Il passaggio dalla disfunzionalità alla funzionalità nella relazione simbiotica

La parola simbiosi indica in genere una relazione caratterizzata da accordo, sinergia, funzionalità. Si dice, almeno nel linguaggio quotidiano, che due persone sono in simbiosi quando procedono insieme verso una meta comune e senza incontrare intoppi significativi lungo il cammino.

In ambito familiare, ad esempio, marito e moglie sono in simbiosi quando non litigano, mostrano gusti affini, concordano su come educare i figli, gestire l’economia familiare, ecc.

Insomma, nell’ordinarietà del linguaggio quotidiano (1), il termine denota una sorta di omologazione tra gli atteggiamenti, ed i vissuti, di chi partecipa alla relazione.

Nella realtà dei fatti, e secondo un linguaggio più specifico, simbiosi accenna invece ad un rapporto tra soggetti che presentano tra loro spiccate differenze (materiali/ psicologiche/ comportamentali), che funzionano come se fossero una sola persona vivendo questo genere di relazione, date le circostanze, come legittimo ed inevitabile.

Esempi di simbiosi non mancano nella vita di tutti i giorni: il rapporto genitore – figlio, l’assistenza agli ammalati, l’aiuto ai meno abbienti, il sostegno del collega più esperto a quello appena avviato alla professione.

Ci riferiamo, in questi casi, a situazioni in cui una persona presenta un’effettiva carenza fisica, psichica, materiale, esperienziale. Individui che, per forza di cose, dipendono relativamente ed esclusivamente in merito al problema di cui sono portatori.

In queste circostanze la lacuna è tangibile: il bambino è effettivamente incapace di provvedere da sé ai propri bisogni (o a gran parte di essi), l’ammalato è concretamente privo della sua funzionalità fisica, l’indigente è realmente carente di risorse materiali ed economiche, il giovane professionista ha necessariamente bisogno di tempo per capire come funziona il lavoro,ecc.

In circostanze simili chi porta sostegno non mira a riprodurre nell’assistito lo stato di bisogno , anzi prova ad alimentarne l’autonomia. Esorta l’altro a fare di più e da solo, almeno nei limiti imposti dalla contingenza.

La realtà ci offre espressioni di un altro genere di simbiosi, dove chi chiede aiuto (materiale o morale o entrambi) lo fa senza averne effettivamente bisogno, o meglio senza aver prima verificato le proprie autonome capacità di intervento. Chi chiede, cioè, si sente a priori privo di risorse.

In questo caso la simbiosi ha origine da una svalutazione di sé, da una grandiosità riferita agli altri (percepiti come i soli in grado di risolvere) ed al dato di realtà sentito come problema. Inoltre chi aderisce a questa relazione mette in atto, in genere, un’inconsapevole svalutazione del partner per cui, senza alcuna intenzionalità, agisce per confermarne e reiterarne l’incapacità (2).

Il primo tipo di simbiosi è, pertanto, funzionale, vale a dire funziona nel rendere meno problematica l’esistenza a chi chiede e riceve aiuto. Anzi in alcuni casi estremi è il solo mezzo per permettere l’esistenza, pur se a livelli minimi di funzionalità.

Il secondo tipo di relazione simbiotica è disfunzionale,  nel senso che non punta a migliorare lo stato delle  cose bensì a confermarlo.

In queste circostanze la relazione non è più fondata sul  domandare e dare sostegno bensì sul chiedere, da parte di chi si incapacita, di agire al proprio posto e, da parte di chi porta aiuto, sull’intervenire sostituendosi all’altro.

Fatte queste considerazioni di ordine teorico, le domande a cui cercheremo di dare risposta sono:

nella realtà dei fatti, come è possibile distinguere una relazione simbiotica funzionale da una disfunzionale?

quali sono le variabili comportamentali, dunque manifeste, che consentono ad un osservatore di operare questa distinzione?

La simbiosi disfunzionale si manifesta sempre attraverso un accordo, per quanto insano, o anche attraverso una conflittualità relazionale?

Si intende per simbiosi un rapporto continuativo o pure un breve scambio comunicativo?

