Biofilia – Dallo sguardo al tatto – Esibizionismo e intimità, voyeurismo e civiltà – esagerazione e sottostima della fenomenologia erotica – approccio relazionale e degrado della comunicazione affettiva

“Scoprire di essere innamorati è scoprire il sublime, la confusione sconfinata e l’intensità di Afrodite nudata, il brivido profondo che da ogni percezione dei sensi va dritto alle viscere: e ogni immagine, ogni sensazione diventa un amante di passaggio che si dilegua rapido.” James Hillman: “La Giustizia di Afrodite”, La Conchiglia, Capri 2008
La struttura che condiziona il sistema degli sguardi consente al corpo di apparire, ma, allo stesso tempo, restare invisibile in quell’equilibrio alla ricerca di continui bilanciamenti, a seconda delle circostanze, dei luoghi, delle nudità esposte… perché lasciare scoperte le gambe non è proprio come restare in topless, su di una spiaggia o in un parco cittadino, mentre si fa il bagno o una passeggiata… Comunque, sempre che non sia dettato da “esigenze di copione”, mostrarsi in pubblico è atto profondamente individuale.
Il corpo sessuale si rivela allorquando il sistema degli sguardi subisce un cambiamento.
Le interazioni visive sono caratterizzate dall’anonimato e dalla distanza. Chi guarda intrattiene una relazione strumentale, basata sull’immaginazione, assolutamente priva di scambi reali. Nel caso in cui questo scambio di occhiate dovesse concretizzarsi, e la relazione farsi attuale, l’anonimato silenzioso cede il passo ad un’eloquente contestualizzazione di coppia che, in virtù di una prorompente “biofilia”, si ritira nella  propria intimità.
Quando il ciclo “coniugale” si esaurisce, ci informa Donata Francescato in “Quando l’amore finisce” (1992), insorge l’abitudine e con essa un progressivo decremento di attrazione da parte di chi dapprima aveva subìto il fascino, spesso il maschio, oppure l’insoddisfazione e l’insofferenza, forse più femminili, per il venir meno dell’attenzione e della comunicazione: il classico “non avere più nulla da dirsi”.
Il turbamento dell’intimità, provocato dal porre nuovamente, e provocatoriamente, sulla ribalta il corpo, ricomporrebbe una presenza perduta, ricolmandola di contenuti, ahimè inesistenti. Questa rigonfia pienezza fa tutt’uno con lo spettacolo e con il pubblico e sarebbe tale aggiunta di sguardi che paradossalmente rende la situazione altamente più contemplativa dell’ormai ordinaria intimità. La storia di Candaule, Gige e Nysia parte da qui.
Mettere in mostra il corpo in pubblico oppure all’interno di una situazione confidenziale non si equivalgono affatto e ripropongono la differenza insistente tra due sensi, la vista esercitata senza permesso ed il tatto potenzialmente in futura concessione. Il rapporto privilegiato di coppia trova le sue fondamenta proprio su quella possibilità di scontrarsi con l’interdetto di “nonna Rocca”: si guarda e non si tocca.

Gli sguardi che fissano catturano scene destinate a restare tali nonostante tutto, o a divenire ben presto pretesto perché si sviluppi l’immaginazione erotica. A tale scopo necessitano di un “qualcosa” che faccia proseguire questo muto dialogo, privo di interlocutori attivamente partecipi.
Lo scambio coniugale invece inizia subito sul versante tattile. Ad entrare immediatamente in gioco è il corpo sessuale, esposto in maniera provocatoria, e che si offre, insieme con la concessione di quel pretesto chiave  perché avvenga il passaggio dallo sguardo comunicativo alla carezza accondiscendente all’invito silenzioso.
In qualche caso il denudamento equivale alla parata nuziale di certi animali per i quali funge da richiamo. L’incontro prevede un rito di approccio verbale, una battuta, che non deve suscitare ilarità, ma venire ricambiata da sorrisi accennati appena. Se ad interrompere il silenzio comunicativo di una relazione muta si avranno risatine soffocate, il ghiaccio vorrà dire che è stato rotto definitivamente.
Altre volte però la nudità potrebbe bloccare con un’ulteriore complicazione l’approccio timidamente intrapreso, poiché, con buona probabilità, occorre maggiore intraprendenza per tener testa alla sfrontatezza dell’esibizione. A far la differenza spesso bastano pochi centimetri quadrati di tessuto, secondo quel codice di misura, per cui anche il pudore di chi guarda viene culturalmente acquisito da una abitudine sociale, la quale potrebbe opporre resistenza e contegno all’immediatezza spensierata che non riconosce proibizioni.
Il gesto della mano guidata nell’atto di accarezzarsi con una certa rallentata intenzione, non può non essere interpretato come fatto apposta per produrre una reazione, oppure proprio allo scopo voluto di accentuarne la provocazione. E’ questo un segnale che sollecita la fantasia; se non un vero e proprio invito, quanto meno uno scambio erotico intessuto sulla trama del desiderio confinato a rimanere tale.
All’incontro di sguardi sfuggenti è possibile captare il grado di complicità esercitata in comune. Eppure, esiste pur sempre un tipo di seduzione innocente, perché afinalistica, la quale si limita ad indurre modestamente soltanto piccole fantasie.
L’esibizionismo procura piacere fisico e psicologico, in quanto mette in mostra un corpo di cui profittare. La nudità non rispetta il codice dell’invisibilità, anche qualora si dovessero reprimere le sensazioni esplicitamente erotiche. E’ quindi possibile azzardare una netta distinzione tra l’esibizione sessuale e quella strumentale, al fine cioè di attirare esclusivamente l’attenzione su di sé, senza avere alcuna intenzione di andare oltre la sensazione visiva.
Nonostante sia un’immagine erotica, ovvero un feticcio, ad attrarre lo sguardo, questo potrebbe essere deviato sulla persona, quasi in forma metonimica. In tal caso, non importa tanto quale sia la parte esposta ad attrarre, quanto l’essere guardati.

