Il Piacere di Vivere: Essere se stessi ogni giorno – Se nessuno ti ama: Decisioni intuitive – Iniziazione al Tao della Psicologia

Si dice che “qualora si dovesse chiudere una porta, si aprirebbe un portone”, per prospettare un arricchimento dell’immaginario nella costruzione del migliore dei mondi possibili, un incremento di audacia nei confronti dell’imprevisto, e la possibilità di quel superbo godimento derivante dall’effetto sorpresa.

In ambito scientifico, questo sentimento di connessione, con ciò che Bernardino Del Boca avrebbe definito “il fluire della vita”, ha notevolmente influito sulla ricerca scientifica, ammettendo che la stragrande maggioranza dei contributi al suo progresso provengano da fattori estranei alle ipotesi di base ed, a volte, assolutamente inaspettati. Questo tipo di “fortuna”, comunque, riconosceva Louis Pasteur, “favorisce uno spirito preparato”.

Di esempi di tal fatta ne sovvengono numerosissimi, a cominciare da Cristoforo Colombo che scopre un nuovo continente su quella che lui riteneva una rotta alternativa per l’Asia; senza citare la formulazione della struttura chimica del benzene da parte di Kekulé, la dinamite di Nobel, la penicillina di Fleming, i riflessi condizionati di Pavlov, e poi, più recentemente, la fluoxetina ossalato (Prozac), il citrato di sildenafil (Viagra), i neuroni a specchio…

Tale disponibilità all’apertura mentale, nel 1976, Julius H. Comroe jr. l’avrebbe sintetizzata nella sagace battuta: “cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino”. Per Anne Ancelin Sch?tzenberger costituisce il fondamento de “Il Piacere di Vivere” (DiRenzo, Roma 2010), concepito come “narrative-based medicine“, una storia che si racconta ripetutamente per trovare intrecci significativi in relazioni apparentemente sconnesse, intuirne il valore, e dal loro insegnamento trarre elementi terapeutici.

Trisha Grenhalgh, con “Narrative Based Medicine: narrative based medicine in an evidence based world” (apparso nel 1999 sul British Medical Journal) ha stabilito il punto d’incontro tra il modello della diagnosi fondata sui riscontri oggettivi della pratica clinica quotidiana (Evidence based medicine, dall’articolo di David Sackett: “Evidence based medicine: what it is and what it isn’t“, anch’esso sul BMJ del 1996) ed il modello medico-sociale, fondato sulle idee dello psicologo George Engel (che nel 1977 aveva parlato di “modello biopsicosociale” come cornice concettuale di riferimento per le cure), e che la medesima Grenhalgh aveva appena lanciato, insieme con Brian Hurwitz (“Narrative Based Medicine: why study narrative?“, sempre sul BMJ), per promuovere il dialogo tra medico e paziente e la diagnosi soggettiva, legata ad ogni singolo caso clinico.

La Sch?tzenberger  da tutto questo ricava una strategia operativa per individuare ciò di cui si ha effettivamente desiderio e naturalmente poi soddisfarne il bisogno, senza affannarsi in un’estenuante, supplice rivendicazione.

La fama maggiore però le è stata conferita dalla divulgazione de “La Sindrome degli antenati“, intesa quale trasmissione inconscia di eventi simbolicamente significativi che tendono a ripetersi nel susseguirsi delle generazioni, per cui la storia di una famiglia risulta contrassegnata dall’interiorizzazione di valori e vincoli affettivi che inevitabilmente ricadono sull’universo simbolico dei singoli componenti. L’esplorazione (psicogenealogia) di questi legami che incidono sulla formazione della personalità, e delle influenze che conseguentemente ne determinano le scelte di vita, come di malattie e di morte, rientra in un modello epistemologico, ispirato alle parole del poeta René Char: “Si canta bene solo sui rami del proprio albero genealogico“.

L’interesse per il trans-generazionale nasce da un’osservazione di Françoise Dolto: “in una casa i cani ed i bambini sanno tutto, specie quanto non viene detto”. Ma va oltre l’accondiscendenza verso il semplice adagio “Qualis pater, talis filius“, o l’accettazione della memoria biblica dell’emistichio tratto dai dieci comandamenti (Esodo 20:5), in cui “il Signore”, poiché io sono il tuo Dio, un Dio geloso“, “ punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza ed alla quarta generazione.