Per fornire risposte a tali quesiti, iniziamo con l’immaginare un insegnante che rimprovera un alunno dicendogli:

” Ti devi impegnare di più. Di questo passo  sarai sicuramente bocciato”

Ipotizziamo che l’alunno reagisca con affermazioni del tipo:

” Non mi importa di essere bocciato ” oppure ” Io provo ad impegnarmi di più ma non ci riesco. Che posso fare?”

Pensiamo ad un genitore che dica al figlio:

” Stasera devi rientrare  alle undici ”

Supponiamo che il figlio replichi all’esortazione genitoriale con frasi del genere:

” I miei amici  tornano a casa a mezzanotte” o ancora ” Semmai non esco, così non ti preoccupi”.

Per finire, immaginiamo la moglie che chieda la marito:

” Puoi andare tu a prendere i ragazzi a scuola?” e il marito che replichi:

” Devo fare tutto io? ” o ” Va bene, anche se sono stanco. Vuol dire che riposerò dopo, se avrò tempo”.

Ad una prima osservazione possiamo notare un elemento comune a tutte e tre le circostanze: le reazioni dell’allievo, del figlio e del marito tendono a suscitare, nei rispettivi destinatari, una risposta più emotiva che logica (3). Ogni genere di scambio verbale e non verbale contiene componenti emotive ed etico/ cognitive, ma nei casi in esame ci riferiamo a risposte (sia quella reattiva che quella apparentemente accomodante)in cui tali variabili prendono il sopravvento sulla logica, vale a dire sull’analisi effettiva dell’argomento in questione (impegno nello studio, regole familiari, collaborazione tra partner).

Altro elemento comune alle risposte dell’alunno, del figlio e del marito è la svalutazione che essi mettono in atto nei confronti si sé, dell’interlocutore e della relazione stessa.

Tutti e tre, infatti, reagiscono partendo dal presupposto che, all’interno della relazione, non esista la possibilità di elaborare il problema e risolverlo senza giungere ad uno scontro. Senza produrre, cioè, la rottura della relazione stessa anzi lasciando le cose così come sono.

A tale inconsapevole scopo il soggetto che si incapacita invitando l’altro ad agire e a decidere al proprio posto. L’alunno, ad esempio, chiama indirettamente l’insegnante a decidere per sé sul cosa fare in merito allo studio. Il figlio invita il padre a disporre sulla base di riferimenti esterni ( gli amici ) o emotivi, comunque slegati da una razionale contrattazione sull’orario di rientro.

Il marito invita la moglie a decidere al posto suo se andare a prendere o no i figli a scuola fondandosi su variabili emotive ( rabbia o tristezza)  più che su una concreta ed attenta valutazione dell’organizzazione familiare.

Fin qui abbiamo osservato scambi verbali caratterizzati da un apparente accordo o da una evidente conflittualità.

In altre circostanze gli inviti simbiotici sono segnati non più da una svalutazione del destinatario bensì da una sua aprioristica valorizzazione ( fermo restando la svalutazione di sé).

Sono i casi in cui le richieste si fondano su espressioni del genere solo tu mi puoi aiutare o solo tu mi puoi capire o ancora se non mi aiuti tu non so che fare (4).

Anche in questa circostanza l’invito è ad agire al proprio posto perpetrando una simbiosi fondata su una aprioristica svalutazione delle personali ed effettive risorse materiale/ psichiche/ cognitive/ comportamentali.

Per evitare di interpretare ogni richiesta di sostegno o qualsiasi reazione a stimoli verbali e non verbali come inviti simbiotici, per non confondere cioè effettive e necessarie relazioni di aiuto con rapporti disfunzionali, possiamo distinguere la forma sana di simbiosi da quella insana attraverso la differenziazione tra  scambi verbali chiari, cioè che prendono in considerazione  il problema concreto cercandone una soluzione logica ( che può anche risultare che non c’è effettivamente soluzione), e quelli in cui il problema viene utilizzato per parlare di altro vale a dire per generalizzare con il risultato di  lasciare inalterato lo stato delle cose .

Insomma, attraverso la simbiosi funzionale, le cose cambiano, pur se lentamente, dolorosamente, faticosamente.

La simbiosi disfunzionale, al contrario, produce la persistenza del problema, dal momento che esso non è l’oggetto concreto della comunicazione. Varia soltanto l’intensità della conflittualità relazionale.

