzate. A tale proposito gli esperimenti condotti su campioni di popolazione hanno confermato l’attivazione di specifiche aree cerebrali in situazioni di apprendimento e memorizzazione. Gli studi di Rizzolati (2006) hanno svelato la presenza di particolari cellule cerebrali i neuroni specchio che consentono di interagire con le informazioni esterne mettendo in atto un meccanismo di sintonizzazione e rispecchiamento delle emozioni. Questo processo è fondamentale nei primi anni di vita quando gli stimoli sensoriali stabiliscono le prime relazioni del bambino con la madre e vengono attivate soprattutto le aree cerebrali prefrontali e orbitali del piccolo. L’alfabetizzazione emotiva inizia quindi abbastanza presto il suo percorso tracciando le possibili direzioni dell’interazione sociale dell’individuo.


Fondamentale è il processo di mentalizzazione che consente di trasformare i meccanismi fisici in processi psicologici attraverso lo sviluppo delle rappresentazioni mentali. La teoria della mente permette di operare discriminazioni nell’ambito della comunicazione per questo le espressioni emotive come il sorriso, la rabbia, lo sguardo, i gesti e le parole possono essere conosciute e riconosciute nel loro valore intrinseco e perdere la loro ambiguità. Goleman, assertore della alfabetizzazione emotiva considera il rapporto conflittuale con l’altro una risorsa perché ognuno acquista e perde qualcosa in uno scambio di sinergie e potenzialità. La comunicazione non è solo la trasmissione di informazioni ma l’attivazione di risorse individuali da gestire e condividere insieme. Le emozioni si trasmettono facilmente e soprattutto i bambini rischiano di sviluppare un falso sé quando reprimono i loro sentimenti spesso per far piacere ai genitori e assecondarli nelle loro aspettative. La cecità emotiva rappresenta un disconoscimento delle proprie emozioni e in seguito essa può trasformarsi in analfabetismo emotivo con conseguenze gravi come la tendenza alla depressione o manifestazione di comportamenti violenti e aggressivi. L’alfabetizzazione emotiva può essere appresa e insegnata mediante l’identificazione e la denominazione delle proprie emozioni, il riconoscimento delle stesse nel tono di voce, nella mimica, nel linguaggio del corpo e infine nel capire le situazioni e le reazioni che producono gli stati emotivi. I mass-media influenzano soprattutto i giovani adolescenti che fanno della pubblicità un modello imitativo da riproporre e seguire come un copione. La dipendenza dal mondo esterno e dalla sua spettacolarizzazione apre la strada alla graduale perdita dello spazio intimo personale e alle emozioni che sembrano neutralizzate e anestetizzate. L’incapacità dei giovani di stare soli con se stessi alimenta un narcisismo pericoloso che può diventare aderenza completa ai dettami della moda e delle tendenze più in voga. La generazione hikikomori denominata con un termine giapponese è quella che manifesta una dipendenza ossessiva da uno schermo ( televisione, computer). Ci sono bambini sempre più connessi con internet come rivelano i recenti dati “ eurispes” ( 1/3 compresi tra 7 e 11 anni navigano dalle 2 alle 4 ore al giorno, l’80% di età compresa tra i 12 e 18 anni). Questa mutazione antropologica ci mostra un panorama generale in cui si è notevolmente abbassata l’età di contatti con il mondo virtuale, rischioso perché veicolo di messaggi ambigui sul piano delle relazioni e della comunicazione. I deficit dell’intelligenza emotiva hanno delle conseguenze specifiche nel periodo dell’adolescenza con conseguenti disturbi comportamentali ( anoressia, bulimia, uso di droghe, giochi d’azzardo). Dal punto di vista evolutivo sin dalla nascita il bambino può ricevere un danno se è stato privato delle emozioni e sensazioni derivate dal rapporto diretto con la madre, prima forma di imprinting su cui iniziare a tessere i legami emotivi con gli altri. La non conoscenza delle emozioni porta l’adolescente a non saperle riconoscere e dominarle (alessitimia) ma anche ad abusarne senza provarle veramente (atimolessia). Gli studi più recenti hanno messo in stretta correlazione i comportamenti impulsivi con le condotte devianti come l’uso di sostanze stupefacenti mettendo in evidenza l’incapacità dei ragazzi ad operare scelte consapevoli sul piano razionale ma anche emozionale. In questo contesto ci si domanda : cosa può fare la scuola? Cosa possono fare gli insegnanti ? Sottolineando che non c’è apprendimento significativo se non ci sono emozioni da trasmettere e condividere bisogna educare o forse rieducare i ragazzi alla consapevolezza e importanza delle emozioni creando con essi legami che forniscono un senso e un orientamento delle stesse. Come sostiene M.Mangani bisogna “creare oggetti affettivi di comunicazione” che vanno oltre gli strumenti usuali divenuti contenitori di un sapere astratto e lontano dalla realtà ( registri, voti). Come per tutte le mète desiderate e difficili da raggiungere ci vuole tempo. Occorre mettersi in gioco e accogliere addomesticando i pensieri e le asperità di una ribellione al mondo intero, non avere paura del rapporto empatico ed emozionale che può manifestarsi spesso crudo e sofferente. Le nuove competenze richieste agli insegnanti sono quelle che non hanno valutazioni e registri su cui annotare materialmente insuccessi e gratificazioni ma strumenti di un’indagine sottile e delicata per raccogliere storie e inventare metafore della vita, per costruire una diversa relazione comunicativa in cui possono svilupparsi nuove prospettive relazionali e nuove possibilità di apprendimento.

Laura Alberico

Relazione sul Convegno “ La scuola di fronte alle esigenze emotive dei giovani, degli insegnanti e
della società” – Roma 16 ottobre 2008

————————————————————

Prova il nostro test di Intelligenza emotiva >>

NienteAnsia