Un tipo ansioso lo sono sempre un po’ stato. Non ricordo esattamente un incipit delle mie ansie, intendo quelle generiche. So per certo, invece, l’inizio di questo precisi e violenti attacchi di ansia. Posso assegnargli data ed evento. Era il 26 luglio scorso, quando ho preso un volo low cost per Londra con la mia ragazza.
Volevo farle un regalo per la sua laurea e 80 euro andata e ritorno mi avevano fatto passare un po’ in secondo piano l’ansia da volo che ho sempre avuto. Inoltre, potevo mica chiederle di andare in treno fino a Calais o Boulougne e lì prendere un traghetto ? Ad ogni modo, già quando mi arrivo la conferma di avvenuto acquisto nella mia casella di posta elettronica, dopo pochi minuti, provai una vaga sensazione di cerchio caldo alla testa e palme della mani un po’ umide. Era l’idea concretizzata, il progetto divenuto fatto a farmi realizzare che avrei volato. Due settimane d’inferno. Ci pensavo continuamente, ogni ora e ogni giorno. A Marina non confessavo niente, dicevo solo di essere preoccupato per delle questioni di lavoro, mi tenevo sul vago. La vergogna di scaricare la mia ansia parlando un po’ con lei mi pressava ulteriormente. Ormai ero arrivato a un pacchetto e mezzo al giorno e la mattina mi svegliavo con polmoni pesanti come due sacchi di chiodi e un senso di stanchezza maggiore di quando andavo a dormire.La mattina del volo già in direzione dell’aeroporto sentivo un po’ il fiato corto, come se avessi corso, ma lo tenevo ben nascosto. Mio padre ci accompagnò dinanzi all’aeroporto e per non pagare il parcheggio, ci aiutò a scaricare e ci lasciò subito, salutandoci. Lo seguii con lo sguardo. Avrei dato una gamba per risalire in macchina. E lì il secondo sintomo che non avevo mai provato fino a quel momento. Mi veniva da piangere. Diamine, mi era salita su proprio una lacrima ! Nonostante il cielo non particolarmente terso, inforcai gli occhiali da sole. Ripeto: allora avevo una profondissima vergogna nel mostrarmi preoccupato, ansioso o angosciato dinanzi alle persone. Non che ora mi presenti alle persone come conosco dicendo “Piacere, Paolo, sono ansioso”, ma oggi affronto questo status con maggiore serenità, giorno dopo giorno e non tento di soffocarlo, ma piuttosto di comprenderlo per invitarlo a lasciarmi. Ma tornando all’episodio, l’attacco lo ebbi al momento del decollo. Stipato in quell’abitacolo stretto quanto un mese senza stipendio, Marina che aveva appoggiato la testa sulla mia spalla… improvvisamente mi sentii come se qualcuno avesse scaricato ottanta chili sulle mie spalle. Volevo respirare, ci riuscivo, andavo fino in fondo coi polmoni, ma avevo fame d’aria. Respiravo profondissimo e mi sembrava che l’aria non entrasse mai nei polmoni. Scostai il suo capo, lei mi chiese cosa accadesse e questa domanda mi diede ancora più ansia.
Le risposi “Niente”, ma non mi uscii nemmeno la voce e più lei mi fissava, più non riuscivo a respirare e intanto l’aereo si muoveva e io temevo di svenire, avevo una dannata paura di svenire e il cuore nel frattempo batteva come se stessi correndo inseguito da un serpente ! Volevo stringere i braccioli fino ad affondare le unghie e farmi male e mi mancavano le forze e questa violenta battaglia fra me e il petto sotto una tempesta battente di respiri corti avveniva a dieci centimetri da Marina e dovevo tenerla nascosta. Quanti minuti passarono ? Dieci, venti ? Mi parvero venti ore. Poi lentamente un lieve torpore cominciò ad allentarmi i muscoli, il respiro divenne pian piano regolare e forse stavo per svenire, o forse così mi parve, ad ogni modo se svenire mi avrebbe fatto rallentare il cuore, ben venga, ero pronto anche a farlo. Ma non svenni e sebbene da allora in particolare abbia sofferto e soffra tuttora di una certa asthenofobia (è la paura di svenire), non mi è mai capitato e so che non mi capiterà. Almeno non per causa diretta dell’attacco di ansia.
Di lì qualcosa è profondamente mutato in me. Da allora a intervalli assolutamente irregolare e in maniera assolutamente imprevedibile cominciarono gli attacchi di ansia. Inutile dire che la vacanza a Londra andrò peggio che disastrosa: cinque giorni in cui il mio unico pensiero era il volo di ritorno. Salii sull’aereo con l’idea di dover affrontare un altro attacco di ansia. E contrariamente a qualunque previsione non avvenne. Per qualche giorno mi convinsi che doveva essere stato un caso episodico, che forse era stato solo a causa dell’aereo, che forse la mia era una “normalissima” ansia da aereo, come ce l’hanno molti, o come molte ansie diverse che altri hanno. No. Mi sbagliavo.E me ne dovetti accorgere quando tutto quanto descritto poc’anzi, uguali manifestazioni, uguali sensazioni, mi si presentò improvvisamente alla stazione della metro, senza alcun motivo apparente scatenante.
