La pervasività dei moderni media tecnologici nei diversi ambiti della quotidianità conduce a porsi domande solo all’apparenza banali.
Tra queste assume una certa rilevanza, dal nostro punto di vista, quella che riguarda la possibilità di realizzare una relazione intima, in termini analitico – transazionali, attraverso un social network quale, ad esempio, Facebook.
Prima di proseguire ricordiamo cosa l’Analisi Transazionale intende con “ intimità “.
Eric Berne, fondatore di questa disciplina, in una delle sue opere la definisce così :
“ Al di là dei giochi c’è l’altro caso limite di ciò che può accadere nei rapporti interpersonali: l’ intimità*. L’intimità bilaterale è definita come una relazione disinteressata, priva di giochi con un dare e un avere, senza forma di sfruttamento reciproco. L’intimità può anche essere unilaterale, dal momento che soltanto uno dei due può essere disinteressato e generoso, mentre l’altro può essere in malafede e avere un secondo fine “ .1
Cominciamo con l’osservare che per Berne l’intimità è uno dei due eventi relazionali limite. Ad un estremo, infatti, egli posiziona i giochi, vale a dire una modalità comportamentale in cui nulla è come appare. Dalle righe precedenti si evince facilmente che per Berne il gioco non è autentico ossia rappresenta un comportamento che, alquanto inconsapevolmente, ha un obiettivo ben diverso da quello dichiarato da coloro che vi prendono parte.
Il gioco è dunque un modo insincero di chiedere attenzione, ad esempio, oppure affetto o comunque di realizzare una propria istanza materiale e/o immateriale 2.
Non bisogna pensare, però, che chi metta in atto questo tipo di modalità voglia coscientemente manipolare il prossimo. Il gioco, in linea di massima, è la pratica relazionale di cui dispone chi non sa chiedere in modo diretto ed autentico l’attenzione di cui ha bisogno, di chi vive come troppo rischioso per sé, sotto il profilo emotivo, mostrarsi per ciò che effettivamente è o sente di essere. Insomma il gioco nasce da un disagio, più o meno profondo, e genera, nella relazione, ancora disagio.
L’intimità, secondo Berne, è all’opposto. Si è intimi quando si mostra la propria emotività e lo si fa rivolgendosi all’emotività dell’interlocutore. Si è intimi quando questa modalità, che implica non necessariamente l’assenza del timore di manifestarsi ma vuole che il desiderio di autenticità prevalga sulla percezione del rischio, viene messa in atto senza scopi ulteriori da quelli dichiarati. Ciò che si fa e si dice nasce e si conclude in quel gesto ed in quella parola.
L’intimità, è bene ricordare, può certamente riguardare una relazione nella sua continuità ma il più delle volte riguarda momenti di una relazione. Data la complessità dei rapporti umani, questi episodi bastano ed avanzano.
Tornando all’oggetto specifico della nostra riflessione, la domanda che ci siamo posti all’inizio verte allora sulla possibilità che le relazioni instaurate attraverso Facebook possano condurre a momenti di intimità.
Tale quesito ne contiene inevitabilmente un altro e cioè se sia possibile manifestare uno stato d’animo attraverso la comunicazione scritta e realizzata, in più, attraverso un mezzo tecnologico.
Inoltre dalle affermazioni di Berne si evince che l’intimità significa esprimere le proprie emozioni rivolgendosi alla dimensione emotiva dell’interlocutore. Pertanto alla precedente si aggiunge un ulteriore quesito: il “ freddo “ mezzo tecnico permette di sollecitare rabbia, tristezza, paura e gioia in coloro a cui ci rivolgiamo?
Se dovessimo aderire al cosiddetto “ determinismo tecnologico “, secondo cui la qualità tecnica del mezzo utilizzato per comunicare prevale sul contenuto della comunicazione diventando essa stessa messaggio3, dovremmo rispondere negativamente a tali interrogativi.
In base all’assunto deterministico, infatti, quando ci colleghiamo ad un social network trasmettiamo e riceviamo rapidità, azzeramento dei confini materiali, passaggio da un tempo sequenziale ad un eterno presente e quant’altro appartenga alla natura tecnologica del mezzo che adoperiamo. Si tratta di una socializzazione solo apparente, se per tale intendiamo condivisione di contenuti “ umani “. Figuriamoci dunque se è possibile realizzare anche solo un momento di intimità, ossia uno scambio di emozioni autentiche e senza secondi fini. Almeno così la pensano i “ deterministi “.