Tendenzialmente tutti noi ripetiamo ciò che è stato fatto, o omesso, dai nostri predecessori; ce ne distanziamo consapevolmente, e per scelta, oppure facciamo lo stesso o il suo contrario, proprio senza volerlo. Ma medesime cose, a volte, non producono medesimi effetti, e questo per svariati motivi, soprattutto perché diverso è l’insieme delle circostanze, quale incognito strumento di cambiamento. E’ la questione della libertà in funzione di come la storia “agisce in sé”, con un risultato non del tutto scontato; non sempre si ottengono semplici ripetizioni, spesso qualcosa si trasforma. Coscientemente si hanno delle forme di riproduzione intergenerazionale di ruoli o di schemi. Inconsciamente si veicolano delle rielaborazioni trans-generazionali per lo più di difficile chiarimento.

Lealtà familiari invisibili” di Boszormenyi- Nagy, “co-inconscio di gruppo” di Moreno, “onde morfogenetiche” di Rupert Sheldrake, “sindrome d’anniversario“… per Anne Ancelin Sch?tzenberger (“Il Piacere di Vivere“, DiRenzo, Roma 2010): “l’unico modo per capire il mondo e ciò che succede consiste nel cogliere bene tutto il contesto, l’eredità familiare, l’ambiente familiare, legato al contesto storico e socio-economico: una delle strade fondamentali per fare ciò è la ricerca-azione… Secondo me, la sociologia da sola non è sufficiente, così come non lo è la psicologia, l’antropologia, la politica: nell’universo tutto è legato e bisogna collocarsi all’incrocio delle strade, in ambito interdisciplinare, per comprendere che cosa succede e poter scegliere di agire, reagire o lasciar passare, per dedicarsi a cose su cui si può operare utilmente, o dare un supporto utile a coloro che agiscono in maniera utile”.

Al carrefour tra filosofia, storia, economia, psicologia, sociologia, psichiatria, antropologia culturale non v’è soltanto la psicologia sociale o la sociopsichiatria, ma anche la ricerca relazionale, e, oltre la linguistica, quella comunicativa.

“Non è sempre conveniente dire la verità a chiunque… ognuno capisce secondo il suo modo di pensare (la sua programmazione interna) e le sue abitudini… il vero inusuale ‘non passa’ senza un mare di spiegazioni… le persone che pongono domande non sempre sono interessate a conoscere le vere risposte, poiché ogni domanda non è necessariamente una vera domanda, ma spesso semplicemente l’occasione di uno scambio sociale leggero, una ‘conversazione all’inglese’: ‘Che bel tempo oggi – sì , il tempo adatto a questa stagione” scrive Anne Ancelin Sch?tzenberger in “Il Piacere di Vivere” (DiRenzo, Roma 2010).

La “chiacchiera” di cui parlava Heidegger esula dal “senso” per rientrare nel contesto dell’insieme delle circostanze. Discutere di qualcosa che non interessa (anche solo ad uno di quanti, loro malgrado, partecipano dell’intrattenimento) non è solo superfluo, ma del tutto inutile; meglio approfondire ciò che interessa al momento giusto con interlocutori non distratti.

Il linguaggio sembra quindi accomunare filosofia e poesia, psicologia e romanzo popolare, psichiatria, arte e letteratura. Su certi argomenti però, più che opportuno, è d’obbligo tacere, perché le parole hanno tante potenzialità, ma certamente non infinite. La morte, ad esempio, è una cosa che lascia attoniti ed ammutoliti. Pierre Boutang, ricorda la Sch?tzenberger, ha scritto sul significato e l’essenza di tanta discrezione L’Ontologie du secret», Paris 1973).

E qui l’analisi del silenzio, dell’«unsaid» (non detto), e l’osservazione delle comunicazioni “non verbali” forniscono indizi su tutte quelle cose che non vengono neppure pronunciate, se non da “cani e bambini”.