Cosa accadde ? Non so. Gambe molli, improvvisamente. All’inizio pensai che avevo fame, che dovevo mettere qualcosa sotto i denti, che forse ero in ipoglicemia. Ma poi di nuovo quel dannatissimo fiato sempre più corto. Mi sedei sulla panchina, cercai di respirare profondamente. Ma come per l’altra volta, niente da fare, l’aria arrivava nei polmoni, ma non li ossigenavano, volevo respirare ma inalavo solo aria, chi ha sofferto di queste cose capirà bene quali sono queste differenze di espressioni. Mani sudate e tremanti, fronte tal quale. Sul treno non potevo salire, troppa gente. Già, la gente. Troppa gente ?
In seguito vissi sei mesi terribili. Ogni tanto tutto ciò si ripresentava. Paura della folla ? Macché, mi prese anche a casa quando stavo cucinando in attesa dei miei amici. Forse degli spazi aperti ? No, mi prese anche al cinema, mentre vedevo con Marina “This must be the place”. Paura di cosa ? Non riuscivo a trovare una maledetta causa scatenante, al lavoro andava tutto bene, il mio rapporto con Marina era idilliaco, in famiglia tutti in salute, grazie a Dio. Cosa, cosa ? Impazzivo nella ricerca di qualcosa che non esisteva. Avevo cominciato a essere dipendente da un milione di accorgimenti che mi facevano sembrare un maniaco compulsivo. Mi accertavo di avere sempre con me delle bustine di zucchero: avevo maturato l’idea che durante una crisi un calo di zuccheri mi avrebbe fatto svenire. Avevo in tasca sempre delle caramelle al mentolo fortissime, mi davano la sensazione di “aprire” il respiro durante la crisi e non appena questa si presentava, ne mangiavo praticamente l’intero pacchetto, col risultato che avevo una lingua indolenzita per ore dal sapore troppo aggressivo. Unica nota positiva: ho smesso di fumare. Mi ero convinto che potesse essere qualche forma di male ai polmoni e fortunatamente mi sbagliavo, ma nel timore di questa ipotesi smisi immediatamente. Scrissi un biglietto dicendo che sono un tipo ansioso, nel caso che svenissi e qualcuno mi conducesse all’ospedale e i medici aprissero il mio portafoglio. All’apogeo delle crisi, non riuscivo più a prendere i mezzi pubblici, non potevo più andare al cinema, ad ogni riunione di lavoro col mio capo bevevo valeriana come acqua e la notte ero sempre preda dei crampi. Dormivo 4 ore a notte, ero praticamente ansioso-sonnolento (un ossimoro possibile, credetemi) e cominciavo a perdere i capelli. Un giorno esplosi, piansi ore come un bambino nel grembo di mamma e le confessai tutto. Quindi accettai di chiedere aiuto ad uno psicologo.
Da lì, finalmente la storia si colora un po’ di qualche tinta più colorata. Fabrizio è bravissimo e assieme percorriamo le strade che portano a questi disagi. Mi ha portato mano nella mano all’idea che non è un nemico da combattere (che risulterebbe sempre e inevitabilmente vincitore) vincitore, ma piuttosto un “avviso” di qualcosa che dentro di me richiede attenzione e su cui assieme, pian piano, ci lavoriamo. Ovviamente Fabrizio non è il mio salvatore, ma solamente una persona che, avendo fatto studi in merito, sa più o meno dove dirigermi verso la conoscenza. Il resto, ovviamente, è tutto lavoro per me.Un vero e proprio salvatore a cui devo moltissimo in questa ricerca c’è però. Ed è… lo sport ! Già, lo sport ! Non sono mai stato uno sportivo, ero il calciatore del lunedì saltuario con gli amici. Da qualche tempo, invece, ogni finesettimana metto su le scarpe da corsa e vado al parco. Il sabato o la domenica mattina mi attendono 3 o 4 chilometri che miglioro di volta in volta e che richiedono da parte mia una tenacia e un’abnegazione che a loro volta bruciano tanta carica negativa. Alla fine di ogni corsa mi sento benone e se ho migliorato i tempi, mi senti meglio ancora. E quando a volte mi accenna a venire di nuovo un po’ di fiato accorto e tachicardia, con la mente me ne vado subito sul mio percorso al parco, mi immagino correre fra gli alberi e mi dà un bel po’ di sollievo. E immagino fortemente che il mio cuore ora sta accelerando un po’ i battiti non perché è ansioso, ma perché ha voglia di correre.