Secondo altre ottiche, ad essi vicine, in più diventa difficile parlare di intimità attraverso il virtuale dal momento che emozioni e sensazioni necessitano, poi, di essere riferite a persone concrete o comunque ad identità ben definite. Ma secondo gli Autori che abbracciano questa visione negativa del cyberspazio, ognuno di noi, una volta connesso alla rete, assume identità di circostanza, che valgono cioè in quel momento e poi basta, identità labili e multiformi4. Deboli sostegni ad emozioni, istanze, aspettative, motivazioni.
Il nostro punto di vista, pur nel riconoscere i rischi che il sistema percettivo – cognitivo umano corre nel momento che ha a che fare con l’immaterialità e l’immediatezza del virtuale, considera però il cyberspazio una possibilità, più che di proporre in altro modo le modalità relazionali offline, di realizzare nuove forme di rapporti, anche intimi o comunque che comprendono momenti di intimità. Insomma crediamo che quel che avviene nel cyberspazio non debba essere valutato assumendo quale riferimento la realtà offline, ossia in termini di “ concretezza/ illusorietà “, ma che debba essere considerato quale effettiva possibilità, o meno, di portare vantaggi alla vita “ pratica “.
In quest’ottica, allora, il social network permette una intimità che richiama la definizione che ne dà Berne anche se da essa si differenzia. E’ una forma ulteriore di intimità, che affianca quella realizzata nel “ faccia a faccia “ ma che non deve, o non dovrebbe, sostituirsi ad essa ( è qui, in fondo, il vero dilemma ).
Cosa accade, di fatto, quando si partecipa ad un social network? O meglio ancora, qual è, in genere, il motivo per cui lo si fa?
Fermo restando le debite diversità connesse alle particolarità caratteriali di ognuno, connettersi attraverso Facebook o Twitter rappresenta una richiesta che si rivolge non a qualcuno in particolare bensì ad un aggregato di individui che nemmeno si conosce, se non a volte solo in parte. Possiamo cioè dire che ci si rivolge ad un mondo al di fuori di noi ( del nostro mondo o semplicemente al di là della nostra camera in cui siamo nel momento che accendiamo il pc ) per ottenere riconoscimento, ovvero per avere conferma della nostra esistenza.
In effetti è questa la meta di una relazione intima o di un solo momento di intimità : procurarsi la certezza del proprio valore come persona, al di là di ciò che si fa, dei ruoli, delle conoscenze e competenze. La richiesta è essere “ visti “ in quella sorta di nudità derivante dal liberarsi delle varie “ maschere “ che si assumono per svolgere i propri compiti di partner, figlio o genitore, professionista, ecc.
L’intimità non è che non abbia scopi: non ne ha oltre questo. E’ un obiettivo che è, nello stesso tempo, la sostanza dell’intimità.
Questo è quel che chiediamo, quando accediamo al social network, a chi sta dall’altra parte … a chi appartiene a quel mondo così a portata di mano eppure così distante.
L’otteniamo? Spesso si. Spesso ci si accontenta di un “ Mi piace “ cliccato da uno sconosciuto e che segue una nostra riflessione, una foto, un link musicale.
E’ un surrogato di intimità? Forse. Se così è, allora diventa utile domandarci perché ne abbiamo tanto bisogno.
Alfonso Falanga
* il corsivo è di Eric Berne
1 BERNE E. : “ Ciao! … E poi ? ”, Ed. Bompiani, Milano, 1994, pag. 31
2 BERNE E. : “ A che gioco giochiamo “ , Ed. Bompiani, Milano, 1993
3 Il determinismo tecnologico è ben espresso nella ormai famosa affermazione di Marshall McLuhan secondo la quale il mezzo è il messaggio.
M. MCLUHAN: Gli strumenti del Comunicare, Il Saggiatore Editore, Milano, 1967, p. 15
4 M. CASTELLS: “ Galassia Internet “, Feltrinelli Editore, Milano, 2002