La simbiosi richiede che il destinatario dell’invito simbiotico vi aderisca.

Questo tipo di rapporto implica cioè che entrambi i partecipanti, e non uno solo, mettano in atto una svalutazione vale a dire che se uno si percepisce aprioristicamente inadatto l’altro manifesti, con il proprio comportamento, l’adesione a tale convinzione.

Ritornando agli esempi precedenti, molto dipenderà dalla replica dell’insegnante, del genitore o della moglie se la simbiosi disfunzionale si verificherà o meno.

Se, ad esempio,  il docente  reagirà con espressioni del tipo

” Con te è tempo perso” o ” Puoi fare che ti impegni di più” o ancora ” Parlerò con gli altri insegnanti per vedere cosa si può fare per venirti incontro”

è probabile che tra i due si rafforzerà un rapporto in cui l’alunno resterà nella convinzione che, in base alle sue sole risorse, non può che o rinunciare o affidarsi ( che è altro rispetto all’aver fiducia).

Una dinamica simile potrà verificarsi tra genitore e figlio. Se, ad esempio, il primo risponderà alla reazione del secondo con affermazioni quali

” Che mi importa dei tuoi amici? A casa nostra si fa così!” oppure con ” No, va bene, esci pure, ma non farmi stare in pensiero”

probabilmente si consoliderà una simbiosi in cui il figlio si confermerà l’inutilità di attivare la propria componente logica per discutere con il genitore l’orario di rientro. Oppure  troverà convalidata la convinzione che, in famiglia, potrà soddisfare i propri bisogni solo manovrando l’emotività genitoriale ( probabilmente trasferendo tale modalità anche a contesti relazionali esterni all’ambiente familiare).

Se la moglie risponderà al marito con

” Ma quando mai fai tutto tu! ” o con ” Se sei stanco vado io, non ti preoccupare”

è ipotizzabile il consolidamento di una relazione competitiva fondata sullo stabilire chi fa di più o in cui le decisioni  sono prese esclusivamente su base emotiva.

Dalle precedenti osservazioni si evince che una relazione simbiotica può essere sia continuativa e duratura ( vale a dire le persone fonderanno per sempre i loro rapporti su un chiedere e dare aprioristico) o limitarsi a brevi scambi, dunque a fasi simbiotiche, a volte derivanti anche da una particolare condizione psico/fisica di uno o di entrambi i soggetti. L’eventuale conferma della simbiosi disfunzionale è esito del grado di consapevolezza delle persone in merito sia a quanto accade nella relazione che ai propri vissuti intrapsichici che l’accompagnano.

– a proposito di consapevolezza

All’interno di una relazione di aiuto, o meglio in ogni rapporto in cui ci sia anche momentaneamente una condizione di difficoltà per uno dei partecipanti, può risultare utile che l’altro si ponga, consapevolmente, per un dato tempo la cui ampiezza dipende dal livello di problematicità dell’evento, come guida vale a dire che, coscientemente, si sostituisca all’altro nell’agire e nel prendere decisioni.

Può risultare funzionale, consapevolmente ed in vista di scopi ben definiti, addirittura alimentare la dipendenza nei propri confronti di chi , in quella fase, è incapacitato. Intendiamo dire che se  chi porta sostegno (anche alimentando dipendenza) è conscio del perché agisce in un certo modo, diventa funzionale ciò che teoricamente è disfunzionale. Così come può risultare disfunzionale, nelle medesime circostanze, alimentare una impossibile, al momento, autonomia di chi sperimenta il problema.

Dunque, dal punto di vista della consapevolezza,  la simbiosi è funzionale quando chi partecipa alla relazione è consapevole degli obiettivi a cui tende, al di là delle forme comportamentali (e dei principi teorici).

La disfunzionalità, al contrario, è una qualità della relazione che è connessa alla mancanza di consapevolezza, quando chi è nella relazione, a prescindere da ciò che fa, non sa perché lo fa e naviga pericolosamente a vista, affidando l’esito del rapporto al caso, che il più delle volte non è una variabile a favore.

Da quest’ottica, allora, il passaggio dalla disfunzionalità simbiotica alla funzionalità consiste nel cammino dalla inconsapevolezza alla consapevolezza.

