Dalla simbiosi all’autonomia: decorso naturale e patologia

Si ha una simbiosi quando due o più individui si comportano

come se formassero un’unica persona”.

(Schiff, 1980)

 

Aaron e Jacqui Schiff considerano la psicopatologia come il risultato di una relazione simbiotica non risolta. Una volta instaurata, la simbiosi fa sì che i partecipanti si sentano a proprio agio, ma questo agio ha un prezzo molto elevato in quanto implica il sacrificio di buona parte delle risorse individuali. In altre parole, si può dire che la stabilità viene acquisita a patto che entrambe le persone svalutino le proprie capacità, in modo che ciascuno senta di aver bisogno dell’altro.

Simbiosi naturale
La relazione simbiotica all’origine della vita garantisce al bambino la sopravvivenza attraverso la protezione, il nutrimento e il calore che la madre gli procura ma, con l’acquisizione delle capacità autonome, con lo sviluppo del sé e delle funzioni dell’Io, diviene man mano un terreno da cui prendere le mosse perché l’individuo possa esplorare modalità indipendenti di stare in vita.
Una struttura genitoriale positiva e coerente è in grado di offrire al figlio un’adeguata protezione e un clima di fiducia: occasioni che promuovono l’intimità ed occasioni che incoraggiano la separazione. Per ogni bambino è necessario incorporare i seguenti messaggi:
– Puoi risolvere i problemi
– Puoi pensare
– Puoi fare le cose
In termini analitico-transazionali l’incorporazione di questi messaggi si traduce nella capacità della persona di utilizzare efficacemente il problem solving, di disporre attivamente delle risorse dell’Adulto e nel sentire sia se stesso che l’altro Ok.

Inviti simbiotici e giochi psicologici
Di solito, quando le persone si incontrano comunicano tra di loro tacitamente il ruolo che vogliono assumere all’interno della relazione con un invito simbiotico. Se uno dei due esce dalla simbiosi, riappropriandosi delle parti di sé svalutate, può accadere che l’altro si attivi allo scopo di riinvitare il partner nella simbiosi, oppure che anch’egli esca a sua volta dalla relazione simbiotica. In quest’ultimo caso, ciascuno può stare nella relazione in maniera autonoma. Quando invece le persone tentano di rivivere una simbiosi non risolta, oppure reagiscono ad essa con rabbia, ciò che viene messo in atto è un gioco psicologico. Rivivere la simbiosi dà un senso di sicurezza, sia che ci si trovi a rivivere il ruolo di accudito che di accudente: nel primo caso non ci si deve occupare di nulla perché il problema è sotto la responsabilità di chi si assume l’onere del prendersi cura, nel secondo caso, comunque non ci si deve preoccupare perché il problema è dell’altro. Reagire alla simbiosi con rabbia equivale a rinforzarla dal momento che, spostando sull’altro la responsabilità di risolvere la relazione simbiotica, di fatto non la si scioglie.

Simbiosi e vita di coppia
Nella scelta del partner, così come nella costruzione del rapporto di coppia, la persona che non ha raggiunto appieno la propria autonomia tende a riproporre gli stessi schemi antichi e non risolti che hanno determinato l’insuccesso della differenziazione dai propri genitori. La sensazione di avere pezzi mancanti, e di potersi completare solo nell’unione con l’altro, è il vissuto che accompagna il vivere in simbiosi percepito come unica via per sentirsi interi e funzionanti. “Ti amo perché ho bisogno di te” ne è la tipica espressione.
L’obiettivo sano di ogni coppia può essere colto nell’invito che propone G.K Gilbran, nel libro “Il profeta”, a proposito del matrimonio: “Amatevi vicendevolmente, ma il vostro amore non sia una prigione: lasciate piuttosto un mare ondoso tra le due sponde delle vostre anime[…]come le corde di un liuto, che sono sole, anche se vibrano per la stessa musica”.

Simbiosi patologica e Analisi Transazionale
L’espressione patologica della simbiosi è la passività. Essa si manifesta quando la persona perde il ruolo di soggetto attivo dinanzi alle situazioni: non reagisce più agli stimoli o non lo fa efficacemente. Alla base vi è un processo di svalutazione. Si tratta di un meccanismo interno che porta a minimizzare o ad ignorare aspetti di sé, dell’altro e/o della situazione.
I comportamenti passivi sono quattro: l’astensione, l’iperadattamento, l’agitazione e l’incapacitazione.
L’astensione si realizza quando, invece di utilizzare l’energia per risolvere il problema, la persona se ne serve per inibire la sua reazione. Prova disagio e si considera incapace di pensare, svalutando la sua abilità di far fronte al problema.
L’iperadattamento è il modo in cui la persona si prefigge scopi stabiliti da altri, ignorando i suoi. Chi si trova in questa condizione trova molto difficile venirne fuori perché, in genere, riceve rinforzo dall’esterno mediante l’approvazione degli altri.
L’agitazione si verifica quando la persona si imbatte in comportamenti ripetitivi per raggiungere una meta stabilita. L’energia è incanalata per ridurre una sensazione fortemente spiacevole legata ad un vissuto che crea tensione. (Es.: tamburellare le dita, passeggiare avanti e indietro per la stanza, avere pensieri ripetitivi).
L’incapacitazione è la forma patologica più grave che si manifesta per accumulo di energia, attraverso la messa in atto dei comportamenti passivi. La rottura del legame simbiotico rappresenta una minaccia insostenibile e la scarica di energia che si verifica, talvolta violenta, è il tentativo di evitare tale rottura costringendo l’ambiente alla risoluzione del problema. Vi può essere la comparsa di disturbi psicosomatici, abuso di droghe o alcol, ed in alcuni casi il crollo mentale.
Quando l’insieme dei messaggi genitoriali ricevuti nell’infanzia svaluta fortemente le abilità dell’Adulto, il sistema di riferimento, mediante cui l’esperienza personale del mondo viene filtrata, può essere disturbato al punto da compromettere del tutto l’esame di realtà. In queste circostanze l’Analisi Transazionale prevede, all’interno di un setting ambulatoriale, un intervento di rigenitorizzazione: una ricostruzione del sistema di riferimento mirata al totale disinvestimento delle figure genitoriali.
Nei casi meno gravi, ove l’esame di realtà è integro, il trattamento consiste, invece, nella genitorizzazione: una sostituzione dei messaggi negativi interiorizzati con messaggi nuovi e funzionali.
La persona trarrà beneficio dall’intervento solo se proverà vero interesse per il nuovo sistema, altrimenti la sua reazione sarà di svalutazione.
Vi è una fiducia di fondo, circa il buon esito della psicoterapia, in relazione a due punti fondamentali:
1) I pazienti sanno (cognitivamente e/o visceralmente) ciò di cui hanno bisogno per star bene.
2) Essi possono assumersi la responsabilità del loro funzionamento se ricevono un adeguato sostegno.
Il percorso psicoterapico, a prescindere dalla situazione problematica presentata, è un intervento sempre orientato a rendere la persona autonoma e, quindi, capace di stare al mondo con spontaneità, consapevolezza ed intimità.

 

Bibliografia
Schiff, J. L. (1980). Analisi transazionale e cura delle psicosi, Astrolabio. Roma.

 

 

Dott.ssa Veronica Iorio
Psicologa, Psicoterapia della Gestalt e Analisi Transazionale

Esperta in:

– Trattamento dell’ansia
– Gestione degli stati emotivi
– Psicosomatica
– Crisi della coppia

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