L’«effetto Zeigarnik», dal nome dell’allieva di Kurt Lewin, si riferisce alla persistenza nella memoria di incombenze incompiute. Corrisponde forse all’insegnamento del non voltarsi indietro del mito iniziatico di Orfeo, un’elaborazione del lutto che predisponga ad una scelta di vita.

Kurt Lewin ha elaborato la teoria delle zone di libertà e zone di divieto da aggirare, dell’equilibrio quasi stazionario, degli obbiettivi convergenti e divergenti, della differenza tra una “pre-decisione” ed una vera decisione che si effettua in “azione” e, nei fatti, in un “cambiamento”, a cui si oppone “resistenza”, perché la dissonanza cognitiva ottunde la facoltà di discernere ogni intima contraddizione.

La spiegazione di cosa sia la serendipità  la si potrà cercare nella citazione evangelica di Luca: “chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Luca 11, 9-10), come nell’interpretazione lacaniana del “cogito ergo sum” di Cartesio: io non esisto se non quando penso.

“E’ un ponte, tra cervello destro e cervello sinistro, tra la parte raziocinante, l’intuizione creatrice e la sagacia, e viene fuori da un aut-aut riduttivo tra la logica e l’affettivo…” ipotizza Anne Ancelin Sch?tzenberger.

Si tratta sempre di connessioni acausali, sincronicità, semplici coincidenze, o di ciò che si indica come “fattori omessi”?

Del concetto di serendipità ne ho sentito parlare per la prima volta da Bernardino Del Boca, ma sicuramente sarebbe stato condiviso anche da Emilio Servadio e da Roberto Assagioli; mi ha colpito per quel tanto di possibilità di imbattersi in ciò che non si cerca, anche quando si insegue quanto non si trova.

Il termine Serendipità venne coniato, nel 1754, da Horace Walpole in seguito alla lettura di un testo pubblicato a Venezia nel 1557 dall’editore Michele Tramezzino: “Il Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo, per opra di M. Cristoforo Armeno dalla Persiana all’Italiana lingua trapportato“. Si tratterebbe di una serie di racconti orientali che rielabora e contamina tradizioni arabe, persiane ed indiane, imperniate sulla figura del sovrano sasanide Bahr?m, per altro protagonista di numerose narrazioni popolari. Giaffer, re di Serendippo, antico nome con cui si designava lo Sri Lanka, volendo che i suoi figli, già ben educati e colti, facciano esperienza di vita vissuta,  “deliberò, per farli compiutamente perfetti, che andassero a vedere del mondo, per apparare da diversi costumi e maniere di molte nationi con l’esperienza quello che colla lettione de’ libri, e disciplina de’ precettori s’erano di già fatti padroni“. Accusati da un cammelliere di furto, i nobili singalesi vengono imprigionati, finché non riescono a fornire delle spiegazioni talmente acute per la loro abduzione da impressionare favorevolmente l’imperatore Bahr?m, il quale restando colpito da tanta arguzia li nomina suoi consiglieri.

Spazio, tempo, necessità, opportunità, sagacia caratterizzarono pure le riflessioni di Voltaire per come le espresse in “Zadig ou la Destinée. Histoire orientale” . L’arrendevolezza consente di trovare ciò che si cerca in una girandola di prove, punizioni, ricompense, casualità o preveggenza, deduzione e perspicacia. In una discussione sui grifoni dice che, se ci sono, non van mangiati, e, se non ci sono, anche, quasi alla maniera di Jonathan Safran Foer in “Se niente importa, perché mangiamo gli animali?” (Guanda, Parma 2010). Uno dei commentatori di “Zadig“, José Lupin, sostenne l’influenza di Walpole e dell’illazione ed acume descritte in “The Travels and Adventures of the Three Princes of Serendip” (1722), che Voltaire avrebbe conosciuto nel salotto parigino di Madame du Deffand.