Cos’è l’esibizionismo se non un movimento contro l’invisibilità del banale? Ebbene, nel prendere in considerazione l’esibizionismo sessuale bisogna riconoscere che quest’ultimo non mette affatto in mostra la persona, bensì il corpo erotico in funzione adescatrice.
C’è modo e modo di guardarsi attorno e di attirare l’attenzione. La postura, l’andatura, una qualche maniera di atteggiarsi, di muoversi, gesticolare, scuotere il capo, aggiustarsi i capelli, accarezzarsi… stanno a denotare un certo grado di sensualità. Soltanto l’avvenenza allo stato puro non ha bisogno di essere aiutata nella sua esibizione per sprigionare voluttà da tutti i pori.
“Il sublime integra l’idea di bellezza con la profondità psichica. La pienezza del potere di Venere non sta solo nella sua peitho, o capacità persuasiva, né solo nel suo fascino seduttivo. Lei ci cattura intensificando ogni manifestazione sensibile attraverso cui si rivela” James Hillman: “La Giustizia di Afrodite” (2008)
Conformarsi alla convenzione, o alla convenienza, di mantenersi distaccati non equivale quasi mai a non vedere. Non guardare invece avrebbe il compito di costruire intorno a quanto messo in mostra una sorta di alone di banalità, rendendo così un corpo sessuale di colpo invisibile.
A seconda di chi si espone e di chi assiste passivamente, o attivamente contempla, si possono individuare almeno due livelli di ideazione ricollegabili ad altrettanti modi di vedere senza guardare. A rendere invisibile potrà essere come una spirale di auto-convincimento che porta degli sguardi a dissolversi in percezioni più sensibili. Osservazione e comportamento dell’osservato si incontrano ad un certo punto della traiettoria di due rette non perfettamente parallele in un adattamento dell’una con l’altro. L’adeguamento potrà essere spontaneo, automatico quasi, oppure derivare da una riflessione circa l’occasione o il contesto.
La realtà della presenza corporea e di uno sguardo interessato dovranno rispondere innanzitutto alla verità della circostanza. In una situazione di banalità diffusa, o di sublimazione estetica, la sessualità scivolerà via su di un terreno impermeabile, rimanendo collocata in una specie di “retropensiero”, per come lo definisce Jean-Claude Kaufmann, in “Corpi di donna, sguardi d’uomo”, (Trad. ital. Raffaello Cortina, Milano 2007), che soltanto il desiderio porterà avanti. Se predomina, infatti, l’istinto esibizionistico, anche gli sguardi ricambiati non verranno presi in considerazione, e non saranno neppure visti e raccolti; la sessualità verrà evocata in maniera generica, ma resterà reclusa nel suo narcisismo.
Solitamente lo sguardo sessuale si esprime nella piena segretezza dell’anonimato e “simula l’indifferenza del vedere senza guardare”; il voyeurismo è solitario e – aggiunge Jean-Claude Kaufmann, in “Corpi di donna, sguardi d’uomo” – “cattura le immagini come se commettesse un furto, attento a non farsi scoprire”. Qualora dovesse diventare pratica di gruppo, la scopofilia verrebbe fagocitata in quell’insieme costituente il pubblico che assiste allo spettacolo, modificando la sua posizione, l’ottica e la prospettiva; sia pur con difficoltà, potrebbe non restare invischiata nella possente forza evocatrice della sessualità, di cui è sempre portatrice la nudità erotica, venendo in questo sforzo un po’ aiutata dall’alibi artistico.
“L’attenzione all’estetica è comportamento etico, ed il comportamento etico è una manifestazione estetica” James Hillman: “La Giustizia di Afrodite”  (2008)
Nel guardare un paesaggio, una pièce teatrale, un’opera scultorea o pittorica… la vista impegnata dall’interesse artistico sarà estesa oltre la banalizzazione convenzionale, serpeggiando sotto uno strato superficiale di edonismo. Il piacere più intenso si soffermerà su immagini specifiche, rispettando il susseguirsi della sequenza. A deragliare sarà la fantasia ormai sollecitata nella sua creatività. Tutto il resto sarà scontato.