– la simbiosi e il modello di Karpman

Dalle argomentazioni precedenti si deduce che la relazione simbiotica è caratterizzata dal fatto che, se da una parte c’è chi aprioristicamente si incapacita, dall’altra c’è chi aprioristicamente corre in aiuto. Senza questo secondo elemento, l’invito simbiotico resta tale e non si può parlare di una vera simbiosi disfunzionale.

In sostanza, questo tipo di relazione è l’espressione manifesta di un processo interiore, vale a dire di una svalutazione.

Tale dinamica produce, come abbiamo evidenziato attraverso alcuni degli esempi precedenti, non solo rapporti formalmente armonici, in cui gli atteggiamenti sono complementari uno all’altro (es. io aggredisco e tu accondiscendi, io mi blocco e tu accorri), ma anche relazioni segnate da una forte ed evidente competitività ( io aggredisco e tu aggredisci, io mi incapacito e tu ti incapaciti, io critico e tu critichi). In questi ultimi casi, cioè, i partecipanti alla relazione concorrono tutti verso un unico traguardo.

Da quest’ottica, la simbiosi disfunzionale è caratterizzata dal fatto che le persone agiscono mettendo da parte, in un caso, un aspetto della propria personalità usufruendo dello stesso aspetto che, però, è nell‘altro ( io svaluto la mia emotività e utilizzo la tua emotività, tu svaluti la tua etica e utilizzi la mia etica).

Nell’altro caso, i soggetti utilizzano in prevalenza il medesimo aspetto caratteriale svalutando le altre componenti (io e te comunichiamo prevalentemente attraverso l’etica, ad esempio criticando, o  prevalentemente attraverso l’emotività, ad esempio lamentandoci).

Volendo leggere queste dinamiche attraverso il modello di Karpman del Triangolo Drammatico, il primo tipo di simbiosi vede uno, ad esempio, nella posizione di Persecutore e l’altro in quella di Vittima. Oppure uno nella posizione di Vittima e l’altro in quella di Salvatore.

L’altro tipo di simbiosi disfunzionale vede, invece, ognuno competere per primeggiare nell’identico ruolo, che sia di Persecutore o di Vittima oppure di Salvatore.

Alfonso Falanga

Consulente della Comunicazione ad orientamento Analitico – Transazionale

Formatore

Consulente per sostegno minori a rischio

alfonso.falanga@alice.it

xoomer.virgilio.it/ascoltoecomunicazione

ascoltarepercomunicare.myblog.it

 

(1) il linguaggio quotidiano è ordinario non perché sia di qualità scadente ma  in quanto non  legato ad alcuna situazione specifica. E’ una costruzione sintattica e semantica generica soggetta ad ambiguità e contraddizioni.

Il linguaggio quotidiano è già dato, prevedibile, uguale per tutti.

Il linguaggio specialistico, invece, è imprevedibile nel senso che è da costruire secondo le modalità  con cui si evolve l’evento a cui fa riferimento.

(2) ” La svalutazione è ignorare inavvertitamente delle informazioni pertinenti alla soluzione di un problema”

Jacqui Lee Schiff – ” Analisi Transazionale e cura delle psicosi ” – ed. Astrolabio

” Ogni svalutazione è accompagnata da grandiosità, vale a dire da un’esagerazione  di qualche caratteristica della realtà…Così come una caratteristica della situazione è  ignorata o sminuita attraverso la svalutazione, allo stesso modo un’altra caratteristica è ingrandita fuori misura attraverso la grandiosità”” L’Analisi Transazionale – Guida alla psicologia dei rapporti umani” –  Stewart I., Joines V.

(3) I frammenti di comunicazione riportati naturalmente sono degli esempi, come tali, dunque, generalizzazioni che condensano, in una sorta di modello, situazioni specifiche. L’esempio non rimanda a ciò che accade   effettivamente nella realtà ma esprime uno  schema che permette la comprensione di ciò che si verifica in realtà.

Pertanto la domanda da porsi di fronte all’esempio non è se rispecchia la concretezza del quotidiano ma se si riferisce, in modo utile, agli argomenti in oggetto. Se permette, cioè, un  approfondimento di ciò di cui si sta parlando

(4) E’ una dinamica ben nota agli Operatori sociali e a tutti i professionisti che operano nella relazione di aiuto