Carl Gustav Jung si occupò delle coincidenze, elaborandone la teoria della sincronicità ed intrattenendo un dibattito con il fondatore della meccanica quantistica, Wolfgang Pauli, che aveva formulato il principio di esclusione. Più di trent’anni fa Jean Shinoda Bolen ha illustrato con chiarezza la teoria della sincronicità in un testo recentemente tradotto in italiano con il titolo: “Iniziazione al Tao della Psicologia” (Mediterranee, Roma 2010). “Un evento inconscio pregno di significati simbolici ed emotivi viene a coincidere con una situazione obiettiva, reale, osservabile nella realtà di tutti i giorni”, spiega Paolo Crimaldi nella Premessa al libro della Bolen. Non si tratta comunque soltanto e semplicemente di quello che si suol dire con “parli del diavolo e spuntano le corna”.

Marie- Louise von Franz, Ira Progoff e Raoul J. Usandivaras avrebbero sviluppato le osservazioni sul fenomeno della concordanza e sull’acausalità della connessione. La sincronia “sarebbe la coincidenza significante, ma non per forza sincrona nell’istante, di un evento materiale esterno con l’emergenza di un simbolo interiore, o evento psichico, laddove questi due eventi non hanno alcuna relazione causale tra loro, od anche nessuna connessione causale conveniente… poiché i due eventi sono legati solo per il loro significato” (Marie- Louise von Franz).

Una simultaneità di due stati psichici differenti, di cui uno legato ad una causa probabile e l’altro non deducibile dal primo, avvalora l’ipotesi di relazione tra evento esterno e condizione interiore, ad un grado di coscienza modificato nel senso mistico del massimo ampliamento verso l’unità con l’Unus Mundus.

Tale “coincidenza significante di eventi psichici – pensieri, sogni o altro – con l’appercezione di eventi esterni, di ordine materiale, rivela – per Marie-Louise von Franz – in un istante puntuale nel tempo, un’unità della materia e della psiche”.

Con il tutto psico-fisico junghiano, in cui si manifesta un’unica energia di fondo, non siamo affatto lontani dall’ordine involuto-evoluto dell’universo e della coscienza di Niels Bohr o dal paradosso di Einstein-Podolski-Rosen della possibilità di precessione degli effetti sulle cause nelle relazioni tra onda e particella.

“…Le proprietà sono situate e diluite in un volume di spazio.. mediante una funzione d’onda associata”; “queste particelle resterebbero in contatto, quale che sia la distanza che le separa ed il tempo: ciò che succede da qualche parte a una di esse, influenza istantaneamente l’altra, anche se separate anni luce”- aggiunge Hubert Reeves  inLa synchronicité, l’Âme et la science. Existe-t-il un ordre a-causal?” (Paris 1984)- “l’osservazione delle galassie lontane ci mostra anche che tutti gli atomi obbediscono esattamente alle stesse leggi, in tutto l’universo, anche se essi non hanno mai avuto relazioni causali tra di loro”.

L’intuito poetico di Victor Hugo l’aveva già preconizzato ne “I Miserabili“: “chi oserebbe dire che il profumo di un biancospino è inutile alle nebulose…”

Raoul J. Usandivaras  rimarca il significato etimologico del termine greco “angelos“, messaggero, abbastanza simile al daimon socratico, ed all’uccellino azzurro del racconto di Maurice Maeterlinck (1908).

Michel Cazenave, nel commentare “Synchronicité et Paracelsica” di Jung, parla esplicitamente di sogni premonitori e di chiaroveggenza, mentre la  Sch?tzenberger suggerisce che la scienza non sia probabilmente immune da infiltrazioni di proiezioni inconsce, al di là delle concomitanze e persino delle credenze popolari. Alle anomalie dell’attività degli atomi, “che funzionano individualmente come per caso” (e, come dice Hubert Reeves , “conferiscono a tutte le manifestazioni atomiche un aspetto parzialmente acausale”), nonchè all’Unità dell’universo, Karl Pribram risponde affermando che a funzionare come un tutto è invece il cervello. In base alla teoria olografica esisterebbe un “ordine implicito” che impone un processo di Fourier ad accomunare le coincidenze significanti, e dunque anche la fisica quantistica alla neurofisiologia.

Deepak Chopra, in “Quantum Medicine” (1989) affronta, con questo spirito, il mistero della memoria cellulare, dei fantasmi mnesici che solo un salto quantico possono spiegare. Walter B. Cannon la pensa come Pasteur e precisa che, per afferrare le opportunità, bisogna trovarsi in sintonia, essere attenti e ricettivi, sulla giusta lunghezza d’onda, pronti ad accettare ciò che va colto al momento, aperti e disposti alla percezione. Leon Festinger questa qualità l’avrebbe giustificata quale comprensione della “dissonanza cognitiva”.

