I processi motivazionali in Azienda

Il mondo delle imprese, particolarmente per ciò che concerne il settore dei servizi, è tutt’ora esposto ai residui concettuali del rampantismo anni ’90, specialmente nel nostro paese.

Gli sconvolgimenti che interessano già da qualche decennio il sistema della produzione e dei consumi, di gran parte dei paesi industrializzati, sembra incapace di scalfire la perversa connessione, tra passato e presente, che risulta particolarmente evidente quando, in azienda, si affronta il tema della motivazione delle Risorse umane: è a questo punto che talvolta emerge quella tipica distorsione cognitiva che vuole il “potere” come diretta conseguenza del “volere”.

Tale prospettiva considera che il livello della performance professionale sia una derivazione dell’intensità con cui la persona desidera raggiungere la meta o del livello del bisogno che intende soddisfare. In un caso e nell’altro, viene svalutato il grado di conoscenza e di competenza di cui quella persona è dotata rispetto al compito da svolgere. Il processo motivazionale, a tal punto, si riduce alla classica “botta di entusiasmo”, all’esortazione incoraggiante o, talvolta, minacciosa.

Esempi paradigmatici, in tal senso, sono il “Vai e vendi!”, o il “Ci devi credere!”, oppure  il “Dipende da te!”, slogan tanto cari ai sostenitori del “volere è potere” e fondati su una visione della persona del venditore come affetta da presunti vuoti caratteriali, assolutamente da riempire se si vuole evitare il fallimento. Il venditore, in una simile ottica, è qualcuno da guarire, invece che da formare, addestrare, informare. Si diventa venditori scalando rocce e/o camminando sulle braci, guadando acque vorticose e trasportando tronchi. Ci si prepara alla vendita come se ci si addestrasse alla battaglia contro infidi nemici. Tale è l’idea di vendita, in quest’ottica che riesuma gli aspetti più beceri e provinciali del rampantismo anni ’90,  e gli “infidi nemici” sono clienti e concorrenti. Il futuro venditore, così, è pronto alla guerriglia, ma ben poco a gestire i molteplici aspetti del processo di vendita.

Ogni discorso sulla motivazione, perciò, finisce per poggiarsi su un concetto di “volontà” tanto generico da risultare svincolato da ogni contenuto emotivo e cognitivo.

Assumendo questa logica, il processo motivazionale, nel migliore dei casi, rischia di coincidere con un percorso di pseudo-crescita personale, più che essere un momento formativo finalizzato all’efficacia dell’attività professionale ed alla cura del benessere psico-fisico di ogni quadro aziendale.

Deve essere chiaro che prendere le distanze dagli slogan a cui si è accennato non vuol dire svalutare l’elemento personale e soggettivo. Anzi. Emozioni, pensieri e convinzioni su sé e gli altri costituiscono i momenti fondanti di un percorso motivazionale che intenda considerare la risorsa umana, in azienda, effettivamente una “risorsa” ed effettivamente “umana”.

La prospettiva, allora, va ribaltata: “potere è volere”, non il contrario.

“Potere”, ossia acquisire le risorse materiali (conoscenze e competenze) ed immateriali (ad esempio consapevolezza del proprio valore personale e professionale, gestione dell’emotività, fluidità comunicativa) utili all’azione finalizzata al risultato. La realizzazione della meta, poi, è il migliore stimolo motivazionale per il professionista, così come per chiunque (studente, atleta, ecc.) sia proteso verso un obiettivo. Il risultato è fonte di motivazione, non è la motivazione che porta al risultato. L’azione precede la motivazione, non il contrario.

Il processo motivazionale, perciò, non può essere disgiunto da un percorso formativo ed informativo, che conduca il soggetto ad apprendere effettivamente come agire, come fare praticamente quel che deve fare: il venditore a vendere, il team leader ad esercitare la leadership, il manager a definire le giuste strategie aziendali e a metterle in atto.

 

Alfonso Falanga

Consulente della Comunicazione ad orientamento analitico-transazionale

PNL Practitioner

Socio AIF (Associazione Italiana Formatori)

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