Per superare l’imbarazzo dei singoli, il gruppo ricorrerà a delle espressioni verbali colorite, soprattutto darà voce al pretesto per guardare più insistentemente. L’espressione, qualunque sia, battuta di spirito, imprecazione, meraviglia, derisione… avrà un solo ed unico significato, quello di consentire la coesione attorno all’oggetto totemico, su cui si infrangono sguardi di venerazione, ammirazione, sorpresa, curiosità… i quali ne costituiscono come il rituale liturgico.
Laddove c’è esibizione non può non strutturarsi un pubblico, mentre l’interesse a guardare non sempre sarà attratto dallo spettacolo. Sarà la provocazione, e la sorpresa, a rappresentare spesso quell’elemento di rottura rispetto alla banalizzazione della ripetitività, della stereotipia, della “solita manfrina”, per non dire della minestra riscaldata.
Così come è difficile misurare il grado  della provocazione o l’effetto della sorpresa, diviene altrettanto complicato verificare l’intensità dell’interesse erotico manifestato per il tramite dello sguardo sessuale, proprio perché dissimulato nella banalità del vedere senza guardare. Il registro della realtà conforme al contesto e quello dell’immaginario, sul quale si sviluppa il piacere discreto dell’erotismo, sono così costretti a continui scambi.
André Béjin, in “La masturbation féminine: un example d’ estimation et d’analyse de la sous-déclaration d’ une pratique” (1993), ha notato come le cose si riscontrino diversamente a seconda dell’interfaccia seduttiva che si va strutturando in un incontro, ed in base al punto di vista, maschile o femminile, di chi si accinge ad esercitare una qualche manipolazione. Effetti di distorsione complicano immancabilmente ogni situazione, e solo un’indagine approfondita rileva la distanza intercorrente tra atto e intenzione, realtà e verità, conformismo e spontaneità, carpendo, in fin dei conti, quello che viene protetto dall’inconfessabile segreto. André Béjin scopre come l’analisi su di un fenomeno, quale la pratica della masturbazione femminile, venga sottostimata per via di questa mancata adesione alla verità della dichiarazione. Nel caso delle manifestazioni di complementarietà esibizionismo-voyeurismo, la valutazione sembra sovrastata da una franca dissimulazione, da una parte, e dall’altra, da una contraddittoria ricerca di copertura di banale invisibilità. Tra le maglie dell’indagine restano impigliati quanti non riescono a controllare le proprie emozioni e seguono incondizionatamente il ritmo delle loro pulsioni, non avendo assimilato i freni inibitori proposti dall’educazione e dalla società.
Il processo di civilizzazione comprende infatti la fase della banalizzazione della nudità e quella di liberazione sessuale. La prima è indicativa del controllo del sé rispetto al corpo sessuale in un contesto pubblico. La seconda invece individua nel privato lo spazio della presenza in cui esaltare il corpo sensibile nell’intensità e nell’immediatezza dell’emozione erotica. Un’eventuale inversione che banalizzi il contatto ed esibisca l’intimità rischia di generare ansia da prestazione, oscene volgarità, oppure l’indifferenza per saturazione.
La civilizzazione consente, insomma, le manifestazioni di esibizionismo e voyeurismo, sempre che queste si adeguino a delle normative inderogabili. La regola relativa alla discrezione dell’erotismo visivo, quella della condivisione di dissimulazioni, e, “last but not least”, quell’altra, più intrigante di tutte, del doppio gioco di provocare e di fantasticare.
Giuseppe M. S. IERACE

Bibliografia essenziale:
Béjin André: “La masturbation féminine : un example d’ estimation et d’analyse de la sous-déclaration d’ une pratique”, Population, 5, 1993
Descamps M. A.: “Le langage du corps et la communication corporelle”, PUF, Paris 1989
Francescato D.: “Quando l’amore finisce”, Il Mulino, Bologna 1992
Hillman J.: “La Giustizia di Afrodite”,La Conchiglia, Capri 2008
Ierace G.M.S.: “Magia Sessuale”, Armenia, Milano 1982
Kaufmann J.-C.: “Corpi di donna, sguardi d’uomo”, (Trad. ital.) Raffaello Cortina, Milano 2007
de Singly F.: “Les manouevres de séduction”, Revue française de Sociologie, 25, 4, 1984