Françoise Dolto sottolineava come il “buon samaritano” amasse se stesso quanto il prossimo suo, e non viceversa, nel senso di rendersi sì disponibile nei confronti degli altri, ma senza mai trascurare la propria necessità di rigenerarsi. Perché, nel dedicarsi ai “bisognosi”, si corre il rischio di sacrificare se stessi, innescando il perverso “drama triangle” di Stephen Karpman, in cui i ruoli di Salvatore, Vittima e Persecutore possono diventare intercambiabili.

Victor Hugo non è divenuto famoso per aver paragonato il biancospino alle nebulose, né per aver scritto “L’art d’être grand-père” (1877), ma neanche per la sua passione per l’arredamento orientaleggiante oppure ispirato ad un medioevo onirico; ancor meno noti la sua fede nella metempsicosi ed il culto degli antenati che celebrava con l’asserzione: “Absentes adsunt“;  soprattutto “Sempre vivi/ lassù ed in me” le figlie Léopoldine e Adèle, il genero Charles Vacquerie, come ricorda Giuseppe Scaraffia, in “Torri d’Avorio” (Excelsior 1881, Milano 2010). “Disegnava su pezzi di carta di ogni tinta e formato. L’artista lasciava cadere a caso l’inchiostro sulla carta, per poi farne nascere i lugubri impiccati i fantasmagorici castelli. Molti nascevano sotto lo sguardo ammirato dei nipotini, che ascoltavano affascinati le storie con cui commentava le immagini che sorgevano dalle sue mani.” La Sch?tzenberger ne parla a proposito del desiderio di vivere a dispetto dell’età. Maurice Goudeket, da giovane, si palesò quasi gerontofilo, sposando Colette, poi, gerontologo, raccolse i suoi pensieri ne “La douceur de vieillir” (1965).

La superficialità ha avuto degli assertori che invitano a rivalutarla: “niente è così profondo come la pelle”, “e  le piccole cose della vita – per la Sch?tzenberger –  sono la trama dell’esistenza”. Mozart ha musicato un balletto-pantomima, in un atto e tre tableaux,  di Jean-Georges Noverre, dal significativo titolo di “Les petits riens“.

Piccoli gesti, sensazioni di modesta entità sono in grado di dare sapore alla vita. “La première gorgèe de bière” di Philippe Delerm invita a gustare la fresca bevanda in piena afa. Una pubblicità di caramelle d’antan recitava: “la gola è un brutto peccato che il buon dio ha sempre perdonato”, se commesso con i “nostri” prodotti. Strano che il peccato di gola sia considerato un piacere, pure quando non si è a dieta; in maniera altrettanto stravagante, il piacere sessuale, all’interno del matrimonio, viene definito “dovere coniugale”. Forse per via della solita “minestra” riscaldata?

Il senso dell’umorismo aiuta a vivere sani e Norman Cousins ha cercato di dimostrarlo in “Comment je me suis soigné par le rire“.

Sono queste le “quattro” delizie da prescrivere, quali “pomi” che tengano lontani altri “medici”?

Essere se stessi ogni giorno” (Armenia, Milano 2010) è la proposta riassuntiva di spontaneità ed essenza, di potenzialità ed accettazione, da parte di Marc Alain.

“Un’ora di lavoro concentrato – diceva Benjamin Franklin – mi aiuta a stimolare la gioia di vivere, a superare la malinconia ed a rimettermi in sesto più che non un mese passato inutilmente a rimuginare”.

Sono molti i modi di prendere piacere. Avere sempre a disposizione una leccornia. Coltivare uno schietto egoismo narcisista, come Sidonie, la madre di Colette: “Ah, se ho gusto! Sì, ho proprio buon gusto!”. Rendere sapida l’esistenza a se stessi prima che agli altri e risollevare il morale altrui assieme al proprio. E se non si è nelle condizioni di farsi vezzeggiare, cominciare con l’accontentarsi di accarezzare il primo gatto disposto a fare le fusa.

Se nessuno ti ama” (Armenia, Milano 2009) di Barbara Forster  rileva come il rapporto affettuoso con gli animali trasmetta quelle  insostituibili sensazioni positive di dare e ricevere disponibilità disinteressata. Spesso non ci rendiamo nemmeno conto di una tale carenza di contatto fisico. Un deficit del genere è foriero di sintomatologie psicosomatiche che si possono far regredire semplicemente con un’adeguata “terapia di carezze”.

“In un certo senso, tutti noi siamo personalità multiple. – scrive Barbara Forster  in “Se nessuno ti ama” (Armenia, Milano 2009) – In ciascuno di noi i diversi aspetti della personalità comunicano costantemente tra di loro”. A decidere quale gerarchia di valori seguire dovrà essere una volontà superiore più responsabile, le altre intromissioni bisogna accettarle come espressioni di una personalità sfaccettata.

Guai ad identificarsi con i propri pensieri, lo sforzo si indirizzerà verso la distinzione di provenienza delle diverse riflessioni. L’intuito guiderà l’identificazione e la scelta delle voci interiori. “Del resto, nel mondo naturale l’istinto che porta a seguire la via nota ha un valore per la sopravvivenza”, afferma Gerd Gigerenzer, in “Decisioni intuitive” (Raffaello Cortina, Milano 2009).

Un esempio illuminante di massimizzazione dell’utilità prevista, o attesa, ci è stato fornito da Benjamin Franklin nell’elargire consigli al nipote, indeciso nella scelta tra una bionda ed una bruna, al bivio esistenziale: “Se sei in dubbio, annota tutte le ragioni, pro e contro, in colonne opposte su un foglio di carta, e quando le avrai considerate per due o tre giorni, esegui un’operazione simile a quelle di certi problemi di algebra; osserva quali ragioni o motivazioni sono, in ogni colonna, di ugual peso, una con una, una con due, due con tre e simili, e, quando avrai cancellato tutte le uguaglianze su entrambi i lati, vedrai in quale colonna avanza il sovrappiù… Io ho praticato spesso questa sorta di algebra morale in frangenti importanti e dubbi, e, benché non possa essere matematicamente esatta, l’ho trovata estremamente utile. Fra l’altro, se non l’apprendi, ritengo che non ti sposerai mai…”.

Se non si opta per fare di una la moglie e dell’altra l’amante, quest’algebra morale potrebbe essere considerata precorritrice dell’utilitarismo, con una deriva iper-razionale in quell’etica psicodinamica che rende gli psicopatici, “ubriaconi” o “libertini” che siano, per nulla diversi dagli altri “casi” umani, ma solo poco avvezzi a computare correttamente i loro comportamenti. Cosicché, a seconda dei calcoli, più o meno precisi, che facciamo, un po’ tutti potremmo rientrare nelle varie categorie della psicopatologia.

Giuseppe M. S. IERACE

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Bibliografia essenziale:

Alain M.: “Essere se stessi ogni giorno“, Armenia, Milano 2010

Bolen J. S.: “Iniziazione al Tao della Psicologia“, Mediterranee, Roma 2010

Forster B.: “Se nessuno ti ama“, Armenia, Milano 2009

Freud S.: “Il disagio nella civiltà“, Einaudi, Torino 2010

Galimberti U.: “I Miti del nostro tempo“, Feltrinelli, Milano 2009

Gigerenzer G.: “Decisioni intuitive“, Raffaello Cortina, Milano 2009

Ierace G.M.S.: “Ma mi faccia il piacere…“, su www.nienteansia.it

Onfray M.: “Filosofia del Viaggio“, Ponte alle Grazie, Milano 2010

Precht R. D.: “Ma io, chi sono? (ed eventualmente, quanti sono?)“, Garzanti, Milano 2009

Punset E.: “Alla ricerca della Felicità“, Fazi, Roma 2009

Scaraffia G.: “Torri d’Avorio“, Excelsior 1881, Milano 2010

Sch?tzenberger A. A.: “Il Piacere di Vivere“, DiRenzo, Roma 2010